Non è che per mettere la testa a posto mi ci voglia la finanziaria

Di economia non ne capisco molto. Per me la mano invisibile è quella che ti fa percepire un dito nel sedere ogni volta che senti parlare di austerità e alla parola keynesiano rispondo di un campo di grano.

Ieri ho dato la mia personale interpretazione di ciò che si intende per finanza creativa.

Abbiamo vinto un progetto da 120mila euro. Centoventimila euro. In 32 anni di vita tra paghette e lavoro non li ho guadagnati ancora. E dire che non ci sarebbe voluto tanto, sono poco meno di 3800 euro all’anno.

In compenso credo che in 32 anni io ne abbia spesi almeno il doppio di 120mila, il che è sorprendente. Sono una pietra filosofale di denaro, trasformo la tasca vuota in spesa.

Questi 120mila euro sono in realtà fittizi. Perché l’implementazione del progetto ce ne costerà 113mila, quindi il margine è in realtà di soli 7000 euro. Più o meno quello che spendo io all’anno in minchiate.

Alle banche, che danno credito e fiducia alla Società, questo non interessa. A loro basta vedere un bonifico in entrata da 120000. Poi puoi anche spenderne 119999 e rimanere coi soldi per una Goleador. Non importa.

Praticamente la Società è come se indossasse un push up finanziario.

Oppure è come se raccontasse ciò che fa in modo enfatizzato. Io faccio lo store account manager e mi occupo dei replacement just in time per la satisfaction dei customers. In pratica lui mette la merce sugli scaffali quando si svuotano.

La finanza quindi è la storia delle relazioni umane.

Non è che alla Finanza bastino due automobiline per vedere uno scontrino

Conosco, nella misura di un rapporto di conoscenza medico-paziente, questo specialista dell’alta-bassa maremma maiala.

La prima volta che sono andato da lui, al momento di compilarmi la ricevuta, nell’udire la mia provenienza mi ha chiesto di una nota industria locale.

E poi ha aggiunto, ridendo: “Sappiamo tutto, adesso. Eh? Degli operai con la caffettiera sulla catena di montaggio durante il turno, ormai è venuto tutto a galla non potete più nasconderlo” chiudendo il tutto con un sorriso sardonico e rivolgendosi a me come se dovessi io direttamente rispondere di operai e caffettiere.


A scanso di equivoci, io non so nulla di caffettiere.


Un paio di mesi fa, quando sono tornato in Italia e sono andato da lui, al termine della visita mi ha fatto, mentre riponeva dei fogli nel cassetto, con l’indifferenza di quello che prende due caramelle invece dell’unica che gli spetterebbe dal vassoio delle sale d’attesa:


So che l’avete fatto.


“Fai la ricevuta o vuoi lo sconto?”.

Io, senza pensarci, ho chiesto la ricevuta. Poi il mio cervello mi ha avvisato che aveva detto sconto e per un attimo confesso di averci pensato perché, diciamoci la verità, non siamo puri e casti e nella mente pensieri sporchi ci vengono.
Poi ovviamente ho preso la ricevuta.

E andandomene immaginavo la Finanza che gli fa un accertamento e, mentre gli compila un verbale da qualche migliaio di euro, gli dice “Sappiamo tutto, eh. Ah Dotto’, lo volete un caffè, il collega l’ha appena fatto?”.


Tra le FdO la percentuale di meridionali mi sembra preponderante e quindi l’accento è verosimile.


E ho scosso la testa dicendomi di smetterla con i voli di fantasia.