Non è che forse “figli di buona famiglia” vada inteso come “figli di buona donna”?

È notizia di ieri che sono state arrestate 5 bestie per aver violentato una ragazza.

I commenti al fatto di cronaca erano che fossero “Cinque ragazzi normali”.


Un po’ vaga e lacunosa come definizione. Andrebbe spiegato come invece violenta una donna un ragazzo anormale. I media avrebbero il dovere di informare riguardo ciò, cosicché si possa poi riconoscere un anormale a prima vista.


Il TG Regionale si è spinto oltre, definendoli “Insospettabili” e “Di famiglie bene”.

Mi interrogo sempre su cosa sia una famiglia bene. Ho chiesto a Madre:

– Madre, noi siamo una famiglia bene?
– Tuo padre bestemmia da quando apre gli occhi fino alla sera quando li chiude, secondo te?

Il Sindaco del Comune dove è avvenuto il fatto, intervistato, ha detto di essere scioccato, la loro “È una comunità bene”.

Qui le cose cominciano a complicarsi: non è ben chiaro come qualificare una comunità bene e se per caso esista una sorta di Denominazione di Origine Controllata per distinguerle dalle finte comunità bene Made in China.

Per fortuna il Primo Cittadino ha poi aggiunto che “[È una comunità] di gente che lavora”, che è invece una esauriente specificazione.

Sono passato quindi a farmi un piccolo esame di coscienza: non ero neanche preparato, quindi sono andato giusto a tentarlo.

È da tempo che io infatti vorrei commettere un reato.


Credo che ognuno nel proprio bagaglio di esperienze debba averne uno, per vantarsi con gli amici al pub o per usarlo come arma politica invocando una persecuzione giudiziaria.


Non sono orientato su cose turpi e/o aberranti e/o violente.
Penso più a un qualcosa di artistico, come una rapina in banca o in appartamento degna di Lupin o Diabolik.

Ma prima di fare questo passo, devo pormi una domanda: avrei i requisiti giusti per non essere poi etichettato come un criminale della peggior specie, bensì come “Un ragazzo normale”, “Un insospettabile”, “Uno come tanti che vuol bene alla mamma e sognava di fare l’astronauta il calciatore”?


Credo gli astronauti come popolarità siano un po’ in ribasso, basti guardare gli insulti su internet a Samantha Cristoforetti, il fatto che andare nello spazio costa soldi quando invece potremmo investirli in tangenti sulla Terra, o le questioni sul fatto che il Mondo sia piatto e il cielo una cupola chiusa.


1) Innanzitutto c’è il problema di ottenere il riconoscimento di “famiglia bene”. Dovrò informarmi se c’è un ente preposto a tale scopo.

2) C’è la questione del salutare i vicini tutti i giorni, che sembra sia importante. Io rispetto l’obbligo in parte: c’è una famiglia, che abita nel palazzo di fronte casa, con cui ci si ignora in modo freddo come tra blocchi geopolitici sotto Cortina di ferro. C’è poi la vicina nella casa di fianco, che semplicemente se ti vede fugge via.
Costoro potrebbero costituire un problema e danneggiare la mia immagine nel caso venissero intervistati dalle telecamere di Barbara D’Urso.

3) Il lavoro è il vero nodo spinoso. Nel mio curriculum ci sono dei buchi temporali tra le varie esperienze. Potrei dare la colpa alla congiuntura economica, al governo, alle scie chimiche, a tante cose: ma il messaggio che passerà all’opinione pubblica – e io l’opinione pubblica la osservo bene e so come ragiona – sarà che io non ero un gran lavoratore perché non lavoravo sempre.
Dovrei forse mentire sul cv, allungare qualche esperienza, aggiungerne un’altra qua e là.

4) È necessario assumere un’aria rispettabile ed eliminare qualsiasi oggetto personale che possa essere utilizzato per fornire interpretazioni sulla propria personalità a qualche opinionista: come ad esempio le mie fantastiche camicie che, come dimostra il seguente reperto fotografico, vengono anche copiate:


Io son quello di destra e la risposta è no, io e l’altro tizio non ci eravamo messi d’accordo.


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Mi sono quindi reso conto che è veramente difficile oggigiorno riuscire a passare per un criminale insospettabile. Quindi almeno per il momento il crimine dovrà fare a meno di me.

Tanto sembra che in giro ci siano tanti ragazzi perbene pronti a prendere il mio posto.

Bridge over troubled water (un gatto in calzamaglia)

Ammetti che vorresti una calzamaglia e un cavallo bianco.
Sì, certo. Come no.

È stata il mio incubo da bambino. Ogni Carnevale ero costretto a indossare travestimenti ridicoli esibendomi in calzamaglia con le mie gambette secche che pure se non fossero state due stuzzicadenti come le gambe di Lupin, sarebbero stato ridicole lo stesso.

E poi suvvia, come si fa a prendere sul serio eroi conciati in questo modo?
E ammesso e non concesso che voglia sentirmi eroico, il cavallo lo preferirei nero.

E allora vuoi fare Zorro?
Sì, mi garba. Primo perché indossava i pantaloni. E poi perché era tutto vestito di nero.

Si fa per dire, comunque. Non voglio certo fare l’eroe. Tanto per cominciare non ne ho la stoffa, quindi non posso farmici il vestito. Di tessuto ne ho giusto un quadrato, al massimo potrei ricavarci un fazzoletto.

È tutto quello che ho da offrire. Te lo porgo, se hai lacrime da asciugare. E pure se non le hai o non le mostri, tieni lo stesso il mio fazzoletto. Facci un nodo, se vuoi. Che tu possa ricordarti di me.

E io come farò a ricordare senza fazzoletto? No, non c’è problema. La mia testa immagazzina sempre tutte le cose, anche troppo. Infatti vorrei chiamare un architetto e fare un po’ un restyling degli ambienti per fare spazio. Vi ricaverò qualche stanza luminosa e accogliente. Oh, no, non è per me. Già ho le mie, di stanze, in cui mi ci infilo. No, questa sarà una stanza dove poter fare quello che pare e piace. Pure danzare, perché no. Senza téma magari di cadere, perché ci sarò a prenderti.

E poi voglio una piscina. La metto al piano di sotto, all’altezza del petto.
Per ogni volta che al cuore verrà voglia di farsi un tuffo. Pare che stia accadendo di frequente, da quelle parti.

(va bene Simon & Garfunkel, ma il Man in Black è il Man in Black)