Seconda parte della mia storia. Tutto è cominciato perché, l’altro giorno, scavando nei cassetti ho trovato le vecchie copie del giornalino di classe e mi sono un po’ commosso, quindi ho deciso di raccontare del mio sogno di diventare giornalista.
Avevo interrotto la prima parte ai tempi del liceo. Riprenderò da lì, parlando dei miei tentativi di farmi largo in una vera redazione; non menzionerò i nomi delle testate (non che io debba dire chissà che di sconveniente…almeno non per tutte).
Prima, un paio di premesse importanti:
* Come si fa a ottenere il tesserino da pubblicista (dal sito dell’Ordine dei Giornalisti):
Documentare l’avvenuta retribuzione per il lavoro giornalistico svolto, costituisce requisito indispensabile per richiedere l’iscrizione nell’elenco dei giornalisti pubblicisti. Tale retribuzione deve, inoltre, essere adeguata all’attività giornalistica e accompagnata alla documentazione che attesta il carattere di continuità dell’attività negli ultimi due anni.
** La legge sull’equo compenso è entrata in vigore quest’anno e da poco tempo si è anche insediata la commissione che dovrebbe definire tale equo compenso e, anche, redigere un elenco delle testate che garantiscono il rispetto di un equo compenso, dandone adeguata pubblicità sui mezzi di comunicazione e sul sito internet del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri. Il testo completo della legge è consultabile qui.
Il primo vero giornale – L’ultimo anno di liceo, un mio amico e compagno di classe mi propose di scrivere per il giornale col quale collaborava: una testata a diffusione localissima a pubblicazione qundicin…mensi…aquandocapitavale. Visitammo, io e altri aspiranti reporter, la redazione: due stanzette e tre pc. Il direttore non ci fece false promesse parlando di retribuzioni o altro, chiese solo passione e voglia di mettersi alla prova. Occupandomi sempre di cronaca bianca, scrissi per quella testata per un anno e mezzo. Gli impegni universitari, frutto di una scellerata scelta che m’aveva portato a iscrivermi a ingegneria (niente domande, pliz), mi assorbirono poi corpo e mente, costringendomi a interrompere la collaborazione.
Provaci ancora, Gin-chan – Seguirono 5 anni in cui dimenticai completamente il mondo della carta stampata; cosa era successo? Non saprei dirlo con certezza, probabilmente uno dei tanti sogni adolescenziali che poi si spengono per consunzione naturale nel corso del tempo. O così credevo.
Nel frattempo avevo cambiato facoltà e mi ero anche laureato, nel 2009. Fu allora che un giorno ripresi in mano i vecchi articoli che tenevo gelosamente conservati, con la voglia di scrivere che si riaccese. Cercai su internet un giornale che avesse bisogno di collaboratori, trovai una testata online locale che aveva bisogno di articolisti nella mia zona e mi misi in contatto via mail. Risposero dopo un giorno, invitandomi in redazione: solite due stanze con 3 pc in croce. Il direttore mi spronò a cominciare subito a scrivere, ovviamente precisando che non erano previste retribuzioni, facendo però leva su quella parolina: il tesserino*, se avessi voluto. Non ponendomi il problema di come avrei fatto a ottenerlo, io cominciai a scrivere, inviando articoli con una certa regolarità. Mi occupavo di vari temi: cronaca, politica, sport…tutto ciò che poteva essere fonte di notizia. Scrissi per loro per un anno e mezzo, finché, di punto in bianco, notai che da quando fu cambiato il direttore i miei articoli non venivano più pubblicati, anche se il sito era aggiornato quotidianamente. Nessuna comunicazione, nulla. Al che, smisi di inviare articoli. Forse avrei potuto chiedere spiegazioni, ma tanto i nostri rapporti erano solo online, non avevo alcun vincolo con loro, non mi avevano prospettato nulla di più la pubblicazione degli articoli…chi se ne frega, mi dissi.
La breve parentesi calcistica – Nel settembre dello stesso 2009, quando scrivevo da pochi mesi per la testata web, il vecchio amico (quello che mi introdusse nel primo giornale), mi fece un’altra proposta. A quel tempo lui collaborava, precario, con un quotidiano locale. Disse che cercavano collaboratori nella redazione sportiva. Accettai. Finalmente potevo vedere una vera redazione. Quando mi trovai in attesa di essere ricevuto, fuori dalla porta, mi batteva il cuore come se dovessi incontrare una ragazza con la quale mi avevano organizzato un appuntamento. Il direttore, stavolta, oltre a vagheggiare la prospettiva dell’agognato tesserino, ci parlò (a me e ad altri 2-3 volontari) anche di rimborsi spese, addirittura. “In futuro“, parole sue. Il lavoro consisteva nello stare in redazione la domenica, a costruire la pagina del calcio locale, a partire dalla Promozione in giù. Poco più di Scapoli vs Ammogliati.
Oltre a scrivere gli articoli (molto spesso inventando le cose di sana pianta, considerato che il lavoro si svolgeva senza guardare le partite, solo basandosi su commenti raccolti in rete o al telefono), curavo anche l’impaginazione. Era divertente, tutto sommato.
Sono durato due domeniche. Non per volontà mia. Considerando che non ero padrone dell’auto e che la sede del giornale era in un’altra provincia, i miei, considerati gli orari, mi imposero di non andare avanti.
Va detto che di quella redazione non me ne parlarono bene: alcune persone ben informate mi dissero che lì facevano entrare i ragazzi a ciclo continuo e dopo un paio di mesi li mandavano via prima che iniziassero a pretendere, pronti per un’altra infornata. Un collega dell’università, che scriveva per il giornale gemello (stesso editore), mi disse di non farmi fregare, che quelli non erano brave persone.
Fatto sta che io avrei almeno voluto verificarlo da solo, invece non ne ebbi possibilità.
Ultimi tentativi – Prima di lasciar perdere, considerai anche l’ipotesi di una scuola di giornalismo, che permette di sostituire i 2 anni di praticantato obbligatorio con un biennio di studio, compreso uno stage in redazione. Ma spendere 7000 € all’anno (per la scuola più economica) non è una cosa che mi posso permettere né che mi sento di chiedere alla famiglia, che mi ha già mantenuto abbastanza. Vero è che ci sono le borse di studio, ma quasi sempre a copertura parziale e, inoltre, vanno aggiunti i costi per vivere fuori sede.
Siamo quasi ai giorni nostri: l’anno scorso, mentre leggevo delle notizie su internet, vidi che una web testata locale cercava collaboratori. Li contattai, il direttore mi chiamò, invitandomi a prendere un caffè al bar. La visita alla redazione non era contemplata, probabilmente stavolta non c’erano manco le due stanzette coi pc.
Mi spiegò, ovviamente, che non era prevista retribuzione, ma – rullo di tamburi – avrei potuto guadagnare qualcosa se avessi portato sponsor al giornale! Scrivere o fare il commerciale, qualcosa mi sfuggiva. Poi mi offrì la possibilità del tesserino e io, che ormai sapevo ovviamente come funzionava con tutti (o quasi) i giornali locali ma che volevo sentirlo dire chiaramente, domandai in che modo ottenerlo. Semplice: a fine anno lui si sarebbe occupato di produrre la documentazione (farlocca), io avrei versato i contributi. Certo, come no.
Avrei dovuto denunciarlo, ma non avevo prove né volevo mettermi nei guai. Contattai, comunque, l’Odg della Campania per chiedere se vigilassero sulle testate e se avessero una sorta di “lista dei buoni” cui una persona si sarebbe potuta rivolgere, per svolgere un’attività quantomeno non illegale**. Mi dissero di contattare il sindacato dei giornalisti (l’FNSI) per queste cose. Li chiamai, mi dissero di rivolgermi all’Odg. No comment.
L’ultimo tentativo lo feci contattando Luca Telese, che incontrai alla presentazione di un suo libro. Visto che stava aprendo un nuovo giornale, gli chiesi se avesse spazio per un giovane volenteroso. Mi scrisse via mail dicendo: quando apriremo la sede passa a trovarci. Non passai mai a bussare al citofono, però inviai in redazione una lettera, col mio cv e un paio di articoli. Non ebbi risposta, considerando anche che il giornale chiuse dopo poco.
Lasciai perdere del tutto dopo questa cosa e mi concentrai sul lavoro in banca che avevo appena iniziato.
Conclusioni – Non sarò mai giornalista, l’ho capito. Non me la prendo con nessuno, per il semplice motivo che credo di non avere la necessaria bravura per svolgere tale mestiere. Non mi riferisco solo al saper scrivere (cosa di cui neanche sono certo di sapere fare), ma anche all’essere in grado di ottenere ciò che si vuole, farsi conoscere dalle persone giuste, rompere i maroni a chi si deve. Forse un altro al posto mio si sarebbe incollato a quel citofono fino a che non gli avrebbero aperto la porta. Un esempio ce l’ho sotto gli occhi: quel famoso amico che mi ha fatto conoscere due giornali, adesso è un giornalista. Senza spinte, senza essere figlio/nipote/amante di. Si è fatto un culo così per anni, ancora oggi si fa in quattro tornando alle 10 di sera per neanche chissà quale guadagno, però ce l’ha fatta. La domanda è: ne vale la pena di fare una cosa così massacrante? Se è per passione, per me vale sempre la pena.
Dieci anni fa lessi su un diario una frase illuminante: il destino è la strada che separa la rassegnazione dall’ostinazione.