Martedì sera un aereo mi riporterà in Terra Stantìa, dove trascorrerò le festività natalizie.
A casa si stanno già preparando le grandi manovre per il ritorno del Royal Kitten. Troverò una tavola imbandita con bistecche alte tre dita e mozzarella di bufala. Alle 23 di sera.
Credo che il 22 lascerò l’ufficio da Piero Fassino e tornerò il 4 gennaio come Giuliano Ferrara.
Ricordo il giorno in cui sono arrivato qui in Ungheria.
Tremavo.
C’era 1 grado quando sono sceso dall’aereo. E il nevischio.
Ero partito con 15.
Altro che escursione termica: è stato un viaggio termico di sola andata con pernottamento all’addiaccio.
Dall’aereo al terminal di arrivo infatti c’era un qualche centinaio di metri da percorrere completamente all’aperto. Al freddo e al gelo. Niente scalette, tunnel riscaldati, niente navette.
E pensare che alla partenza, da Capodichino, fuori al gate c’era un autobus ad aspettare i passeggeri. Nonostante l’aereo fosse a 20 metri dalla porta: in pratica il mezzo ha fatto un giro su sé stesso.
Siamo gente diversa, noi di Napoli.

Tu che la lasci, che posto trovi, di migliore? (Foto di Città metropolitana di Napoli – un blog di Stefano M. Capocelli)
Qui invece sono rudi e duri come solo la gente dell’Est può essere.
Per esempio ho avvistato qualche ragazza in giro con la gonna e senza calze.
I 30 denari li ha considerati buoni per Giuda, non per i collant.
Poco fa ho usato la prima persona plurale (noi di Napoli), ma in realtà io vivo fuori. Sono a 15 minuti d’auto (che possono diventare 60 in certe ore del giorno: un altro scherzo di Albert Einstein) dal lungomare.
La mia cittadina potrebbe un posto qualunque dell’entroterra italiano.
Umido, piovoso e qualche volta anche nebbioso.
Tornerò trovandovi, appena installato (lo faranno il 20: forse è in mio onore), un cacciambombardiere a decorazione di una rotonda. Un omaggio di un imprenditore aeronautico per la vocazione industriale della città.
Tra un bacio sotto il vischio e un bambinello nel presepe, un bel caccia fa proprio tanto spirito natalizio.
Sono contento di tornare.
Famiglia, gatti, qualche amico.
La birra nel solito posto.
Anche se debbo dire che nel corso di quest’anno ho più volte provato una sensazione particolare. Ogni volta che tornavo a casa, dopo uno-due giorni avevo voglia di ripartire. Sento che non ci sia più nulla per me. Avverto una decadenza d’amorosi sensi nei confronti dell’ambiente in cui sono cresciuto.
E pensare che tremavo, al mio arrivo in Ungheria.
Non solo per il freddo. Era terrore.
Sovente, quando mi lancio in qualche iniziativa, mi assalgono pensieri chimelofafareisti. Come se da quell’esperienza potessi non uscirne vivo.
Un appuntamento.
Un colloquio.
Una città nuova.
Un soffitto sconosciuto.
Esempi di attività per me terrorizzanti.
Eppure, sono ben altre le esperienze probanti e rischiose.
Come i/le pranzi/cene natalizi/ie.