Non è che il presentatore televisivo sia uno che faccia telelavoro

L’Università eroga anche per questo semestre i corsi in modalità mista: online e in presenza. Riesco quindi ancora a essere un frequentante. Ho notato alcuni docenti non sono però contenti di tenere i corsi su Teams e non vedono l’ora che si smetta; sarà una coincidenza, ma sono gli stessi docenti che hanno delle evidenti difficoltà con la tecnologia: registrare la riunione, cambiare l’audio da altoparlanti del pc a casse esterne, far visualizzare un Powerpoint; situazioni che li rendono nervosi e insofferenti.

Forse, l’anno scorso, potevano cogliere l’occasione per imparare qualche rudimento di informatica, cosa che credo sia necessaria per tutti ma soprattutto per chi insegna, divulga, fa formazione.

Ma, si sa, del senno di poi son piene le fosse.

Io sono più che contento per i miei colleghi di corso, più giovani di me di 10 anni e più, che hanno potuto tornare in aula. L’università non è – o non dovrebbe essere – un esamificio, dove paghi e ti laurei. È un luogo da frequentare e vivere nel quotidiano. Per questo io mai la vorrei vedere trasformata in una università telematica.

Detto questo, la didattica online permette a studenti lavoratori e lavoratori studenti – come me – e studenti fuori sede di poter frequentare e partecipare. Sono conscio di parlare da persona che ha un interesse e quindi una visione parziale, ma credo che comunque il poter allargare la platea dei frequentanti sia un valore aggiunto per l’università.

Non tutti la pensano così e io credo che prima o poi si tornerà esclusivamente alla modalità di frequenza classica: la tecnologia resta ancora un pericoloso demonio, per alcuni.

Al lavoro, invece, è da Novembre che non abbiamo più a disposizione telelavoro illimitato e si è tornati a due giorni al massimo fruibili in questa modalità. In realtà da Gennaio la Spurghi&Clisteri dove lavoro aveva introdotto la possibilità di un terzo giorno di telelavoro settimanale fruibile fino a fine marzo. La Dirigente del nostro Dipartimento però si è dimostrata ostile a questa eventualità. Sua frase ormai entrata già nel mito: «Non è che se una cosa è disponibile uno allora se la prende solo perché c’è». Giusto. Sottoscrivo. L’ossigeno che lei respira, cara Dirigente, non è che dovrebbe prenderselo solo perché c’è aria a disposizione: ci giustifichi il fatto di consumarlo dando aria alla bocca.

Chiariamo: non baratterei mai una vita fatta di contatti e interazioni vis-à-vis con una vita in cui ognuno sta a casa propria e vede gli altri solo attraverso uno schermo.

Però, avere la possibilità di scegliere quando e come vivere online e offline, su quello forse bisognerebbe rifletterci.

Si diceva che «Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema». Temo invece stiamo proprio tornando a quella problematica normalità. Altrimenti non mi spiego perché, pur avendo bisogno per il mio lavoro solo di un pc e una connessione, sia necessario che la mattina io perda un’ora sulla tangenziale in una scatola di latta per andare in ufficio, a fare cose che fisicamente non sono comunque presenti e svolte né nel mio posto di lavoro, né nella città del mio posto di lavoro e nemmeno nella mia Regione. Tradotto, io mi reco in ufficio per svolgere, comunque, un lavoro a distanza.

Sono tante le persone nella mia situazione: gli stessi di cui vedo le facce afflitte e nervose in altre scatole di latta in tangenziale.

Mi rendo conto ci siano tanti interessi che si scontrano: perché il lavoratore che si sposta non crea danni all’ambiente e basta ma genera anche dei ritorni positivi; penso a tutti i bar e ristoranti che vivono intorno gli uffici, per dire. Il battito d’ali di una farfalla che vuol starsene a casa genera un uragano nel portafogli del povero ristoratore.

Non so quindi quale sia la cosa giusta da fare, se razionalizzare il lavoro a discapito di tutto un indotto che vive grazie a esso oppure lasciare tutto come sta, intasando le strade, l’aria, le arterie del lavoratore che non fa altro che stressarsi ancor di più.


C’è un convitato di pietra che non nomino in questo discorso: il trasporto pubblico. Quando inventeranno il teletrasporto, allora potremo parlarne, per il resto, non credo che, al di là delle deficienze del trasporto pubblico di molti territori italiani, sia possibile pensare che la nostra realtà, fatta di tanta provincia meccanica con i propri Comuni autonomi, sia paragonabile al territorio metropolitano delle megalopoli, dove anche chi vive a 30km dal centro è in realtà parte della stessa città e gli basta prendere una metropolitana per muoversi.


Continuo a essere convinto che lo stile di vita che conduciamo non sia sostenibile e abbia dei risvolti illogici; forse bisognava solo pensarci molto prima.

Come quella volta che, quando ancora c’era a livello generale lo smart working diffuso, un sindaco di una grande città italiana richiamava alla necessità di far tornare tutti al lavoro in presenza, al grido di «Mi viene tristezza a vedere le torri in centro vuote».

Forse ci si poteva pensare prima di riempire di vetro e cemento una città e ingrassare i costruttori. Ma, come dicevo, del senno di poi son piene le fosse.

E del senno di Poe (Edgar Allan), son pieni i gialli?

Non è che si tiene al decoro durante un conflitto perché è sì una guerra ma civile

L’altro giorno un conoscente mi parlava della situazione geopolitica esistente nel parco dove vive.

Per lavori di manutenzione (cura giardino, tinteggiature, ecc), si rivolgono a lavoratori esterni, originari dell’Africa sub-sahariana. Mi raccontava il tipo che per il suo vicinato non sono tutti uguali.

I vicini tendono infatti a distinguere tra il ne*ro e il ne*retto. Il primo è quello normale (non ho chiesto cosa intendessero per normale), il secondo è quello simpatico, che fa battute ed è sempre allegro.

Dato che i lavori che vengono commissionati sono spesso molto pesanti – in particolare la cura del giardino è sfiancante – in genere la famiglia del mio conoscente tende a corrispondere al lavoratore un compenso maggiore di quanto pattuito.

Ciò però ha sollevato delle proteste da parte dei vicini: la maggiorazione del compenso, infatti, rovinerebbe il mercato. Il lavoratore che ha ricevuto la gratifica la volta successiva se lavorerà per un’altra famiglia pretenderà lo stesso trattamento. Ma c’è di più: potrebbe spargere la voce tra la sua comunità e innescare una spirale di rivendicazioni salariali di gruppo che è chiaramente inaccettabile.

Mi raccontava allora che hanno dovuto pensare a compensazioni alternative: offrire pranzo/cena, regali, insomma trattamenti non pecuniari che non causassero uno squilibrio nel mercato con conseguenti proteste del vicinato.

Tutto ciò potrebbe sembrare un’allegoria del sistema economico e/o politico mondiale, invece accade realmente in un semplice complesso abitato. Sono rimasto affascinato. Ho chiesto di vedere questo posto: ho viaggiato molto ma non sono mai stato nell’Alabama degli anni ’60.

Ho provato a immaginare un seguito di questa vicenda.

Il vicinato contrario agli aumenti salariali dei lavoratori a chiamata a un certo punto proclama la secessione dal resto del parco, rivendicando il proprio diritto a una gestione autonoma dell’economia interna.

Il resto del parco non ci sta e ne scoppia una guerra tra le villette confederate e gli appartamenti unionisti. Trincee scavate tra le linee di bosso e lanci di artiglieria pesante fatta da avanzi dimenticati in frigo. Cucchiare sguainate e bidoni dell’umido come fortini.

Come andrà a finire? Solo la storia ce lo dirà!

Non è che serva un parcheggiatore per una manovra di governo

Di questi tempi si sente spesso parlare di manovre. Ad alti livelli si discute se sia meglio una manovra che faccia pentire di essere nati o una manovra che faccia desiderare presto la morte.

Io, che amo sempre impicciarmi di cose di cui non ho alcuna cognizione di causa, ho provato a mettere a punto una mia manovra economica che, per non saper io né leggere né scrivere (ma del resto dove sta scritto che uno che sappia leggere e scrivere ne sappia più di me? E se sta scritto, io non lo so leggere!), credo potrebbe fornire validi spunti per far ripartire il Paese.

1) TAGLIO DI IRAP E IRPEF, che da gennaio 2019 si chiameranno IRA e IRPE.

2) FLAT EARTH TAX: un’imposta aggiuntiva per i terrapiattisti.

3) RIFORMA DELLE PENSIONI D’ORO, che verranno assegnate solo ai vincitori delle Olimpiadi dei Pensionati. Previste pensioni d’argento e di bronzo per i piazzati.

4) REDDITO DI CITAZIONANZA: sussidio speciale per chi passa il tempo a condividere improbabili citazioni e aforismi pseudomotivazionali. Si tratta evidentemente di persone bisognose di assistenza, il reddito di citazionanza dovrebbe quindi fornire loro un supporto.

5) PENSIONI QUOTA 100 slm: avranno diritto alla pensione solo i lavoratori residenti ad almeno 100 metri (o più) sul livello del mare.

6) ECOTASSA: una tassa in più ma che ci si può recare a pagare soltanto a piedi o in bici o altri mezzi non inquinanti.

7) MAXICONCORSO IMPIEGATI STATALI: 1000 posti a disposizione nell’amministrazione pubblica tramite concorso ad estrazione tra chi avrà completato la raccolta punti nei supermercati convenzionati. Prevista una maglietta di consolazione per i non vincitori.

8) GUERRA&PACE FISCALE: una rivisitazione del romanzo di Tolstoj in cui i personaggi sono alle prese con la finanza, l’economia e la dichiarazione dei redditi.

9) FONDI DI CAFFÈ PER L’ISTRUZIONE: gli studenti avranno a disposizione consulenze in caffeomanzia gratuite per poter avere indicazioni sul proprio futuro.

10) SCUDO FISCALE: sgravi nella dichiarazione dei redditi per l’acquisto di armi bianche da difesa paracolpi, volgarmente dette ‘scudi’.

11) TASSA SULLE EMISSIONI per chi ha mangiato pesante e/o etnico.

Mi sembrano proposte fattibili. YES WE CAN CAN, come avrebbero detto al Moulin Rouge se avessero parlato inglese.

Non è che l’Imperatore quando chiedeva una Dieta convocava un nutrizionista

Oggi per lavoro ho dovuto incontrare una nutrizionista. Specifico: l’ho dovuta incontrare a mia insaputa, un po’ come quando a qualcuno pagavano le tasse o compravano case a Roma a sua insaputa.

C’erano dei buchi da riempire in una giornata dedicata alla prevenzione e, per non far brutta figura dato che tale giornata era stata pagata da uno sponsor, hanno infilato dentro anche noi lavoratori.


Qualcuno potrebbe chiedersi che lavoro io faccia per essere coinvolto in tali attività. Semplice, io faccio qualcos’altro rispetto a chi non viene coinvolto in tali attività.


L’incontro è stato interessante ma a mio avviso poco utile.

Per qual motivo dovrei voler vedere qualcuno che mi dice quel che già so e che cioè ci sono cose che se troppo mangiate e troppo bevute portano ad antipatici episodi di morte?

È come andare dall’oculista per farsi dire di smettere con l’onanismo per non perdere diottrie. Lo sappiamo che si diventa ciechi, l’avevo letto da qualche parte quando riuscivo ancora a distinguere i caratteri di un testo scritto!


Adesso scrivo tramite un programma di conversione audio-testuale ma non sono certo che quel che io sto dettando corrisponda a quello che gli altri leggono.


Mentre attendevo il mio turno, mi sono intrattenuto a conversare con la ragazza del Servizio Civile che è impegnata presso la nostra sede. Anche lei era stata convocata in modo coatto dalla nutrizionista ma, a differenza mia che quando devo fare cose che non ho richiesto sbuffo come una locomotiva del West, lei era molto entusiasta.


Credo dipenda dal fatto che rispetto a stare seduti a guardare la crescita della muffa sulla parete o a mandare in stampa documenti qualsiasi altra cosa per un tirocinante possa risultare interessante.


Mi ha raccontato che, purtroppo, ha dei problemi con l’assimilazione del ferro che le causano una leggera anemia.

E poi mi ha fatto:

– Dovresti vedere il mio sangue, non è scuro, è rosso lucido. È un fatto troppo strano e curioso, dovresti proprio vederlo!

E l’ha detto – giuro – con una tale carica di enfasi che per un attimo mi è sembrato un reale invito ad ammirare la sua emoglobina. Stavo per dirle che mi sembrava un po’ affrettata come cosa. Posso sembrare un tipo spigliato e brillante ma su certi argomenti sono un po’ impacciato: se mi invitano ad ammirare il sangue così su due piedi rimango un attimo spiazzato, poi magari mi butto nella situazione ma il tentennamento mi fa a volte perdere il treno.

E chissà per colpa della mia goffaggine quante ragazze avrebbero voluto mostrarmi il loro sangue e le piastrine e il plasma o magari anche dei tamponi usati e io non ho colto l’occasione!


CONSIDERAZIONI SERIE

Non sto facendo ironia su una condizione patologica che può avere risvolti anche gravi, mi sembrava solo curioso – e dopo lo è sembrato anche a lei – l’entusiasmo della ragazza in quel particolare frangente. Lei comunque sta “bene”.


Per quanto riguarda l’incontrare un nutrizionista credo possa essere una cosa utile da fare prima o poi, perché, al di là di conversare sul fatto che abusi di carne rossa/alcool/fumo/triceratopi portano a quegli episodi spiacevoli di morte, si scoprono cose interessanti: ad esempio io dall’alto della mia ignoranza ho appreso che la cena migliore per il recupero dopo gli allenamenti è…il minestrone.

E dire che io mi sbranavo un pollo sauropode dopo il nuoto.


La piramide alimentare è una cosa superata, è il momento delle torri alimentari.

Non è che l’informatico sia salutista solo perché usa la fibra

Cerco sempre di essere gentile con gli operatori dei call center.

Li ritengo vittime di un sistema perverso, incattiviti dalla necessità di mantenere il posto da parte di altre persone incattivite dalla necessità di mantenere il posto da parte di altre persone che forse non sono incattivite ma solo un po’ stronze.

Un esercito di lavoratori che per fortuna non legge Marx né ha una coscienza di classe: non vorrei ritrovarmi nella dittatura del customeriato (cioè di chi non possiede null’altro che i propri clienti).

Nell’interagire con costoro cerco, quando possibile, di mettermi nei loro panni. È facile che si trovino spesso a parlare con persone difficili, scontrose, maleducate. Essendo la negatività un virus – inventato dalla lobby delle case farmaceutiche, ovviamente –  arrivano a fine giornata dello stesso umore delle persone con cui hanno interagito.

Dato che non voglio essere io responsabile di tal cattivo umore, ho sempre qualche parole di cortesia pronta. Buongiorno, grazie mille, buona giornata e buon lavoro.

In generale mi sento portato a comportarmi bene con gli estranei. Questo non in virtù di un qualche precetto etico metafisico.

Ho poche convinzioni nella vita, come quella che nell’amatriciana ci voglia il guanciale. Tra queste certezze, c’è che non mi sento in obbligo di rispettare il prossimo e il remoto solo perché mi osservano.

D’altro canto, paradossalmente, penso che nel fare un torto al prossimo poi mi torni indietro un conto da parte del karma.

Il karma è come un boomerang: ovunque, torna indietro.

Peggio ancora, inoltre, ho il timore che io possa creare un qualche effetto farfalla o effetto domino o effetto farfalle che giocano a domino: magari se sono scortese con l’operatrice questa tornerà a casa nervosa, troverà il figlio che rompe i coglioni e lei, spazientita, quella sera gli mollerà un ceffone e lui, qualche anno più tardi, diventerà rancoroso e ostile verso la società.


Non sono contrario a uno scappellotto ben circostanziato, come forma educativa di trasmissione dei valori incisiva ed efficace, seppur dolorosa.

Gli scappellotti fuori luogo o fuori tempo possono però esser dannosi e generare individui perniciosi per la società. Credo ad esempio che personaggi come Vittorio Sgarbi o Selvaggia Lucarelli o Maurizio Belpietro o Beppe Grillo o tutti gli adepti di Sesso Droga e Pastorizia e pagine affini o quelli che minacciano di morte il prossimo dalla trincea di un monitor o tutta tutta tutta e dico tutta quella parte di umanità che sa dare il peggio di sé siano frutto di ceffoni non dati quando era necessario e dati quando non era necessario.


Questa settimana ho parlato con due operatrici che esprimevano una strisciante acidità senza causale.

Avevo segnalato l’assenza di connessione in casa.

Mi chiamano da un call center TIM. L’operatrice prima mi chiede conferma della segnalazione del guasto, poi vuol farmi passare alla fibra.

– Senta ma se al posto del modem TIM ne utilizzassi uno mio
(stizzita) Eh no non può usare il modem adsl con la fibra, non funziona
– Intendo, un modem mio per fibra
(sempre stizzita) Se vuole può farlo ma poi non ha l’assistenza per la configurazione perché bla bla bla

Avevo smesso di ascoltare.

Le ho detto Sì va bene, attivate e fate le vostre cose. 5 minuti dopo tramite l’assistenza clienti su facebook ho disdetto l’attivazione: nella mia immaginazione lei avrà trovato una vendita in meno e forse riflettuto sul suo modo di fare.

Beata ingenuità.

Ho parlato poi con un’altra operatrice per quanto riguardava il precedente problema di connessione:

 – Da noi qui non risulta nulla all’esterno, il problema è interno la sua abitazione, forse è il modem
– Ho capito
– Deve controllare lei, noi da qui non possiamo vedere
– Ma potrebbe anche essere un problema di filtri?
(stizzita) Potrebbe, io non ho mica detto che per forza il modem è guasto

Mi sono trattenuto dal mandarla a fanculo. Nella telefonata di controllo successiva, le ho dato un feedback negativo.

Adesso sono responsabile di altri due casi di persone ostili nella società.

Non è che al macellaio fifone tu non possa chiedere se ha del fegato

È da qualche tempo che penso ci siano cose che non vadano nel Mondo. Non mi riferisco ai grandi temi, a due con strani capelli che vogliono darsi delle forti testate, alla democrazia con le crisi da Terza Età o all’eiaculazione precoce.

Penso più a delle storture, a realtà coartate.

Ad esempio, le offerte di lavoro. Ogni giorno ne vengono pubblicate migliaia da parte delle aziende.

In realtà quelle sarebbero domande di lavoro. È così che funziona. Non lo dico io ma un qualsiasi manuale di economia. Le imprese domandano lavoro, i lavoratori offrono il proprio lavoro. Vuoi per ignoranza, vuoi per malafede, il rapporto viene capovolto: si dice che le aziende offrono. Gentilissimi.

Forse è la parola lavoro che causa fraintendimenti. Andrebbe sostituita con prestazione, che rende più chiara l’idea. Io (azienda) ho bisogno di una prestazione. Quindi domando (di certo non posso svolgere una prestazione per il lavoratore). Il lavoratore fornisce una prestazione. Quindi offre.

Forse però messa così in termini di prestazione la cosa sembra avere un che di risvolto sessuale. Del resto, spesso chi si approccia al prossimo con l’intento di riemdiare una prestazione sessuale anch’egli fa credere che in realtà la stia offrendo, come se fosse un qualcosa di irrinunciabile o un favore. Quindi forse non c’è nulla da fare e bisogna arrendersi ai ribaltamenti semantici.

La seconda stortura che mi offre – e io non sto nemmeno domandando – grattacapi riguarda l’anaffettività.

Oggi sembra normale e giusto essere degli anaffettivi. E chi ancora riesce a esprimere sentimenti è considerato un poveretto che ingoia unicorni e vomita arcobaleni, o forse un unicorno che defeca umani colorati o non mi ricordo bene cos’altro di equino e cornuto.

Tra parentesi l’immagine stessa degli unicorni ha un che di sbagliato. L’unicorno è uno scherzo della Natura ed è per questo che per fortuna non esiste.

L’immagine della leggera e sognante soavità in cui si accusa di viver gli allocchi emozionali andrebbe a mio avviso collegata a qualcosa di più concreto e sensato.

L’ano di Sasha Grey.

Siamo d’accordo che la zona anale non svolga funzioni nobili ma sono convinto che chi per mestiere trae sostentamento economico dalla summenzionata area sia professionalmente dedito a regolari operazioni di manutenzione, pulizia, convenienza e cortesia, aperti anche la domenica. Quindi al sempliciotto sognante auguriamo – in via canzonatoria – un buon ano (di Sasha Grey).

Se poi sono da considerar io un ingenuo nel credere ciò, allora mi auguro da solo un buon ano.


Gli androidi per il sesso sognano del pecoreccio elettrico?


Gli anaffettivi e tutti coloro che si mascherano dietro il gelo emotivo come modo d’essere soltanto per mancanza di fegato (e parte della cistifellea) hanno rotto il cazzo. Questa non è una frase anaffettiva, au contraire, è una esternazione sincera e profonda di un sentimento. L’odio.

La terza cosa che non mi torna riguarda il buonismo.

La sensazione comune è quella di vivere come se l’espressione buonista fosse sempre esistita. Del resto non si ha memoria di un momento fondativo di tale vocabolo. Potrebbe risalire benissimo alla Preistoria o giù di lì per quel che ne sappiamo.

Io invece credo nell’infanzia di non averlo mai sentito. Può darsi fossi un bambino cattivo e mi dessero quindi del cattivista.

O forse, invece, è una invenzione giornalistica della seconda metà dei Novanta.

È una tecnica di avvelenamento del pozzo. Una stortura del termine buono – come se da oggi cominciassi a prendere parole positive a caso deformandole in -ista per trasformarle in negativo – per definire un individuo ritenuto troppo tollerante o troppo di buoni sentimenti. Il particolare che mi disturba è che tali accuse vengono da chi però non è per niente tollerante ed è privo di alcun buon sentimento (a parte quelli per sé stesso).

È come il caso degli anaffettivi di cui sopra che disprezzano le emozioni degli altri (cioè di quelli che sognano l’ano della Grey).

Forse non resta che adeguarsi per sopravvivere.

Quindi, non fate i soliti anisti!1!!11!

Non è che l’economista sia un maniaco perché gli piace il trucco de “la mano invisibile”

I più attenti avranno notato che ieri fosse 8 marzo, Giornata internazionale della donna.

Si dice che certe tematiche andrebbero celebrate tutto l’anno e non solo in un giorno. Un po’ come dovrebbe essere sempre il giorno dell’amore o quello della salvaguardia dei diritti dei lavoratori o Natale per essere sempre buoni e così via.

È sicuramente un nobile proposito. Io vorrei però mettere in guardia da questi intenti (positivi, sulla carta) a causa delle loro possibili conseguenze nefaste.

Estendere le celebrazioni di queste giornate a tutti i 365 giorni dell’anno avrebbe all’inizio l’effetto di stimolare i consumi. Basti pensare a quanti regali in più si farebbero. L’aumento dei consumi porterebbe a una crescita dell’economia e all’innesco di un circolo virtuoso, perché le imprese assumerebbero di più, aumenterebbe l’occupazione che farebbe aumentare il reddito che stimolerebbe i consumi e così via.

Purtroppo questo è vero soltanto nel breve periodo. Nel lungo periodo, senza entrare troppo nel dettaglio di dissertazioni d’economia politica, il sistema entrerebbe in fase di stagnazione o peggio di recessione.

Il grafico sopra rappresenta il pene di un uomo costretto a comprare sempre regali. Da un certo punto in poi si scogliona e si abbatte.

Inoltre, non tutti potrebbero permettersi di fare acquisti di continuo.

Si potrebbe ovviare con dei gesti gentili. Basta il pensiero, si dice. Ma a lungo andare non ci si accontenterebbe di bei pensieri e questo creerebbe soltanto del malumore nelle persone, oltre ad aumentare l’insoddisfazione generale nella società a causa delle aspettative disilluse.

Senza contare che essere sempre buoni, bravi, gentili, affettuosi, premurosi, rispettosi, comporterebbe uno sforzo mentale ed emotivo non indifferente.

Chi potrebbe mai reggere tale pressione? Se già durante le giornate in cui si ricordano i grandi temi (Olocausto, diritti dei lavoratori, donne, eccetera) c’è chi non riesce a trattenersi dal polemizzare, figuriamoci cosa accadrebbe se tali giornate fossero estese a tutto l’anno.

Lo dico io: ci sarebbe un aumento esponenziale e indiscriminato di esplosioni di rabbia, dovuti alla lunga repressione dei propri sentimenti negativi (perché ci si deve dimostrare sempre buoni, gentili, eccetera). È vero che anche oggi ci sono casi di violenza, ma corriamo il rischio che possano diventare molti di più.

Pertanto, tornando a ieri: sì alla Giornata delle donne, ma che sia appunto una e una sola giornata in cui si compie lo sforzo di emendarsi.

Riguardo il resto dell’anno, lasciamo invece le persone libere di esprimere i propri sentimenti negativi, di continuare a discriminare e odiare, perbacco!

Ah!utunno.

L’arrivo dell’autunno porta con sé tante cose. Riprende il lavoro, la scuola, arrivano cambiamenti, si mettono in cantiere progetti, per le strade si sente odore di mosto (per chi abita in campagna o piccoli centri). Ci sono altre cose che tornano puntuali e che non cambiano mai e che mi spingono a chiedermi: non sarebbe ora di mollare certe tradizioni?

mostri-suv-mammaLa prima cosa che mi viene in mente sono le giovani mamme che accompagnano e vanno a prendere i figli a scuola col Suv. Ho simpatia per le giovani mamme e anche per i loro frugoletti (tranne quelli che rompono i maglioni in luoghi pubblici col beneplacito dei genitori che pensano “ah, finalmente si sfoga con qualcun altro”) ma sul Suv proprio no. Voglio risultare antipatico ma almeno essere sincero. In città già è complicato parcheggiare una Smart, figuriamoci un transatlantico su ruote. Ogni Giovane Mamma deve poi fare a gara con le altre Giovani Mamme a chi riesce a portare più vicino all’ingresso il proprio figlio: se potessero, sfonderebbero il portone col paraurti pur di vincere.

Poi ci sono quelli che cominciano con entusiasmo il conto alla rovescia per Natale. Sono gli stessi che, con l’approssimarsi delle festività natalizie, si lamentano della mancanza di soldi e delle spese da affrontare per regali e cenoni.

I giornalisti intanto sono obbligati a parlare di “autunno caldo” riferendosi ad agitazioni e rivendicazioni di lavoratori e studenti. Anche quando protestano i bambini di un asilo nido di Vergate sul Membro perché i Lego non bastano per tutti sarà per la stampa un autunno caldo.

Nel piccolo di ogni essere umano invece prende forma l’esistenziale dilemma del sabato pomeriggio: la lavo o no la macchina? E se cambia il tempo?
A questa schiera appartengo anche io e ci tengo a precisare che se vado in giro con l’auto rivestita di uno strato di sabbia sporca è solo appunto per incertezza climatica, non pigrizia.

Con l’arrivo del fresco il giacchetto di mezza stagione esce finalmente dall’armadio ma verrà indossato sì e no un paio di volte: il resto del tempo lo passerà sul tuo braccio o sulla spalla per una salutare passeggiata, perché indossato porterà troppo caldo. Quando sarà più fresco, sarà invece del tutto inutile perché non copre abbastanza. E tornerà con mestizia nell’armadio sino a marzo/aprile. L’errore sta secondo me nel considerarlo un capo d’abbigliamento: è invece un mero accessorio decorativo, da portare sulla spalla col braccio piegato all’indietro e la posa da gatto che non deve chiedere mai.

(la parte che segue ora è molto local: mi rendo conto che per mezza Italia sia autunno inoltrato)
Il sole d’ottobre, la gente in spiaggia e i servizi dei telegiornali sulla gente in spiaggia. Io l’ho capito, eh: manipolano il clima per poter riempire i tg di servizi sulla gente in spiaggia e distoglierci dai veri problemi. SVEGLIA! CONDIVIDI! INCREDIBILE! GUARDA I VIDEO CHE IL TUO METEOROLOGO NON VORREBBE FARTI VEDERE!

Ancora il sole d’ottobre: è il 18 ottobre e io faccio ancora merenda con una pesca gialla. Ad agosto Madre comprava pesche gialle dicendo: son le ultime, mangiamole finché son buone. Sono tre mesi che sono le ultime. Vorrei poi dire: ma per caso si stanno estinguendo o stiamo per estinguerci noi? No perché la cosa del “mangiamole, son le ultime” mi mette un’angoscia, suona tanto da imminente apocalisse.

E, per finire: ancora il sole d’ottobre e quelli che si lamentano perché non vedono l’ora di mettere i maglioni. Salvo poi lamentarsi del freddo.

Loro nemici sono quelli che invece si lamentano che le giornate si accorciano, fa freddo e debbono mettere i maglioni. Va bene, quest’anno l’estate è stata così e così (il prossimo che parlerà ancora de “l’anno senza estate” verrà messo in ginocchio sui ceci per 48 ore), ma anche quando c’è stata un’estate lunga da marzo a ottobre con la siccità e la terra spaccata dal sole, c’è stato chi se ne è lamentato della fine!

E, infine, tornano gli ipocondriaci da malanno di stagione: oh no, ho preso vento. Oh no, ho sudato. Ecco, sento già pizzicarmi la gola, adesso mi ammalo, lo sapevo.

Mi presento: sono uno di quelli. Appena s’alza un po’ di vento comincio a mettere il miele dappertutto: tè, latte, ci farei anche la pasta. E ho scoperto pure che esistono varie ricette col miele: primi piatti al miele. Se qualcuno vuole testare e farmi sapere, è ben accetto.