Non è che il motto del filosofo musicista sia “Io penso, quindi suono”

Oggi ripensavo a suoni/rumori perduti o addirittura oramai estinti che hanno caratterizzato anni passati della mia vita. Non sempre erano suoni per cui dire Ah quant’era bello quando c’era, anzi, i suoni della modernità oggi fanno presente quanto siano più semplici molte cose rispetto a prima.

Ciò che mi fa riflettere è il vuoto nell’etere lasciato da quei suoni/rumori che non ci sono più o non capita di risentire e che non sempre è facile venga riempito.

  • Il fruscìo della parte iniziale del nastro di una musicassetta. Che ho usato fino al 2004, credo. Avevo una cassetta sulla quale registravo dal cd dell’impianto stereo i dischi che volevo portarmi dietro nel walkman.
  • Il suono del tastone di accensione del televisore a tubo catodico.
  • Il richiamo del venditore ambulante di frutta e verdura che girava con un Apecar arancione tenuto insieme con scotch e silicone. Dotato di megafono sul tettuccio dal quale prorompeva il suo slogan per avvisare le massaie dell’arrivo in strada. Non ho mai capito cosa dicesse quando lanciava la sua nenia, ma, in generale, credo che quelli che fanno questo mestiere abbiano una lingua tutta loro, una specie di Sindarin che solo le casalinghe riescono a decifrare.
  • Il sedile del guidatore della Fiat Uno di mio nonno. A ogni movimento usciva uno gnek sofferto come se ci fosse un papero di gomma schiacciato sotto il sedile.
  • La voce di Claudio Capone, storico commentatore dei documentari di Quark/Superquark. Una voce che non si limitava a essere didascalica ma che riusciva a dare il giusto significato, la giusta intonazione e il corretto colore a ogni frase, se non a ogni parola.
  • Il campanello di casa, che era un normale dlin-dlon come tanti altri e che poi circa una 15ina di anni fa ha iniziato a fare solo un ronzio+dlon finale prima di spegnersi del tutto.
  • Il ticchettìo di una macchina da scrivere. Da piccolo rubavo quella di mia madre per giocarci. Riuscii anche a trovare chi vendeva i nastri e me ne feci comprare uno. I miei testi battuti non credo però fossero memorabili.
  • La 10 Lire che cascava nella gettoniera dell’ascensore.

Non è che se ti perdi in un romanzo russo sei in un vicolo Čechov

Delle volte mi ritrovo, cogitabondo, allegro come un dipinto nero di Goya.


Las pinturas negras (le pitture nere), sono una serie di dipinti che Francisco Goya realizzò, tra il 1819 e il 1823, nella sua abitazione, da lui denominata Quinta del sordo. I dipinti, realizzati direttamente sull’intonaco delle mura della casa, sono caratterizzati da temi macabri e angoscianti, oltre che dalla predominanza di colori quali il marrone e il nero.


Rivango il passato. Sono un mezzadro di pensieri.

Rivedo cose che ho perso. Cose che non ho fatto. Cose che ho fatto e potevo non fare. E il tempo non si può riavvolgere: ci vorrebbe una penna BIC enorme.


Una cosa che i nativi dei ’90 non hanno conosciuto:


Va da sé che era una gran rottura. Il romanticismo nostalgico per alcune cose del passato è delle volte ingiustificato. Per non parlare della improvvida smagnetizzazione della musicassetta o del walkman che, quando le pile stavano per esaurirsi, cominciava a girare a velocità ridotta trasformando Jon Bon Jovi in un canto gregoriano.


A volte mi sento perso come un personaggio di un romanzo russo.


Sì, L’Idiota.


Irrequieto, turbato, incline a un esaurimento per una forte emozione. E con la voglia di scaldare acqua in un samovar.


Che fine ha fatto la letteratura russa, oggi? Credo dopo Arcipelago gulag di Solženicyn non sia salito più nulla alla ribalta letteraria. Che non ci siano più autori di qualità (considerando ciò che si vede pubblicato, mi sembra difficile pensare che in un Paese esista un livello così scadente da non varcare i confini nazionali)? Che non vengano tradotti?


Tanto per cambiare, il giorno seguente questi rivolgimenti cerebrali – che già andavano avanti da qualche giorno – mi sono poi svegliato con la colite. Testa e corpo sono collegati e il malessere dell’una si riflette sull’altro. Dicono che abbiamo un secondo cervello nell’intestino.


Anche se credo alcune persone abbiano un secondo intestino nel cervello.


Quando ero bambino il dolore era tale che mi costringeva a stare piegato in due tutto il giorno. A volte mi piegavo anche in quattro. Ero un bimbo cubista.

Ora da adulto provo sollievo se tengo le mani premute sull’addome. Solo che se mi affaccio al balcone pensano che voglia spezzare le reni alla Grecia.

Non sono andato al lavoro. Tanto siamo inattivi, in questi giorni, mancando richieste.


E poi avrò tutto il tempo di questo mondo per andarci ancora. Almeno sino a 75 anni, dicono, ma io ambisco ad arrivare oltre. Non mi avranno mai come pensionato: a costo di vivere 90 anni, lavorerò sino all’ultimo respiro. Devo solo trovare il modo di farmi fare Papa.


Al mio ritorno quest’oggi in ufficio, ho trovato CR preda anch’essa di turbe mentali. Ha litigato con l’Ingrugnito e quindi ho ascoltato per un’ora le sue paturnie sentimentali.

Sono sempre disponibile per fornire un supporto. Soprattutto quando non ho vie di fuga.

Ho deciso che nel prossimo post condividerò quelli che sono stati i pareri che le ho fornito: chissà che non possano venir utili anche a chi dovesse trovarsi a vivere la stessa situazione. La situazione di chi ascolta, intendo.