Non è che una pesca di beneficenza sia un frutto estivo che ti è stato donato per solidarietà

La vita a volte è una questione di sincronismi e di tempi. Sono momenti, intercettati come flussi neutrinici che possono fare la differenza tra un qui e ora esatto e un qui e ora che non era il caso.

Come quando hai fatto merenda alla scrivania con una pesca, di quelle a polpa gialla succosa che ti lasciano filamenti tra i denti e ti alzi quindi per andare in bagno a ripulirti perché non ti par bello farti vedere in ufficio mentre con l’unghia del mignolo ti dedichi alla pulizia dentale.

E, proprio quando ti sei alzato, il collega decide di fare conversazione chiedendoti come sono le spiagge della Puglia, quanto tempo ci vuole ad arrivare, come è il mare, come sono gli scogli, come sono i granelli di sabbia.

E tu non vuoi mollarlo lì e andartene, ma hai questo lombrico giallo che senti ti penzola tra un incisivo laterale e un canino, quindi prima parli con la mano che si tiene il mento e indice e medio che coprono un po’ la bocca, dandoti l’aria di un docente che sta valutando uno studente a un esame di filologia dantesca.

Nel frattempo mentre parli ti avvicini verso la porta lasciando intendere che stavi andando da qualche parte, ma lui sembra non notarlo.

Cominci poi a parlare tenendo chiuso l’angolo della bocca incriminato, assumendo una smorfia da Rocky Balboa.

Infine lui ti libera dalle sue domande e, proprio quando esci dall’ufficio, sarà stato un movimento di lingua spontaneo, sarà un accumulo di saliva stagnante nella guancia causa la smorfia scomoda, il filamento se ne va via da solo.

Son momenti.

Gli anziani disertano bar per riempire centri scommesse (e pure Achille è d’accordo)

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Una scorciatoia dietro casa mia, decorata da inserti di rifiuti che sbucano dal terreno. Sullo sfondo, a sinistra, la gigantesca antenna Telecom

Oggi ho fatto una passeggiata quasi senza meta per la mia città, approfittando della mite giornata autunnale. Ho riflettuto che qui non esco mai se non per uno scopo, che sia vedere qualcuno o svolgere qualche commissione.

Il fatto è che questa città da provincia meccanica non ispira molto a camminare per il gusto di farlo.

Siamo immersi in una conca vegliata dal Gigante e non c’è quindi un panorama. Non c’è il mare, quindi niente lungomare. E nemmeno un lungolago o un lungofiume. Forse l’ultima cosa è un bene, considerando l’attitudine all’abusivismo edilizio che tanti addusse lutti agli Achei italici (e altri ancora continua a farne).

Non ci sono percorsi o luoghi di interesse storico-artistico, a parte una chiesa settecentesca spoglia e la tomba di uno scrittore dell”800.

C’è un parco pubblico molto vasto in cui se non ci si reca per correre, di giorno, per farsi una canna in compagnia o fare robe col partner, di sera, è solo uno scenario di desolante mestizia.

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Non sembra, ma questo qui secondo un architetto doveva essere un ingresso di un parco. Foto scattata dall’interno

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La prospettiva inganna: sembra boscoso, ma c’è un albero ogni morte di papa. E questi stuzzicadenti fogliati che si vedono son lì da 16 anni. Mai cresciuti

Non c’è una vera zona commerciale né negozi tipici o caratteristici. Il commercio qui è in lento declino. Questa città è una rappresentazione in scala ridotta dell’Italia: di tradizione agricola, ha conosciuto il boom economico industriale che ha portato a un incremento demografico. Poi il “boom” ha fatto “spif” come una miccetta bagnata e negli ultimi 25 anni circa 10mila abitanti sono stati persi. E il numero dei residenti dichiarati è superiore a quello degli effettivi che realmente ci vivono.

Così, per dare un senso alle mie passeggiate, i piedi mi conducono sempre verso la libreria dove vado a leggiucchiare. È sempre un pericolo per me entrarci, perché corro il rischio di uscire comprando qualcosa anche quando il portafogli piange. Oggi ho resistito, a malincuore. Non percepire da due mesi lo stipendio è una buona leva dissuasiva (e poi mi chiedono come mai ho la gastrite).

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Tormenti amorosi e ortografici

È tutta qui una passeggiata per la solitudine del cittadino. A meno di non essere un pensionato e ritrovarsi la mattina con i propri coetanei fuori al centro scommesse a barattare la pensione con due chiacchiere e qualche azzardo.

Poi ho pensato di sbagliare io, nel cercare qui qualcosa che non c’è.

Ecco, si dice che la creatività è vedere cose dove gli altri non ne vedono. Ma ostinarsi nel cercare di vedere delle cose non è creativo. È cretino.

Una passeggiata è una buona metafora di vita.

E passeggiando impari a schivare e a subire anche schivate, come interazioni che si riducono in paradossi di Zenone: Achille era uscito per una passeggiata, forse come la mia. Trova la tartaruga ma non riuscirà mai a raggiungerla. Invece di interrogarsi sulla fisica e sulla filosofia, qualcuno ha fatto delle domande alla tartaruga? Probabilmente scopriremmo che non vuol essere raggiunta, altrimenti procederebbe in senso contrario. Sta aspettando che Achille si stanchi e capisca da solo di cercarsi un’altra tartaruga. O forse si compiace tutto sommato che il “piè veloce” si affatichi dietro la sua scia.

Non è meglio ricordarsi allora di esser felino e scomparire un bel giorno come fanno tutti i gatti? Magari c’è un Paese dei Gatti nascosto dietro una siepe, una siepe come quella che hanno divelto dal Parco perché devono sistemarci invece un vetro costato 100mila euro.

Allora non restano che i centri scommesse. Anche quelli son metafore di vita. Si vive di attese e azzardi e intanto il meglio che è nel mondo fuori scorre via senza che ci si renda conto.

Volume al massimo

Dopo tre anni i Massimo Volume hanno prodotto un nuovo disco, Aspettando i barbari, ascoltabile in anteprima qui.

La traccia che ho apprezzato di più è Silvia Camagni, non tanto per l’aspetto sonoro, anzi, che non mi ha preso più di tanto rispetto alle altre, ma per il testo, che ho anche trascritto (sperando di non aver commesso errori).

Silvia Camagni

Se ne andò di casa un pomeriggio di maggio
lasciando che il sole sbiadisse tutto quello che era stato
Portò con sé gli occhi neri di sua madre,
un orologio rotto, la promessa inutile di un indirizzo sbagliato

Poi in un bar lungo la strada,
un ragazzo le chiese della sua solitudine, della sua testa rasata
Lei rispose “Sono la vedova dei vent’anni mai passati
le mie bottiglie sono vuote o sono chiuse
ma la strada è fatta anche per questo
e se vuoi ti aspetto”

Si fermarono a dormire in una pensione a due passi dal mare
lui le offrì il suo corpo glabro e la canzone nella pubblicità di una gomma da masticare
Lei gli mostrò una stanza buia proprio in fondo al suo cuore
“Vorrei invitarti a entrare – gli disse – ma c’è troppa confusione”

Si lasciarono la mattina dopo a un incrocio, senza niente da dirsi,
giusto un gesto del capo
Si lasciarono come tutte le cose destinate a dividersi,
come il mare e la terra, come gli amanti di un’ora

Silvia, stai attenta, copriti meglio
conserva l’amore per quando fa freddo

Qualcuno mi ha detto che adesso vivi a Berlino
che esci la sera, che abiti sola
Io ti sogno ogni tanto che attraversi la strada
ti giri e mi gridi “Fa’ presto”
ma di colpo scompari.