Non è che tratti le ragazze responsabili come telefilm perché le consideri serie

È settembre, ripartono le serie tv, altre nuove ne vengono annunciate e noi tutti siamo in trepida attesa davanti ai nostri schermi.

Purtroppo sapete cosa manca a queste grandi produzioni che ormai rivaleggiano e superano il cinema? Un po’ di italianità, un po’ di quella fantasia nazional popolare che tanto ci è cara. Ed è per questo che sono intervenuto io e, nelle vesti di sceneggiatore, ho provato a riscrivere la trama di qualche serie famosa.

F4: BASITO!


La casa de Spoleto
In questa serie in innumerevoli stagioni, un geniale individuo noto come “Il Professore” escogita piani arzigogolati per fregare lo Stato e fare un sacco di soldi, con l’aiuto dei suoi soci, chiamati in codice: Assisi, Torgiano, Gualdo Tadino e la bella Acquasparta. I Carabinieri brancolano nel buio e non riescono a incastrarlo, finché non arriva Don Matteo che, raccontando al Professore del Buon Ladrone crocifisso accanto a Gesù che, pentito, si raccomanda a lui per la salvezza dell’anima, lo costringe a redimersi. E il Professore inspiegabilmente si redime. Arriva a quel punto la bella Marescialla (interpretata da Nino Frassica) di cui il Professore è innamorato e finisce tutto in sorrisi e tarallucci.

Il racconto dell’amica geniale/The brilliant friend’s tale
In un futuro distopico gli Stati Uniti, trasformatisi in una dittatura, hanno deciso di vivere come se fossero un rione di Napoli degli anni ’50. Tutte le donne sono quindi costrette a vestirsi quotidianamente come in uno spot di Dolce&Gabbana nostalgico e sessista.

La regina dei Cesaroni
La storia racconta di una bambina prodigio degli scacchi che, rimasta orfana, viene adottata dalla famiglia allargata dei Cesaroni. La bambina insegue il sogno di diventare Maestra di scacchi finché Claudio Amendola non la convince che gli scacchi sono roba da borghesi Pariolini ed è meglio andare a tifare Roma allo stadio.

Il Trono di Gomorra
Johnny Snowastano è l’erede di una potentissima famiglia che dominava il Continente Occidentale di Westerondigliano, finché non hanno fatto fuori il padre pazzo in un agguato. Siccome è un po’ un babbeo e non sa niente, viene spedito a farsi un po’ le ossa lontano da casa. Quando torna non sa comunque niente, però c’ha una bella cicatrice perché mi ha detto mio cugino che una volta è morto. Incomincia a trombarsi sua zia perché così la piazza di spaccio di Approdo del Boss – che la zia si vuole pigliare – resta in famiglia, solo che poi si sa come vanno queste cose nella malavita, finisce che le deve sparare in un regolamento di conti.

Provaci ancora Dexter!
La Professoressa Camilla Dexter (interpretata da Veronica Pivetti) si trova a gestire una doppia vita: di giorno appunto quella di insegnante, l’altra, segreta ai più, di torturatrice e killer di studenti ignoranti e indisciplinati. Una serie che, con ironia e leggerezza, ci racconta dello stress quotidiano vissuto da un docente e di come ripulire in modo efficiente i pavimenti sporchi di materia cerebrale.

Un mad man in famiglia
Un occhio puntato sulla famiglia di Don Draper, stimato pubblicitario della periferia di Roma, alle prese con divertenti ed eccentriche avventure che coinvolgono i figli, la moglie, il nonno, l’alcool, le prostitute, la droga, insomma la vita di un qualsiasi italiano medio.

House al Sole
Intrighi, tradimenti, morti sospette, voltafaccia, traffico impazzito, sole e mare e pizza: tutto questo è House al Sole, la fiction che narra le vicende di Franchino Sottobosco, portiere di condominio di Napoli che sogna di diventare Presidente degli Stati Uniti. Purtroppo appunto è di Napoli e quindi al massimo può ambire a diventare amministratore di condominio.


Sono sicuro che queste proposte faranno il picco di audience!

Non è che nella staffetta tra religiosi ci sia il passaggio del Testimone di Geova

Conosco un tale, il quale – tale e quale – è un convinto meridionalista. Di più: è un Borbonico. Di più: fa parte di un movimento che mira a riportare a galla la verità storica, ridare dignità al Sud, denunciare l’oppressione nordista e assicurare ricchi premi e cotillon per il giorno del Ritorno del Re.


Che non è Aragorn.


Questo tale diceva “Siamo tanti e il potere ci temono” prima che diventasse mainstream e appannaggio di altri movimenti.


Però non ho mai sentito il potere dire “Siamo il potere e ci caghiamo sotto”.


Questo tale da quando lo conosco non fa che parlare solo di questo argomento: la questione meridionale, per l’appunto.  Né io né altre persone che lo incontrano per strada l’hanno mai visto o ascoltato intavolare un discorso che vertesse su altri temi. A volte sembra un venditore di Bibbie.

Sono convinto anche io sia necessario rivedere l’analisi storica sul Meridione e combattere i pregiudizi su di esso. Mi sono reso conto, ad esempio, che altrove c’è a volte una visione distorta sul Sud. Alcuni secondo me pensano che viviamo tutti nel set di Gomorra.


È un’opinione difficile da contrastare. All’ultima persona che parlava così ho dovuto sparare nelle gambe per fargli cambiare idea.


Per riportare a galla la verità storica, ridare dignità al Sud eccetera, insieme ad altri movimentisti borbonici, organizza dei piccoli dibattiti – dove nel 90% dei casi l’ospite è sempre il Marco Travaglio borbonico, Pino Aprile -, va in pellegrinaggio sui luoghi dei massacri tra esercito piemontese e esercito reale, scrive a volte degli articoli su qualche giornale locale. Un giorno, a tal proposito, venne da me  – condividevamo lo stesso ambiente di lavoro, purtroppo – sventolando, trionfante, una fotocopia di un articolo di giornale. “Ho risposto a Paolo Villaggio”, disse. Il Villaggio, in quel frangente, in uno dei vari deliri arteriosclerotici della sua epoca senile aveva detto qualcosa contro il Sud. Il nostro, dovendo vendicare l’onore meridionale, aveva replicato indignato.

Chissà se Paolo Villaggio ha mai saputo di ciò.

Il tale l’ho rivisto quest’estate dopo esser tornato dall’Ungheria.


O meglio, me lo son ritrovato davanti girato l’angolo come un Testimone di Geova che ti sorprende mentre sei sovrappensiero e non hai fatto in tempo a schivarlo cambiando direzione.


– Ma te ne vai sempre girando all’estero, ma che vai facendo
– Eh sai com’è, il lavoro
– Sì ma guarda ma se vai sempre fuori poi non combinerai mai niente qua, cioè per me chi non realizza niente nel posto dove è cresciuto e se ne va fuori ha fallito. Ha fallito
– Quindi io sarei un fallito?
– No che c’entra il mio è un discorso generale, sei un guaglione intelligente, ma se vai fuori nessuno ti conosce qua
– Quelli che conosco credo mi bastino e avanzino…
– Come?
– No, dico non conosco abbastanza gente, è vero…

Il tale non crede al vecchio adagio secondo cui Nemo (il Capitano o il pesce?) propheta in patria.

Il discorso sul conoscere diventa chiaro quando ti informa che lui sta lavorando, grazie a un amico di famiglia che l’ha preso con sé. “Se non era per lui”.

Sono sicuro sia bravo nel proprio lavoro, ma mi domando quanta gente brava ci sia in giro. E lui, il tale, sarà il più bravo in quel che fa, non dico dell’universo, ma almeno di un campione rappresentativo di potenziali impiegati in quel ruolo? Non lo sapremo mai, perché il suo amico non ha fatto alcuna selezione.

Allora a volte penso che per ridare dignità al Meridione, oltre a discutere, puntuali ogni anno in occasione della strage di Bronte, su chi fosse realmente Nino Bixio – abbreviazione di Nino Biperio, secondo una leggenda metropolitana su un ignorante studente maturando – a volte sarebbe anche utile valorizzare gli individui sulla base delle loro capacità, e non sulla base dei propri rapporti amicali e/o familiari.

I canali informali per il lavoro potrebbero sembrare pratiche innocenti: non c’è nulla di male a rivolgersi a chi si conosce già o a fare un favore a qualcuno. Ma se il sistema diventa la normalità o quasi, i canali lavorativi formali si ingolfano. Inoltre, utilizzando come criterio selettivo quello della conoscenza, si apre la gara ovviamente a chi ce l’ha più forte.


Beninteso, è una pratica diffusa non solo a Sud di Roma. In realtà esiste ovunque – anche all’estero – ma diciamo che in certi luoghi esiste più che in altri.


Non poteva fare né il fotografo né il centometrista, non avendo un buono scatto

Avete presente quella puntata natalizia dei Simpson in cui Marge si lamenta che ogni anno la famiglia non riesce ad avere una foto di Natale decente? Per anni ho sofferto di questa sindrome della foto sbagliata, in cui in ogni scatto di gruppo ero impresentabile.

Non c’è una foto di classe delle elementari in cui io abbia gli occhi aperti o un’espressione seria, per esempio.

Anzi, no: una in cui magari ero serio c’è. Però ero voltato.
Accadde perché poco prima dello scatto tirai fuori dalla tasca del grembiule una figurina raffigurante Brenda di Beverly Hills 90210 (a proposito: l’attrice Shannon Doherty ha annunciato ieri di avere un tumore al seno. Le faccio i miei migliori auguri e incoraggiamenti di guarigione) perché volevo che nella nella foto comparisse anche lei.

Mi piaceva. E dire che non avevo mai visto una puntata di BH, perché non mi era permesso. Però ne parlavano tutti e si finisce che anche se non hai visto una serie alla fine la conosci. Un po’ come è successo con Gomorra: mi son ritrovato intorno gente che senza aver mai visto un episodio ripeteva le battute a memoria.


DIDASCALIA SOCIALE
Io ve lo dico: avete rotto le palle. Se avete intenzione di fare lo stesso per la prossima stagione di Gomorra, non avvicinatevi a me.


Un giorno notai una figurina di Brenda accartocciata nel cestino della carta. La raccolsi e la stirai per bene con le mani, poi la misi in mezzo ai libri nello zaino. Divenne una reliquia che per qualche tempo portai sempre con me.

Nella foto di classe tentai la mia sortita estraendola dalla tasca: la maestra alle mie spalle mi notò e mi disse “Gintoki posa quella mano”, io mi girai e -clic- in quel momento partì la foto.

Non essendo in epoca digitale, era buona la prima (che era anche l’ultima).

10400086_73034659264_6741853_nQuesto a sinistra invece è uno scatto risalente alla prima elementare: potrebbe sembrare che mi stia tenendo la pancia per un attacco di colite che mi ha mandato in catalessi, in realtà era voluto. Il mio intento era imitare la posa da capo di stato, un po’ Napoleone (la mano), un po’ Churchill (l’espressione seria e imbronciata), un po’ Andreotti (lo stato catatonico).

Il capello a tetto spiovente era utile in caso di pioggia.

foto015In quest’altra foto (4a elementare), invece, avevo inarcato il busto e irrigidito le spalle schiacciando il mento nel collo. Non ho idea di cosa volessi fare, forse anche qui c’è un qualcosa di andreottiano (che ci si vuol fare, erano gli inizi degli anni ’90), ma la smorfia non so cosa volesse significare. Forse la posa era un tentativo di simboleggiare il mio ergermi dalla massa, difatti dei due tapini di fianco a me si può intuire dall’altezza delle spalle che si trovavano più in basso.

Da notare che dal capello spiovente eravamo passati poi al caschetto da Alberto Ascari, che assicurava ottima tenuta anche in caso di vento forte e strada bagnata.

Non sono invece riuscito a trovare né la foto con Brenda né la figurina in questione che pur ero certo di aver conservato.

Gomorra mia, sei uno schianto. Ma i carabinieri si appostano dietro le curve delle donne

Ho rotto la macchina.
Mentre attraversavo le terre di Gomorra (non quelle di Scampia, altre), ho fatto un testacoda su una superstrada e poi bum. Io sto bene, la macchina un po’ meno. Queste terre si distinguono in base alla puzza. Sul serio. Lungo l’Asse Mediano puoi capire il punto in cui ti trovi in base al diverso tipo di fetore che viene fuori dai campi e dai Regi Lagni (che non sono i piagnistei di un monarca, ma canali).

Però ha retto bene. Per fortuna che ho la mia Fiesta.

Però ha retto bene. Per fortuna che ho la mia Fiesta.

Mi piange il cuore. Il mio primo pensiero non è stato lo spavento, né ora mi sento scioccato da quanto successo. La mia paura è per l’auto, che non si possa rimettere in sesto perché non ne varrà la spesa.

Ho dei ricordi.

Ci ho fatto l’amore sui suoi sedili.

E dire che giusto qualche ora prima pensavo di comprare un mini aspirapolvere da auto per pulirla. Poverina, si era fatta un po’ sporchina e volevo darle una pulita.

Non se lo meritava, non dopo 16 anni di onorato servizio.

Poi son successe due cose curiose.
Mi hanno prestato soccorso 3 muratori, mi hanno aiutato a spostarla e segnalato l’incidente alle auto che accorrevano. Dopo alcune domande di rito (stai bene, hai chi chiamare ecc), uno mi fa:
– Sei un carabiniere?
– Eh?
– Sei un carabiniere?
– No.
– Ah, ok. Comunque hai chi chiamare, sì?

Ancora non ho capito il perché della domanda. E vi assicuro non ho la faccia da carabiniere. Insomma, avete mai visto un carabiniere con la barba da Wolverine (sì perché porto la barba così, senza baffo)?

L’altra cosa curiosa, ma non tanto, è che il carro attrezzi accorso, amico di mio zio (che era in zona ed era stato contattato) e che quindi ci ha fatto un prezzo di favore (senza fattura, sennò il favore non lo faceva…e io ho accettato perché in questo momento 100 euro in più o in meno fanno la differenza…lo so, non si fa), aveva fretta di abbandonare il luogo dell’incidente. Sapete perché? Beh, perché i carro attrezzi sono territoriali, dove succede qualcosa è di competenza di chi segue quella zona.

Ignoravo che fossero come leoni con i propri territori di caccia.

Comunque è un bene che io guidi sempre con la cintura. Primo perché sono prudente e secondo perché ho paura di prendere multe. Non ne ho mai preso una in vita mia e di questo sono orgoglioso. Intendo multe al volante, perché poi ho due multe per aver viaggiato col biglietto non obliterato in treno e in tram, ma ero minorenne e quindi ora è tutto in prescrizione.

L’altroieri ho pensato invece mi avrebbero beccato senza cintura. Al semaforo, per prendere il portafogli e dare due monete a un ragazzo senegalese, ho tolto la cintura e non l’ho rimessa, “tanto sono 500 metri fino al lavoro”. E poi son sbucati i caramba appostati. Io non li ho guardati in faccia perché anni fa ho capito che se li guardi ti fermano. Uno dei due però mi ha guardato, anche quando l’ho superato.

Con le persone a volte dimentico di usare le cinture di sicurezza emozionali. In verità mi tedia proprio mettermi alla guida nei territori inesplorati dell’animo, perché non mi fido delle capacità altrui, è una cosa proprio tra me e il resto dell’umanità. Il buffo è che non è che io abbia avuto poi chissà quali incidenti relazionali. Oddio, cos’hai fatto? Un frontale vis-à-vis con colpo di frusta sul cuore e versamenti emotivi? No, mai. Son già rotto di mio. È buffo, ancora, che io nonostante questo mio atteggiamento di chiusura continui ad avere persone intorno a me e persone che mi avvicinano e vogliono fare la mia conoscenza.

Comunque i carabinieri si appostano anche dietro le curve di una donna, per beccarti mentre procedi a fari spenti e senza cintura. Li ho visti i caramba dietro i tuoi fianchi, ho finto di ignorarli ma loro mi hanno preso la targa e, un mese dopo, m’è arrivata la contravvenzione.

Per chiudere questo post, ho pensato una cosa. Due post fa raccontavo delle mie abitudini canore, in particolare proprio al volante. harahel13 e liberadidire79 hanno detto “vogliamo sentirti cantare!”, del tutto ignare di quale sarebbe stato il risultato. Non mi sarei mai sognato di farlo, ovviamente, per tre motivi:
1) Non so cantare
2) Sul serio, non so proprio cantare
3) Non so cantare, veramente.

Poi mi son detto: ma in fondo è il mio blog, il mio blog di cazzeggio e qui dentro faccio ciò che voglio perché noi gatti così agiamo, senza pudore. È tuo quel divano? Sbagliato. Ora è mio! E ho bisogno di esorcizzare l’accaduto e magari non potrò più cantare in quella macchina. Quindi questo sono io in auto che cazzeggio cantando i Corvi. Senza base e con sottofondo di pioggia battente, registrato l’altroieri fermo nel traffico.

 Ascolta a tuo rischio e pericolo.

Dopo questa penso anche di poter chiudere il blog.