La fine di Cesare

Sono anni che si continua a parlare della fine di Berlusconi e del suo circo di nani e ballerine; sembrano ora tutti in attesa, dopo le recenti tensioni interne al PDL, dell’agguato delle idi di Marzo, con Fini, Bocchino e soci a colpire a morte il ducetto e spegnere i suoi sogni da imperatore. Ma sarà vero? Non è la prima volta che viene dato per finito, ma è sempre tornato più forte che mai e con più capelli di prima. Come dimenticare il funambolico Capezzone nel 2006, che un minuto dopo l’uscita degli exit poll sulle elezioni si presentava in tv trionfante, per il suo quarto d’ora di celebrità, ad annunciare la morte politica del nostro. Qualcuno mi ricordi dove è ora Capezzone.
Lo si dava per finito l’anno scorso, una volta messi a nudo i suoi vizi privati, le sue performance notturne, le sue D’Addario di turno. Poi la bolla dello scandalo si è sgonfiata, la gente ha cominciato a dimenticare e anche dalle pagine de La Repubblica è scomparso ogni accenno alla vicenda che, è evidente, non fa più notizia.
Ora il clima sembra diverso, il re si sente accerchiato, gli scandali nella Protezione Civile, la scoperta della P3, il ghe pensi mi ed i modi autoritari (la nomina di ministri senza sentire il parere altrui) fanno crescere una insofferenza interna al partito, la sua creatura. Si fa largo una fronda interna che mal sembra sopportare il dispregio delle regole, l’accentramento del potere, il culto dell’illegalità (e torniamo all’eroe Mangano) di questo governo. Da più parti si attende “la spallata”, “il ribaltone”, si invocano “le larghe intese”; si contano i cosiddetti finiani, si parla di compravendita di deputati per lasciare il Presidente della Camera con quattro gatti, dall’altra parte si strizza l’occhio a Casini per indurlo a tornare, figliol prodigo, nella casa del Signore.
La fine del mito – Al di là degli inciuci e degli intrighi di Palazzo, sarà veramente giunta al capolinea l’epoca d’oro del berlusconismo? Sedici anni fa Berlusconi rappresentava l’uomo dei miracoli, l’uomo che veniva dai successi sportivi ed aziendali, che prometteva di rendere anche l’Italia come una sua azienda e trasferirci tutti in un gigantesco teatro dei sogni. Un re Mida moderno, che trasformava in figa ogni racchia che toccava. Può un imprenditore essere il Presidente del Consiglio? Per gli elettori sì; in fondo uno Stato non è diverso da una azienda; in fondo, se è ricco, non avrà bisogno di rubare allo Stato o di farsi corrompere; in fondo, anche se non sarà tanto pulito, se sta lì è perché è più furbo e più in gamba degli altri e l’Italia ha bisogno di qualcuno furbo ed in gamba. Questo, in sintesi, il sostegno dell’italiano medio, escludendo cento ed altre ragioni di interesse più particolaristico. Oggi questo mito vacilla, appare sempre più chiaro (a chi non se ne era ancora reso conto) che non esiste il bene pubblico per Cesare, ma l’interesse privato e che le porte del regno di Silvio per i comuni mortali non si apriranno mai.
L’alternativa? – La fine del mito, attenzione, non significa la fine politica del ducetto. Oggi se la rottura interna del Popolo del Libertinaggio fosse insanabile si potrebbe pensare anche alle elezioni anticipate (non prima però di aver sistemato intercettazioni e processi), contando, come si diceva sopra, la perdita derivante da una eventuale emorragia di finiani. Perdita a parte, chi è comunque in grado di fronteggiarlo alle elezioni? Ci è riuscito solo Prodi, riesumato da D’Alema e poi scaricato un paio di volte, l’unico capace di mettere d’accordo una coalizione eterogenea, ovviamente solo in vista dellìappuntamento con le poltrone: si sa che poi i deretani non hanno memoria e vengono meno al loro dovere una volta sottoposti alla pressione corpo-sedia; così la coalizione tanto difficilmente messa insieme si sfascia per ben due volte, permettendo il ritorno trionfale dell’uomo dei miracoli. Oggi la coalizione eterogenea non esiste più e difficilmente esisterà (il supergruppo Pd-Centro-Fini è una pura invenzione giornalistica per riempire qualche articolo), esiste un partito, il Partito Democratico, che dovrebbe essere il faro della sinistra. Se arriva a fare la luce di una candela è già tanto: il buio nelle menti della nomenklatura del partito è veramente impenetrabile.
E la Lega, intanto, sonnecchia e sorride.