C’è un tale che conosco che racconta cose che in modo palese appaiono come esagerazioni e invenzioni, ma che sembrano far parte del personaggio eccentrico che si è creato. Chi lo ascolta sa del personaggio, così come chi parla sa che gli altri sanno. È un modo per intrattenere, diciamo.
Anche se, delle volte, a me e ad altri fa sorgere il dubbio: lui è davvero conscio di questa finzione generale o pensa forse che gli altri gli credano?
Di individui che contano frottole millantando fatti, esperienze di vita, conoscenze ne ho incontrati; ci sono diversi motivi per cui una persona sceglie di produrre finzioni. Alla base, credo, c’è sempre un disagio.
Confesso di non essermi mai posto il problema con costoro: ascolto annuendo, pensando ad altro.
Mi sentirei più colpito e preoccupato se si trattasse di un mio amico; cercherei di capire perché senta il bisogno di vivere raccontando cose non vere e proverei ad aiutarlo.
Con uno sconosciuto o un semplice conoscente sarebbe più difficile, senza contare che interventi assistenziali creano non di rado sensazioni di fastidio e invadenza non richiesta.
Tendo inoltre anche a fare un distinguo tra i “Pinocchio”: c’è quello cui sembra non mancare nulla nella vita e da cui non mi sento neanche di stare ad ascoltare, quindi, una frottola. È una semplificazione superficiale la mia, forse: puoi avere tutto ed essere lo stesso infelice.
C’è un’altra considerazione che mi viene: è davvero così importante distinguere tra realtà e finzione? Se chi racconta la menzogna – una menzogna che non nuoce a terzi – è convinto che il mondo che sta creando in quel momento sia verosimilmente realistico e se chi ascolta vi presta fede, alla fine cosa è reale e cosa non lo è?
Mi sono trovato delle volte a vivere il caso contrario: una cosa vera che dicevo veniva accolta con diffidenza. Alla fine, che ciò che dicevo fosse vero o meno cambiava poco in quel momento: non venivo creduto, l’esistenza del fatto in sé era come se venisse meno.
Verità e finzione sono allora molto relativi e dipendono dal punto di vista degli interlocutori. Si dice che oggi viviamo nell’epoca della post-verità; i fatti oggettivi passano in secondo piano rispetto alle convinzioni del pubblico. E questo è oggetto soprattutto di analisi politologica, in quanto nella società attuale l’orientamento dell’elettorato (o di parte di esso) pur di fronte a dati concreti non sembra essere influenzato da questi ultimi quanto più da sensazioni, emozioni, umori di pancia.
L’esempio classico è quello di chi, pur messo di fronte all’evidenza del fatto che ciò che sostiene è una bufala, replica dicendo che non gli importa perché il tutto potrebbe comunque essere vero in un universo parallelo.
Senza impelagarmi in pipponi sociopolitici, torno al punto di partenza: se è lecito porsi il dubbio su quel che ci sta dicendo qualcuno sulla sua vita (quindi no argomenti di politica, economia o comunque di interesse pubblico), sarebbe anche lecito intervenire per dirgli di smetterla di dire stronzate, pur consci che tali stronzate a) non arrecano nocumento a noi stessi b) forse fanno bene a lui che le racconta?