Non è che ET andasse in palestra per fare alienamento

L’altro giorno, nel mio girovagare su internet cercando delle notizie di astronomia, mi è ricapitata davanti l’immagine della placca d’oro dei Pioneer, le sonde lanciate nello spazio nel 1972 e nel 1973. A bordo di entrambe, fu posizionata una placca con un messaggio per eventuali esseri extraterrestri:

A parte tutti i significati dei simboli incisi (posizione della Terra nel sistema solare; posizione del Sole rispetto a 14 Pulsar; transizione iperfine dell’atomo di idrogeno), l’attenzione viene catturata dall’immagine di un uomo e una donna, inseriti qui per dire agli alieni “Siamo fatti così”.

Un particolare che mi è sempre stato davanti agli occhi tutte le volte che ho visto questa immagine ma al quale non avevo mai prestato attenzione, è che questa raffigurazione degli esseri umani ha qualcosa che non va.

Tralasciando che, mentre l’uomo è rappresentato nell’atto di porgere un amichevole saluto come fosse il capo mentre la donna sembra abbastanza passiva (era pur sempre 50 anni fa) e che l’uomo sembra un bianco occidentale (era sempre 50 anni fa), c’è una cosa davvero evidente.

Il disegno dell’uomo è anatomicamente fedele. La donna, direi non tanto.

Non ha la vulva. È una Barbie, dalla vita in giù.

Ho cercato qualche informazione in più al riguardo. Si dice che chi preparò il disegno – l’astronomo Carl Sagan, mentre l’artista Linda Salzman, sua moglie, realizzò la bozza da inviare all’incisione – preferì non evidenziare i genitali della donna (che poi era giusto una lineetta verticale) per evitare un rifiuto da parte della NASA. Sempre Sagan poi disse che la donna venne disegnata così perché nell’arte classica, nelle sculture greche, le donne erano sempre così: lisce.

Io me lo sto immaginando un alieno che trova la sonda con la placca d’oro, la guarda, vede la donna ed esclama «Ah! Sì! Proprio come nelle statue greche sul mio libro di storia dell’arte terrestre!».

Oppure, ancora: immagino un alieno che vede il disegno, poi arriva sulla Terra, conosce una donna, la vede nuda e scappa sconvolto perché trova qualcosa che non si aspettava di trovare.

Curioso quindi di capire meglio, ho chiesto direttamente ad un alieno. Ne conosco uno, infatti, della cui identità non posso dir nulla perché mi ha chiesto di preservare l’anonimato. Mi ha proprio detto «Non ho proprio voglia che vengano a ficcar NASA dalle mie parti».

Premessa: mi rivolgerò al maschile con l’alieno, anche se, a quanto ho capito, il concetto di sesso è estraneo alla sua gente: sono neutri tendenti all’Achille Lauro e si riproducono per tassazione spontanea.


In pratica la civiltà aliena ha sviluppato il concerto di aliquota volontaria: il momento dell’accoppiamento è frutto di un movimento di scaglioni, il corteggiamento parte esibendo il CUD davanti all’interessato che, se propenso, prosegue facendo registrare la propria entrata. Termina in breve tempo con una liquidazione.


D: Buongiorno Alieno.
R: Chiamami Al.
D: Al, quindi, vengo subito al punto: hai mai visto una donna terrestre nuda, dal vivo?
R: Ne ho viste più di te, fidati.
D: Sii serio. Cos’hai pensato? Tu avevi visto il disegno sulla placca della Pioneer, vero?
R: Sì. Quel pezzo di latta mi si era incastrato tra le ruote del disco volante. Lo so, qualche lettore tuo penserà Ma cosa ci fa un disco nello spazio con le ruote? Servono per fare le sgommate sugli anelli di Saturno. Comunque: vedo questo disegno e tutti questi simboli che per noi non significano niente – vorrei farlo presente ai vostri scienziati – e resto incuriosito da questi due esseri. E la prima cosa che ho pensato: perché uno ha un’antenna per le comunicazioni e l’altro no?
G: Scusami se ti interrompo: che antenna?
R: Ma lì, guarda (indica tra le gambe dell’uomo): quell’appendice è sicuramente un’antenna. Solo non capivo perché non stesse sulla sommità dell’essere. Poi ho pensato che il centro operativo di questi esseri (intende il cervello) dovesse risiedere lì giù. E devo dire che alcuni terrestri che ho incontrato sembrano confermare la mia teoria.
Il secondo essere però mi incuriosiva di più. Ho pensato che il disegno stesse a significare che prima i terrestri hanno l’antenna e poi gliela rimuovono/la perdono. Guarda qui: il secondo essere sta guardando proprio lì, con rimpianto.

G: C’era un certo Freud che avrebbe discusso volentieri con te di sindrome di castrazione e invidia…
R: Non conosco questo Froid. È un’altra razza di umani? Comunque, dal disegno avevo capito che la vostra razza ruota intorno all’antenna. Dovevo capirne di più e quindi ho cercato di organizzare un incontro ravvicinato del terzo Tinder.
D: Cosa sarebbe il terzo Tinder?
R: Voi siete ancora a due versioni fa. Questa ti cerca contatti in tutta la Galassia e puoi scegliere, strisciando il dito in un verso o nell’altro, se mostrare interesse, rifiutare o far eliminare il profilo.
D: Intende farlo cancellare dall’app?
R: No no, proprio inviare dei sicari a uccidere il soggetto. Comunque incontro questa tizia, ci scambiamo dei messaggi, poi mi manda un video dove mi mostra la cosa.
D: Per “cosa”, intendi…
R: Sì sì, proprio la figa. E poi mi ha detto che mi ha registrato e se non le mandavo dei soldi avrebbe fatto vedere il mio video a tutto l’Universo.
D: E tu cos’hai fatto?
R: Mi sono rifiutato di pagare. Il video è stato diffuso e io ora sono famoso, perché ho rivelato l’esistenza della figa.
D: Beh noi qua già la conoscevamo.
R: E chi se ne frega! Quando il mio collega esploratore, quello lì, Kol-Omb, scoprì la vostra “America” qualcuno si è posto il problema che i suoi abitanti la conoscessero già e non c’era nessuna scoperta? Ringraziateci anzi che non vi sterminiamo! Oramai comunque, per la figa, siete morti!
D: No, senti: morti di figa lo eravamo già da tempo e non serve che arrivi qualcuno a insegnarcelo…
R: Contenti voi…Comunque, toglimi una curiosità: ma che problema avete con la figa? Cioè, io sono un po’ confuso:
– Siete pieni di pornografia sulla figa e ne abusate ma poi la nascondete e la censurate;
– Parlarne per fare educazione sessuale è una cosa per voi sconcia e inopportuna, ma poi per fare pubblicità, vendere, è tutto pieno di riferimenti alla figa;
– Parlate appunto sempre di figa ma poi a volte non sapete usarla o non la conoscete bene.
Cioè insomma, siete una razza ben strana!
D: Senti guarda, ti è scaduto il disco orario volante…forse dovresti partire…

Insomma, come avete sentito anche gli alieni sono confusi.

Non è che chiami un batterista per il trapano perché serve la percussione

Sono sempre pronto a riportare conversazioni assurde che mi capitano ma questa volta devo essere onesto e fare un atto di autodenuncia. Devo confessare che in questo caso sono stato io il tipo assurdo della situazione.

È solo di recente che sto facendo pratica di ferramenta e bricolage, con qualche soddisfazione, invero, ma è un campo in cui mi muovo ancora a tentoni e si nota.

Così, nello scegliere dei reggimensola, mi sono avvicinato all’addetto del reparto, chiedendogli se fossero idonei a reggere 20 Kg.

Lui mi fa: 20 Kg di cosa?
E io, senza esitazione: 20 Kg di peso.
Lui mi guarda, con paterna comprensione. Poi mi fa: Sì…non c’è dubbio che 20 Kg rappresentino un peso…ma parliamo di un singolo oggetto o di pesi distribuiti?.

Dopo aver preso coscienza che peso singolo e pesi distribuiti vanno considerati diversamente per le mensole, arrivato a casa ho fatto un’altra, importante, scoperta. L’impregnante per legno, una volta aperto, dopo qualche tempo (un paio di mesi dalla prima volta che lo avevo utilizzato) è da buttare.

Così la prima tavola di abete è venuta di un colore più scuro di quel che doveva essere. E io mi son detto Va be’, è comunque un bel colore. La seconda, invece, dipinta pochi minuti dopo la prima, è venuta fuori di un altro colore ancora.

Ma la cosa più bella ancora è che dopo aver dipinto le tavole, l’impregnante residuo nel barattolo si è trasformato in una massa gelatinosa refrattaria al pennello e impossibile da raccogliere. Mi ha fatto quasi paura. Ho richiuso il barattolo, chiudendolo dentro una busta e chiudendolo poi fuori il balcone perché avevo paura che nottetempo prendesse vita e mi aggredisse nel sonno.

Com’è come non è, l’operazione mensole si è comunque conclusa bene e si può notare come reggono bene i kg di peso che rappresentano indubbiamente dei kg di peso.

Mentre mostravo, tronfio e soddisfatto, il risultato del lavoro a degli amici, M. fa: Sì bello il trapano fare i buchi eccetera però quando avremo casa nostra poi facciamo fare queste cose a qualcuno.

Ma come? La soddisfazione di aver attaccato delle mensole al muro, con tasselli, viti e sudore&bestemmie, la mettiamo da parte così?

Ma non voglio che ti stanchi, per questo lo dico, si corregge.

Esiste stanchezza e stanchezza, lo sappiamo tutti. Esiste l’esser stanchi a fine giornata per aver risposto per lavoro a questioni inutili e puntigliose da parte di gente neghittosa e indolente ed esiste l’esser stanchi dopo una giornata di mare, incrostati di sale e cotti dal sole, ma rilassati e felici.

E nella scala Stancalli (la scala che misura l’intensità di stanchezza), a un livello non di felicità come quello della giornata al mare ma neanche di pessimismo cosmico come quello del lavoro, metto l’esser stanchi per aver fatto qualcosa di produttivo con le proprie mani.

Sento ancora il braccio e il resto del corpo che vibrano alla percussione del trapano come nei cartoni animati di Paperino, Pippo e Topolino che fanno cose e mi compiaccio di ciò: vuoi tu forse togliermi il piacere di trapanare, ergo?

Sulla cosa del trapano non tiratemi in ballo questioni freudiane: Freud non ha mai messo un Fischer nel muro altrimenti avrebbe avuto meno tempo per le sue speculazioni e più tempo per le mensole.

E tu vieni a dirmi che mi vuoi togliere il piacere del Fischer per affidarlo a uno sconosciuto, che lavorerà al muro rigorosamente con un portabici peloso in bella mostra dai jeans mentre chiede Ma chi l’ha fatto questo muro? No no qua è tutto sbagliato, hanno usato male ecc ecc, perché, fateci caso, quando chiamate qualcuno a fare un lavoro in casa dirà sempre che la cosa cui sta mettendo mano è stata costruita male, peccato solo una volta capitò che l’idraulico che venne a casa a sistemare la vasca chiese chi mai avesse fatto quell’impianto e la risposta fu Voi, 10 anni fa.

Libero trapano in libero Stato!

Non è che un pittore vada in discoteca perché ha un periodo cubista

Oggi la Castora, dopo che in un meeting precedente aveva spronato a produrre di più, ha detto più volte che dobbiamo “push! push! push!” e io su questa cosa di spingere ho continuato a vederci metafore defecatorie, sarà perché forse non sono mai uscito da quella che Freud definiva fase anale o perché ormai lei la vivo come un dito nel sedere.


Quindi comunque torniamo sempre in quella fase.


Non è stato un buon inizio settimana.
Forse il contrappasso per essermi alzato dal letto stamattina in stato d’animo positivo, dopo il fine settimana. L’allegria è cosa vietata dalla Risoluzione ONU 132454, che prescrive che il lunedì l’umore debba invece avere le sfumature degli scarichi di un bagno chimico dopo un concerto dei Meshuggah.

Durante il week end sono andato a far visita alla Trallallà.


Avrei scritto “Sono andato a trovarla”, ma non si era persa.


Ho fatto il viaggio più lungo che ho fatto sinora in vita mia: 12 ore di autobus, partito il venerdì sera da Nepliget – l’autostazione di Budapest – e arrivato il giorno dopo.
Ho dormito a tratti, sempre cercando di trovare la miglior posizione per dormire in un autobus. Dicono che non esista ma io invece ci credo. Spero nelle prossime occasioni di trovarla prima di trasformarmi in un quadro di Picasso, periodo cubista.

Non ricordo molto del viaggio, a parte che quando aprivo gli occhi e guardavo fuori mi sembrava di stare sempre nello stesso posto e, inoltre, due ragazzi ungheresi che avevo alle spalle non facevano altro che divorare snack. Hanno cominciato con le patatine a Budapest e poi molti chilometri dopo hanno concluso con dei sandwich che dovevano contenere dei peperoni, a giudicare dall’odore che spandevano.

A bordo c’era un musicista di strada croato con passaporto ungherese e che parlava italiano che amava far conversazione. L’ho visto attaccar bottone alla partenza con un italiano che aspettava l’autobus accanto a me. Ho subodorato subito che il musicista fosse di quelli appassionati di sartoria, nel senso che attaccava pezze. Mi sono allora allontanato fingendo di aver visto tra la nebbia un lampione che avevo già incontrato a Monaco di Baviera nel 2012.

Ogni volta che aprivo gli occhi, oltre al paesaggio uguale e i due mangioni dietro, udivo il musicista ciarlare.

Poi a un certo punto mi sono svegliato e lui non c’era più. Forse l’avranno ucciso e dato in pasto ai due dietro di me.

Poi non mi ricordo più null’altro, il tempo è trascorso veloce. Ricordo poi di aver aperto gli occhi e c’era la Trallallà seduta sul letto che mi chiedeva di allungarle le mie pantofole per andare in bagno.

Allora ho pensato che tutti abbiano diritto ad avere chi presta loro le pantofole per andare in bagno e il pensiero di aver potuto compiere quest’atto mi ha fatto riaddormentare felice.

Non è che per uno schiaffo il maiale porga l’altro guanciale

Come accennavo nel precedente post, CR è tornata ad avere paturnie sentimentali. Questa è la conversazione che abbiamo avuto venerdì.

G: Ciao!
CR: Ciao Gintoki!
G: Allora, l’Ingrugnito ha trovato finalmente casa, eh?
CR: Lasciamo stare, sono due giorni che non ci parliamo.


(nel frattempo, all’interno della mia testa)
COMANDO 1 A SQUADRA ALPHA: RITIRARSI, È UNA TRAPPOLA! RIPETO, RITIRARSI!


G: Congratulazioni! Avete trovato il segreto per una coppia felice. Ora non vi resta che non parlarvi per i prossimi 30 anni almeno e starete benissimo insieme come tante coppie sposate.


COMANDO 1 A SQUADRA ALPHA: OTTIMA MANOVRA DIVERSIVA


G: Comunque, come mai? Cosa è successo?


SQUADRA ALPHA! NON IN QUELLA DIREZIONE! RISPONDETE!


CR: Lui mi fa innervorsire. Va bene io sono fatta in un certo modo e sono pure cagacazzo, ma non è possibile che…


COMANDANTE, LA SQUADRA ALPHA È CADUTA NELL’IMBOSCATA


CR: …ogni volta debba sempre dirgli cosa fare o cosa non fare. Non capisco perché gli uomini debbano essere così immaturi.
G: Beh, ma non siamo tutti così, dai. Ti invito a correggere quest’affermazione o ti terrò il muso tutto il giorno.
CR: Per esempio, è mai possibile che finalmente trova una casa che gli va a genio e la prima cosa che fa è chiamare gli amici per farli venire a vedere? Stavamo ancora parlando con la proprietaria, manco aveva messo piede che deve chiamare i compagni suoi? Ti pare?
G: Molto scortese. Poteva almeno organizzarsi prima per accoglierli con bibite e qualche salatino invece che a mani vuote.
CR: E poi uno dei due amici viene col cane. E lui senza problemi fa: Sì sì entra, entra.
G: Mah, a casa mia se mi garantisce che è pulito e non sporca, il cane può anche lasciar entrar dentro l’amico per non lasciarlo fuori.
CR: E poi quando finalmente gli amici hanno detto che la casa è un buon affare, lui si è convinto. Quando lo dicevo io sembrava che non mi ascoltasse nemmeno. Ti pare giusto che uno non ti dia retta quando parli?
G: Scusa ero distratto a togliermi del cerume dall’orecchio e non ti stavo seguendo.
CR: Ma poi non è solo questo, io mi sono scocciata di dover stare sempre a riprenderlo, come con un bambino. Non voglio trovarmi, se avremo un figlio, a doverne poi gestire due.
G: Vedila così, se avrete un figlio avrai già un buon allenamento alle spalle. Sai quanta ansia da madre e quanto Xanax potresti risparmiarti?
CR: E poi un’altra cosa che mi irrita è che si giri sempre a guardare le altre. Sai che dice lui? Eh ma noi maschi siamo bestie, che ci vuoi fare. Non so più come farglielo capire che mi dà fastidio. Ho provato a fare finta di niente, a prenderla sul ridere, ad arrabbiarmi.
L’ho preso pure a schiaffi!
G: No, questo non va bene. Potrebbe crearti problemi con la Protezione Animali.
CR: Pure domenica scorsa, stavamo a pranzo dai miei parenti e lui che commentava mia nipote di 19 anni.
G: Ha un futuro da Presidente del Consiglio.
CR: Sai cosa mi preoccupa? In lui vedo gli stessi atteggiamenti di mio padre.
G: C’era uno psicanalista austriaco che ti avrebbe trovata interessante.
CR: E comunque io sono stanca.
G: Sapessi io.
CR: Come dici?
G: Che comprendo la tua frustrazione e il tuo scoramento.
CR: Comunque, tu come stai?
G: Ho la colite. Mi piglia sempre quando sto nervoso.
CR: Eh sta girando questa influenza.
G: Già, è veramente brutto quando parli e non ti ascoltano.

Non è che in bagno tu sia libero di far tutto perché hai carta bianca

L’insospettabile virtù dell’ingannare mentalmente il tempo mentre non te ne cale né tanto né poco di ciò che ti circonda. Un’arte che è sempre bene affinare.

Oggi c’è stato un altro torta-day, per un compleanno di una collega.
Al termine del diabetico lavoro di mascelle, il Doctor Who (il capo) ne ha approfittato per illustrarci le proposte per il nuovo logo della compagnia e la nuova versione del sito internet.

Trattandosi di una novità prevista per un futuro in cui io non sarò più con loro, The Doctah mi ha chiesto di avere comprensione per il fatto che ne avrebbero parlato in ungherese.

Così, da partecipante attivo della concione o brainstorming come dicono tutti quelli che vogliono sembrare al passo coi tempi, sono diventato un semplice figurante, per non dire una sagoma di cartone.

Con in sottofondo un blablagyok e blablakush (ad orecchie estranee così suona l’ungherese) continuo, sorgeva il problema della posa da assumere. Ho preso sottomano il foglio delle proposte di loghi e, con una mano sotto al mento, fingevo di esaminarli con occhio critico.

Trascorsi 10 minuti stavo per assopirmi.
La noia è uno dei miei più grandi nemici e mi attacca con la sua carta più potente: il sonno.

Per tenermi sveglio ho provato ad attivare il cervello tenendolo impegnato. In questi frangenti tendo sempre a pensare a comporre delle liste. Ad esempio, i Presidenti della Repubblica italiani dal 1946 a oggi. Oppure le province italiane, da Nord a Sud. Esercizio più che mai complicato perché le cose sono cambiate molto rispetto a quando 20 anni fa le ho studiate alle elementari. La proliferazione di capoluoghi in Italia è stata tale che oggigiorno è facile ritrovarsi posti che non avresti mai detto, come Vergate sul Membro o Cunnilinguo sul Clito, come provincia.

Purtroppo, queste liste non combattevano l’abbiocco.

Poi mi è caduto l’occhio sul vecchio logo della compagnia. E mi sono reso conto che, stilizzata, al suo interno sia presente una vulva. O forse gli zuccheri della torta Oreush (torta Oreo) mi avevano obnubilato il cervello.


Se fosse qui tra noi, Freud avrebbe sicuramente concordato con me nel vedere una vulva. Anzi, una vulva assediata da un branco di lupi che assistono a un coito a tergo tra un centauro e una silfide, allegoria di un non risolto conflitto familiare presente nell’inconscio.


A quel punto ho iniziato quindi a pensare ai tipi di vulva esistenti. Perché non ne esiste solo una tipologia, anatomicamente parlando, e ogni vulva è bella a donna sua. Ed è un delitto, a mio avviso, che ai ragazzini inesperti come fu per me all’epoca l’industria del porno tenda a presentare invece un tipo di vulva standardizzato. Le attrici ricorrono anche alla chirurgia per avere un “prodotto” conforme a una linea dominante.


È chiaro che il porno stia al sesso come il wrestling alla lotta greco-romana, tutto è costruito secondo dei canoni che enfatizzano o esasperano ogni aspetto degli atti sessuali. È un mondo che deve presentare degli aspetti alienanti; una volta lessi un’intervista su RS di una pornostar – credo si trattasse di Tera Patrick – che raccontava che durante i “ciak” pensava spesso alla spesa da fare o alla cesta di bucato da svuotare.
Se volete leggere qualcosa che mostra con occhio ironico ma attento il mondo che ruota intorno all’industria pornografica, consiglio un saggio di David Foster Wallace contenuto in Considera l’aragosta: Il figlio grosso e rosso, racconto di quando DFW fu presente, come inviato, agli Adult Video News Award, una sorta di Oscar del porno.


Mentre ero intento in queste profonde (quanto un esame con lo speculum) elucubrazioni, CR dice, in inglese, rivolta a me: “L’ha fotografata Gintoki, vero?”

E io sono sobbalzato come se avesse visto nei miei pensieri. E, balbettando, ho chiesto di cosa stesse parlando. Si riferiva alle foto del nostro stabile, che avevo fatto io per una presentazione aziendale.

Interrotto il filo dei pensieri e tornati i colleghi a blablagyokkare, io sono andato in bagno, che è attaccato alla saletta riunioni e separato da essa da una parete sottile quanto un Fassino.

Le tazze dell’Europa centro-orientale hanno una caratteristica: non convergono direttamente verso lo scarico ma hanno una conchetta dove si raccoglie il depositato prima di tirare lo sciacquone.

Non ne capisco il motivo. Forse è per poter dare un occhio alla produzione prima di salutarla definitivamente. Un rimando ai tempi dell’infanzia e del vasino quando il “distacco” è psicologicamente difficile.


Oppure è utile per recuperare gli ovuli di cocaina ingeriti.


Di certo riduce il rumoroso effetto fontanella durante la minzione, anche se vale soltanto per gli uomini. E non per me, perché, essendo io affetto da una sindrome compulsiva che mi porta a voler incastrare ogni cosa al proprio posto, tendo sempre a cercare di centrare il buco di scarico anche al costo di inevitabili contorsionismi urinari.

Proprio mentre mi esibivo in questi esercizi, dall’altra parte hanno cessato di parlare tutti quanti, e nel silenzio generale hanno udito una lunga (effetto del tè verde mattutino) e rumorosa fontana.

Al mio ritorno in sala sono stato osservato. Avrei voluto dire: “Beh? Voi il bagno lo usate solo per pettinarvi?”.

Poi mi sono accorto di aver lasciato la cerniera aperta.