Ho letto un articolo che parlava degli studi sull’intelligenza e la coscienza dei polpi.
Quando si parla di intelligenza degli animali bisognerebbe un attimo definire cosa stiamo cercando. Perché non è detto – e infatti non è così – che il concetto di intelligenza che conosciamo noi homo sapiens sia un parametro indicativo.
E poi dovremmo capire dove cercare.
Il polpo ad esempio sembra avere un cervello diffuso su tutto il corpo: ci sono neuroni fin sulla punta delle braccia.
Già questo potrebbe mettere in crisi un’indagine: se noi cerchiamo un’intelligenza dentro una struttura a noi nota e che conosciamo come “cervello”, che ne è del resto del corpo del polpo? Come lo cataloghiamo?
Inoltre il polpo è quanto di più lontano da noi a livello genetico: per trovare un antenato comune tra noi (e gli altri mammiferi) e lui, bisogna andare a 600 milioni di anni fa. Poi non ci siamo più visti e parlati.
Con un background evolutivo così differente, sarà possibile arrivare a una comprensione della coscienza dei polpi?
La stessa cosa avviene secondo me con le persone. Ognuno di noi è la somma delle proprie esperienze. E ognuno di noi ha vissuto e vive esperienze diverse. Con questo bagaglio di evoluzione interiore soggettiva è realmente possibile comprendersi gli uni con gli altri?
Quando io comunico, sulla basa del mio modo di pensare che è a sua volta basato sul mio vissuto, e l’altro mi ascolta, filtrando le mie parole sulla base del suo modo di pensare basato sul suo vissuto, quanto sarà il peso oggettivo dei contenuti e quanto incideranno invece le nostre soggettività?
Quante volte non riusciamo a capirci o fraintendiamo o diamo un’interpretazione diversa dando per scontato che la nostra sia una valutazione oggettiva – cosa che non è?
Riuscirò mai a comprendere quelli che in autostrada viaggiano a cavallo di due corsie senza farti capire se intendono dirigersi su una o sull’altra? Perché lo fanno?
Ricordo quando mi dissero “È per colpa di quelli come te che esiste il male nel mondo” e io ci rimasi un po’ così. In quel periodo c’era la guerra in Iraq (la chiamo guerra perché geopoliticamente parlando sono rimasto indietro di decenni e non mi sono aggiornato), tra le tante cose che affliggevano il mondo. E io sarei voluto andare lì e dire Ragazzi, vi prego smettetela, state facendo un casino solo per colpa mia. Purtroppo voli diretti Napoli – Baghdad non ce ne erano e così alla fine non ho risolto niente.
Una compagna di classe, invece, si infervorò proprio tanto e alzò la voce dicendo “Ma allora che cazzo ci stai a fare al mondo, perché non ti uccidi allora” e in effetti me lo chiesi anche io, non proprio al mondo ma mi chiesi Sì, cosa cazzo sto a fare qui di fronte a te, che a parte sei sempre stata una stronza, ora ti inalberi e attacchi in modo gratuito. Mi ha sempre infastidito la predicazione di amore e il contrabbando di odio che alcune persone mettono in atto.
Uno sconosciuto su un forum fece un’osservazione: “Ma scusa, se tu vedi uno che si sta gettando da un ponte, non corri a fermarlo?” E io pensai che non faceva una piega, come disse lo stiratore mettendo l’appretto. Se non fosse per un particolare: una persona che sta per suicidarsi è una realtà sensibile e oggettiva, mentre tu parli di una cosa che vedi tu. Insomma, provate a immaginare la scena: siete lì che camminate per strada placidi e tranquilli, con le mani dietro la schiena, canticchiando urca urca tirulero
All’improvviso vi si avventa contro una persona che vi abbranca e vi grida Non lo fare! Pensaci! Fermati finché sei in tempo!
Assurdo, no?
Eppure avevo pensato di provare a farlo. Solo che la gente che cammina per strada non credo abbia tutta questa voglia di giocare e poi non si sa mai chi incontri, si possono rischiare le botte. A meno di non avere la prontezza di riflessi di dire Sorrida alla telecamera! Stiamo girando, guardi lì in fondo, vede?
Perché, in fondo, la televisione ci rende tutti più buoni.
Una collega universitaria invece provò a convincermi che in realtà io credessi nel niente e quindi tecnicamente io professassi un credo. Quindi alla fine non si scappa perché uno può pure dir di no ma alla fine crede sempre ed è come se quello che ti dice questa cosa avesse vinto perché ha dimostrato la tua ipocrisia.
Io vorrei dire, al di là del ragionamento capzioso, Ma va là, che scoperta.
Io credo in tante cose. Credo che, avendolo visto per 29 anni, 10 mesi e un giorno, domani il Sole sorga di nuovo, a meno di cataclismi imprevedibili e immediati. Credo che se mangio i peperoni o una qualsiasi cosa che contenga un aroma al peperone, poi mi sento dell’acidità salire dal fondo della gola. Mi hanno detto che bisogna mettere un po’ di zucchero nei peperoni per ammazzarne l’acido, ma finché non provo non ci credo. Credo che non bisognerebbe perdere mai la capacità di emozionarsi di fronte alle piccole cose, perché se poi ci pensi anche questo ti fa sentire vivo. Credo non ci sia bisogno a volte di tante parole, perché le persone spesso vogliono semplicemente essere ascoltate e l’ascolto attivo è un esercizio difficile ma produttivo di benessere per te e per il prossimo. Credo che gli esseri umani siano esseri umani e gli animali siano animali e non si debbano confondere le cose, ma credo anche che possiamo pure mettere camicie a quadri ma al di sotto di esse restiamo dei mammiferi e facciamo tutte le cose che fa un mammifero e questo non andrebbe dimenticato.
Credo nei batteri.
È inquietante sapere che abbiano all’interno del nostro corpo miliardi di microrganismi che influenzano la nostra vita più di un Concilio Vaticano. Magari le nostre scelte, il nostro carattere, le nostre azioni, sono decise dal nostro microbiota. Ti sei svegliato con una voglia di kebab alla cipolla? Magari non sei tu realmente a volerlo, ma è un bifidobatterio microscopico dentro il tuo tubo digerente.
E ho pensato a tutte queste cose mentre oggi rassettavo un po’ casa, approfittando della giornata che sembra primaverile. E ho concluso poi la mattinata operativa dando una bella spazzolata all’anziana gatta. Era da tempo non lo facevo. Vederla che si beava al sole delle mie attenzioni mi ha riempito di gioia. E forse questo non è dovuto a un batterio e mi ha fatto sorridere.
Cogito, ergo meow.
E credo infine che questo qui fosse un bel film, anche se poi per un lungo periodo ho odiato l’eterna adolescenzialità di Accorsi tanto da non sopportare l’idea di vedere un film con lui presente.
Ma cosa c'è dentro un libro? Di solito ci sono delle parole che, se fossero messe tutte in fila su una riga sola, questa riga sarebbe lunga chilometri e per leggerla bisognerebbe camminare molto. (Bruno Munari)
Come quelle coperte, formate da tante pezze colorate, cucite insieme tra loro.
Tessuti diversi, di colore e materiale eterogeneo, uniti in un unico risultato finale: la coperta.
Così il mio blog, fatto di tanti aspetti della vita quotidiana, sempre la mia.