Non è che puoi mettere in freezer i tuoi impegni per rispettare le scadenze

La spesa è un’attività a gestione complicata. Almeno per me. Non sono mai riuscito ad arrivare al livello pro di quelli che riescono, costantemente, a fare uno spesone grande per rifornirsi del necessario. A volte mi riesce, altre no e mi sono trovato certe volte ad andare tutti i giorni al supermercato perché mi mancava sempre qualcosa.

I motivi sono diversi. Il primo è legato alle capacità di stoccaggio delle case in cui ho abitato, compreso questa attuale. O avevo frigoriferi e dispense poco capiente, o comunque spazi di condivisione ridotti.

La seconda questione è legata alle dimensioni della sporta che mi porto dietro, quindi la spesa va misurata su quelle dimensioni (un cesto da supermercato per intenderci). Il carrellino da signora l’ho sempre guardato a una certa distanza, anche se, debbo dire, ne ho visti alcuni di recente che hanno un design alquanto moderno e giovanile e non più quella fantasia tartan da giacchetta del nonno di quelle che se ti strusciava addosso diventavi carico di energia elettrostatica e davi la scossa al gatto.

Le liste non le seguo, anche se ho sempre una serie di cose che non devono mancare mai (es., materiale per colazione, contorni), il resto varia in base alla fantasia e al periodo del mese (es., primo del mese = sushi e pesce in generale, fine mese = gallette di riso).

L’altro problema legato alla spesa è quello della conservazione: se compri una cosa fresca poi per due giorni devi mangiare solo quella per finirla perché ovviamente sei da solo. Basta una sera in cui esco, invitato all’ultimo momento, e il calendario alimenti deperibili salta così come il mio regime alimentare. Io infatti seguo la dieta delle scadenze. Non garantisco che si perda peso ma la sfida del cercare di non arrivare a quel momento di brivido nell’aprire il frigo e scoprire che ci si era dimenticati di far fuori qualcosa è un buon allenamento psicoattitudinale.


La questione sulla conservazione cibi ha delle soluzioni, tipo il congelamento o il cucinare le cose e poi farne porzioni da congelare. L’ho fatto per un periodo, il limite è costituito sempre dalle capacità di stoccaggio e dalla disponibilità dei tupperware che anche stasera mi sono dimenticato di comprare, ecco cosa ero uscito a fare.

 


Non è che si chiamano “rifiuti” perché vuol dire che tu non ne vuoi più saperne

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Cosa rappresenta questa foto? Una pattumiera piena?
Errato.
Questo è il “Bentornato Gin-chan” che mi aspetta ogni sera, perché qualcuna, qualcuna che durante la giornata ha mangiato tortellini Rana e tutta un’altra serie di cose che sono l’equivalente in kcal del fabbisogno di tre persone, una volta che il sacchetto è pieno non si prende la briga di gettarlo.

Ho provato con la resistenza passiva la settimana scorsa, lasciando il sacchetto lì come stava, tanto io di rifiuti ne produco pochi: utilizzo molte cose prive di imballaggi. Il cartone vuoto del latte, l’unica cosa che avrei dovuto gettare, l’ho lasciato in frigo di proposito.

Dopo due giorni in cui il sacchetto è rimasto lì, pieno (anche se la roba al suo interno continuava ad aumentare, tanto da far raggiungere alla busta la densità di una nana bianca*), al terzo giorno, come predetto dalle Scritture, ha preso vita ed è andato a gettarsi da solo. O meglio, l’ha gettato Coinquilino, che è presenza sempre più evanescente in casa.


* Una nana bianca non è una donna caucasica bassa: è una stella di ridotte dimensioni (su scala stellare, ovviamente) ma dalla straordinaria compattezza e densità. Insomma è come fare l’amore in una vecchia 500: lì dentro si sta come in una nana bianca.


Ieri, dopo aver invocato la solita divinità egizia a cui mi rivolgo nei momenti d’ira, sono andato da lei sfondando la porta come Walker il Texas Ranger, dicendo: Vieni un po’ qua, vieni. Senti un po’, amante della Muraglia: ma per caso al Paese tuo la spazzatura ve la tenete in casa e la vegliate senza toccarla come fosse un caro defunto? No perché se vuoi ti piazzo un tabernacolo davanti e due candele e abbiamo fatto l’angolo votivo.

Questo è quello che la divinità egizia mi aveva suggerito di fare. Poi il Dalai Lama che è in me mi ha preso per mano, mi ha fatto bussare la porta e mi ha fatto spiegare ad Astro Nascente che la spazzatura, ogni tanto, si porta fuori.


Ho dovuto portarla davanti al bidone e, indicandolo, dire “Questo, se pieno, si porta fuori”. Non mi sono azzardato a dirglielo in inglese perché, seppur lei mi avesse detto che lo capiva meglio dell’italiano, quando arrivò in casa la prima volta e le chiesi “Where do you come from?” lei mi rispose “Grazie!”.


La sua risposta è stata:
– Aaaah, sì sì capito, grazie, grazie mille.

“Capito”? “Grazie mille”?

Avrei voluto rispondere così, ma il Dalai Lama mi stava ancora osservando, così ho ringraziato anche io e l’ho congedata.

La prossima volta ascolto Anubi.

Non è che solo perché sei giovane tu non possa avere un pasto fisso

Un diagramma di flusso che sinteticamente spiega una conversazione telefonica-tipo con Madre.

Diagramma Madre

Potrebbe sembrare che Madre si preoccupi che il figlio assuma il corretto quantitativo di kcal e nutrienti giornalieri. Il “cosa?” è invece puramente retorico: in realtà non gliene frega nulla, la domanda sussiste in virtù dell’atto stesso di dover sussistere in funzione dello stereotipato rapporto Madre-Figlio del Sud, che viene poi parodisticamente replicato in aneddoti finti e sketch di dubbia comicità da presunti comici dalla dubbia comicità.

Siamo noi stessi il nostro sketch comico e perpetuiamo un sistema fondato sulla derisione delle abitudini alimentari altrui.

Tentando di bloccare lo scorrere del diagramma ho esposto polemicamente le mie rimostranze a Madre, la quale, dopo aver espresso disappunto per il mio atteggiamento acido, mi ha chiesto: Quindi ti stai preparando per mangiare?.

Se ti piace al buio, ecco un post a luci rotte (ma tieniti le mutande)

Ho assistito per giorni al processo di mummificazione di un limone, lasciato da Coinquilino sul tavolo da cucina dopo averne grattugiato la buccia.

Ogni mattina mi siedevo davanti al limone chiedendomi “Lo getterà? O sta tentando di ricreare la scoperta della penicillina?”. Poi ho ceduto io e l’ho depositato nella spazzatura dopo aver sognato che una muffa intelligente mi infettava il cervello trasformandomi in uno zombie. Lo sapevo che prima o poi giocare a The Last of Us mi avrebbe fatto male.

Lo stesso tavolo ho scoperto fosse visitato da delle formiche esploratrici. Come faccio a sapere che fossero esploratrici? Beh, si aggiravano singolarmente come a cercar qualcosa e poi una mi ha visto e ha esclamato “Il Dottor Livingstone, suppongo?”.

Ne ho uccise tre la settimana scorsa, prima di partire per il week end. Sono tornato e ho visto che sono aumentate. Mi chiedo se Coinquilino se ne sia accorto. Ho preferito provvedere io: esistono molti metodi naturali per liberarsi delle formiche, chi più chi meno efficace ma a impatto ecologico zero e facilmente creabili con cose che si trovano in ogni casa.

Pertanto, utilizzateli.
Io non avendo tempo ho preso il Baygon (sponsor time!) dallo sgabuzzino e ho spruzzato di polvere le vie di accesso dal giardino.

Intanto la luce del piano cucina è morta. Suppongo che se la lasciassi così al mio ritorno dopo il ponte del 1° la ritroverei nelle medesime condizioni. È incredibile come ci si accorga dell’utilità di qualcosa solo quando questa non c’è. Speriamo se ne accorga anche Coinquilino e provveda. Oppure magari gli piace cucinare senza riuscire a vedere l’interno della pentola.

Infine, ieri, sempre in cucina sono stato protagonista di un episodio leggermente imbarazzante.

Apro il frigo per prendere il latte, butto uno sguardo fuori e vedo, proprio sulla soglia della porta che dà sul giardino, un paio di mutande da donna. Mi sporgo, guardo su e vedo che la signora del piano di sopra aveva steso i panni, quindi le saran cadute. Beh – ho pensato – si affaccerà e quando se ne accorgerà richiamerà l’attenzione per riprendersele.

Mentre facevo colazione ha ripreso a diluviare e la signora non si affacciava, le mutande eran ancora lì e l’acqua intanto trascinava il terriccio delle piante verso di loro e ciò mi dava molto fastidio. Mi irrita che cose altrui stiano nei miei spazi, poi mi dà ancor più fastidio che le cose si sporchino.

Ho pensato “Gliele metto da parte in un sacchetto”, ma qui si poneva il problema: se mentre le raccoglievo si fosse affacciata lei o qualcun altro? Che cosa avrebbe pensato vedendo uno che raccoglie delle mutande da donna? Quindi son rimasto col braccio bloccato, finché ho realizzato che fosse molto più strano vedere una persona col braccio bloccato e la mano aperta sopra un paio di mutande come se stesse tentando un’incantesimo o un’evocazione, così gliele ho raccolte e gettate in una busta. 10 minuti dopo sento armeggiare al piano di sopra, esco, vedo la signora e le dico, molto timidamente:
– Mi scusi…credo le sia caduto un capo di biancheria…
– Uh! Mi scusi, vengo giù!

E così il prezioso reperto è tornato in salvo, come nelle migliori pubblicità dell’Amaro Montenegro.

Son quasi certo che un film porno iniziasse in questo modo, purtroppo qui al piano di sopra non abita Sasha Grey.

“Ma guarda che sbadata, ho perso le mie mutande!”