Non è che si paga la bolletta per aver calore umano

Devo reperire un bue e un asinello. Per il presepe? No no, intendo reali per mettere in piedi un sistema di riscaldamento a bestiame.

Il fatto è che a casa stiamo senza riscaldamenti. Notando che non partivano, pur trascorsa la data in cui nella nostra città si poteva cominciare ad accenderli, abbiamo chiesto all’amministratrice di condominio chiarimenti.

Lei, sorpresa dalla nostra sorpresa, ci informa che la caldaia quest’anno non entrerà in funzione: è vecchia e malandata (la caldaia, non l’amministratrice) e il condominio è pieno di debiti e quindi non verrà riparata. A maggio di quest’anno, all’incirca, si è deciso per lasciar ogni condomino libero di scaldarsi come gli pare. La nostra proprietaria di casa non era presente all’assemblea e nega di aver ricevuto comunicazione alcuna di questa decisione. L’amministratrice afferma di aver telefonato a tutti i proprietari.

Poco mi interessa, converrete, di chi sia la colpa della mancanza di comunicazione: questa non alimenta sistemi di riscaldamento ma soltanto batterie di imprecazioni.

In questa settimana, quindi, il mio indice di nervoso è salito ben sopra la soglia critica; poi per fortuna riesco a non permettere alla mia serenità di andarsene a fare un giro abbandonandomi a tempo indefinito. Va bene il dar sfogo al fastidio e all’indignazione, ma poi, ecco, deve ritornar sempre un po’ di solarità. Già viviamo in un’epoca di indignati: come diceva il filosofo? Se guardi troppo a lungo gli indignati, gli indignati guarderanno dentro di te e tu ti indignerai di ciò.

Non è che al cittadino indignato basti una crema emolliente per calmare l’irritazione

Ho riprovato l’ebbrezza di andar dal barbiere e ho smesso di andare in giro con una coppola à la Peaky Blinders per nascondere un tentativo di taglio casalingo mal riuscito.


È bella la coppola ma non quando ci sono 30°.


Andare su prenotazione e non dover attendere un paio d’ore è certamente un’innovazione, ma qualcosa nel contesto è venuto a mancare: le presenze solite.

L’habitat del salone di un barbiere è stato, dai tempi antichi, il social network per eccellenza, dove la predominanza l’hanno sempre avuta i discorsi d’indignazione (magari più pacati ma pur sempre con quel dna di sdegno primigenio).


Prova ne è Per l’invalido, una celebre orazione di Lisia del V secolo a.C.; in questa, l’imputato, tra le varie accuse mossegli doveva difendersi dall’ospitare nella propria bottega (quella di un barbiere, per l’appunto) mascalzoni dediti a insolenze e cospirazioni verso il prossimo.


Io confesso di provare un piacere al limite del feticismo per i discorsi dell’uomo della strada, purché a piccole dosi e dal peso specifico contenuto. Potrei sembrare un po’ borioso e con la puzza sotto il naso – e probabilmente è così – ma il mio non è un esercizio di scherno e dileggio, quanto più un interesse viscerale di chi vuol conoscere e capire il mondo che lo circonda.

Mancandomi il contesto della barberia, durante questi tre mesi ho scoperto, su segnalazione di un amico, un gruppo facebook di indignati (il titolo della pagina precisa proprio che sono degli indignati) della mia città. Mi offre dei retroscena su una realtà nella quale io non mi sono mai integrato e che cerco di recuperare attraverso un’analisi dei contenuti veicolati attraverso lo strumento social.

A inizio quarantena ricordo il post di un cittadino che lamentava di essere uscito di casa per andare a fare la spesa e di aver visto troppe persone in fila al supermercato. Un altro ha risposto “Sì vero anche io, è uno scandalo”, un altro faceva eco “Anche io sono uscito e ho visto un sacco di gente ma cosa hanno da uscire” e così via finché qualcuno ha fatto notare che probabilmente si erano quindi visti tra di loro.

Qualche giorno fa, invece, una cittadina preoccupata postava la foto di un vespidae appoggiato contro la sua finestra, annunciando terrorizzata l’arrivo, anche nella nostra città, del terribile calabrone asiatico o vespa killer: il sindaco cosa fa? Perché non interviene?


Ogni inizio estate arriva la notizia della vespa killer, perché si sa che certe vespe fanno giri immensi e poi ritornano.


A parte qualcuno che faceva notare che al massimo era un comune calabrone, il vero genio è stato quello che ha commentato scrivendo Bravi fate bene proteggetevi: zanzariere di XXX a YYY (nome di città) tel. 000000. Marketing 1 – 0 Indignazione.

Molte poi in questa pagina le segnalazioni di disservizi: la TIM per cadute di linea, l’Enel per interruzioni energia elettrica, le Poste per il postino che sbaglia sempre buca delle lettere. Purtroppo queste aziende, per evidente codardia, ancora non hanno deciso di iscriversi alla pagina degli indignati e le denunce cadono nel vuoto.

Infine, il dibattito che mi ha illuminato: le piste ciclabili costruite per accaparrarsi i voti dei ciclisti.

Analisi del contesto: a fine 2019 è stata creata una pista ciclabile (anche spezzata) che fa il giro di un isolato. Lunghezza: 600 metri. Presenza di noi ciclisti (occasionali e regolari) in città: insignificante. Per dar l’idea, in base al principio Gallera occorrerebbero due ciclisti per formarne uno.


Il principio Gallera è quel fenomeno fisico per cui, per esempio, se metto vicine sul fuoco due pentole d’acqua quando la temperatura di entrambe sarà a 50° potrò dire che la temperatura dell’acqua sarà 100.

 


Però a quanto pare qualcuno ha il timore che una segreta lobby del pedale stia tramando per mettere le mani sulla città.

E secondo me hanno ragione. Ho visto le città europee cosiddette bike friendly: Berlino, Copenaghen, Utrecht e così via. I ciclisti, da noi esemplari timidi e timorati, lì sono sciami sfreccianti che travolgono tutto e tutti. Le strade appartengono a loro, non frenano mai ma scampanellano per terrorizzare come fossero tanti Hector Salamanca.

La verità è che ogni popolo oppresso si trasforma in oppressore: per questo la lobby del pedale fa paura, perché la storia è destinata a ripetersi.

Indignate, gente, indignate.

Del silenzio e altri peccati

Ho perso la mia indignazione in un bicchiere, un cubetto gelido scioltosi nel liquor cerebrale di un pensiero.

Chi sono?

Sono l’applauso fuori da una chiesa, il minuto fittizio negli stadi, la bandiera a mezz’asta e il discorso del Presidente, la tragedia annunciata e il soccorso tardivo, il momento del silenzio e il momento di rimboccarsi le maniche, il titolo in prima pagina e l’editoriale immancabile.

Ho visto, ho viaggiato, ho volato. Tempo, spazio, persone.

Ero nell’intercapedine di un tetto che crolla su tabelline e pensierini, poi in un pilastro che osservava sogni post adolescenziali, prima in un aereo fantasma in mare aperto e, molto prima ancora, in un pendio montuoso a guardia di una sfida ambiziosa alla natura. Ho toccato il tridente di Poseidone che scuote i flutti sotto rottami carichi di speranze, destinati a essere inghiottiti da Talassa. In tema di mitologia, seppi che, altrove, le ninfe acquatiche nulla poterono quando furon pregne di terra, rotolanti, striscianti e struscianti tra centri abitati e vie non più di fuga.
Ho visto stupri, sanguinosi e ripetuti, di terre ridotte a puttane di chiunque, adesso gravide di mostri da liberare tra i vivi.

Sono il passato, il presente, e anche il futuro, perché, come un Uroboro, sono ciclico e ritorno sempre da dove avevo lasciato.

Il mio nome?

I Greci, sempre loro, mi chiamavano Λήθη. Sono fratello di Αλήθεια, “la non nascosta, la non dimenticata”, ma non vado d’accordo con lei.

Voi?
Voi mi conoscete col nome di Oblio.