Non è che sei un professore se rimandi a settembre

Ieri ho regalato un libro alla ragazza del Servizio Civile. Come pensiero di commiato, visto che questa settimana ho deciso di smettere di andare in sede causa assoluta assenza di attività e lei il 20 invece termina e parte per l’Erasmus.

La settimana scorsa ho tentato invano di elemosinare cose da fare telefonando a colleghi, ma mi sentivo rispondere sempre “Ne riparliamo a settembre”.


Vedete cosa fa il capitalismo? Prima ti fa odiare il lavoro poi ti costringe a pregare di fare qualcosa.

 


Le ho regalato un libro perché mi andava di fare un gesto carino, senza alcun interesse recondito. Più invecchio e più sento di voler semplicemente selezionare persone cui voler bene e che me ne vogliano. Oggi invece un’amica mi ha confessato che è contenta del nostro rapporto: non ci sperava più dopo che in passato per un periodo ci eravamo allontanati.

Forse sto diventando una brava persona.

Per riequilibrare mi concedo piccoli atti di cattiveria generica e astratta.

Insulto automobilisti con epiteti nei principali dialetti italiani. E cerco di impararne anche di nuovi, con la giusta cadenza.

Quando sono in fase di sorpasso con il lato destro occupato da un’altra vettura – e quindi senza poter rientrare immediatamente – e arriva quello lì da dietro che da 1 km di distanza inizia a sfalanare senza rallentare, a me viene da prendermela comoda. Appoggio il gomito alla portiera, alzo lo stereo, scenderei a prendermi un caffè se potessi. Voglio che quello dietro sappia che me ne batto i coglioni della sua idiozia, perché se io – inizialmente – non scompaio dalla corsia non è per indolenza ma perché non posso gettarmi su un’altra vettura. E se non vado più veloce è perché 130 è il limite, non 180 e i Tutor son pure tornati. Accetterei una tale fregola se avesse accanto la moglie in travaglio che scendendo le scale è caduta rompendosi la tibia che le ha anche lacerato la carne provocandole un principio di dissanguamento con lui invece che ha urgente bisogno di un trapianto di reni, ma dato che dallo specchietto non vedo nulla di tutto ciò ma soltanto un tizio con gli occhiali da CHiPs e uno stecchino in bocca, io me ne batto i coglioni.

Penso di avere già raccontato di avere una vicina che quando esco di casa e lei è in giardino, fugge. Si eclissa, puff. Non le ho fatto nulla, giuro. Questa storia va avanti da quando ero bambino. Una volta mi facevo problemi, rientravo in casa – o mi allontanavo da essa se stavo uscendo – il più velocemente possibile per non inibirla o impedirle di riprendere a fare ciò che stava facendo.

Ora non me ne frega nulla. Resto in giardino a contare le formiche con una tazza di tè in mano e un sigaro – di quelli cubani che durano due ore – nell’altra.

Perché va bene crescere e aprirsi al mondo. Ma non esageriamo.

Non è che al re amante della birra piaccia solo la Corona

Ogni tanto mi vesto anche io da turista e faccio cose turistiche.
Ieri sono andato a visitare il Parlamento ungherese, cosa che in più di un anno complessivo da quando mi trovo qui non avevo ancora fatto. E, citando DFW, è una cosa divertente che non farò mai più.

Il biglietto d’ingresso costa più o meno 7 euro, per mezz’ora di tour in cui vi verranno spiegate le cose che non si possono visitare perché non accessibili al pubblico.

L’acquisto può essere effettuato online o direttamente alla cassa (in questo caso solo per il giorno stesso), selezionando la visita guidata nella lingua desiderata.

All’inizio ero tentato di acquistare il biglietto per il tour in inglese, perché io son cittadino del XXI secolo, la generazione Erasmus, abbiamo imparato la lingua con Super Mario e i porno online, non perdiamo mai occasione di far pratica di lingua perché siamo sempre un passo avanti.

In realtà volevo acquistare il biglietto per la visita in inglese perché detesto i turisti italiani.

Detesto i turisti in generale, chiariamo, ma almeno per quelli stranieri posso evitare di prestare attenzione alle baggianate che dicono, disattivando il filtro linguistico.

Il Parlamento all’interno è suggestivo e la visita fornisce al visitatore dettagli statistici utili per una partecipazione a un quiz a premi.

Alcune pillole:

  • È alto 96 metri come la Basilica di Santo Stefano in centro
  • Le due ali sono simmetriche
  • L’edificio è il terzo più grande del mondo dopo quello del Parlamento di Buenos Aires e quello di Bucarest
  • Il soffitto della scalinata è decorato da 40 kg di oro zecchino
  • Per la sua costruzione sono stati utilizzati quasi totalmente materiali ungheresi
  • La sala a cupola in cui sono custoditi i simboli d’Ungheria (corona, scettro, spada e globo crucigero) sotto una teca è l’unico posto dove non è permesso scattare fotografie

Attendevo con ansia quanto ci sarebbe voluto prima che qualcuno del gruppo venisse redarguito per aver tentato di scattare una foto. Dopo due secondi dall’ingresso nella cupola, una ragazza è stata colta in flagrante.

Un gruppetto di perdigiorno di non più di 25 anni invece ne ha scattata una di nascosto perché “Col cazzo che torno a casa senza, l’ho scattata a (non sono riuscito a capire dove) mo vuoi vedere che qua non ci riesco”. Ho provato a immaginare che il gesto di questo giovane non fosse per sfida ai divieti. Magari ha una triste storia alle spalle, un padre prepotente che lo malmena: “Non ti ho mandato a fare il turista in giro per tornare a casa senza uno straccio di foto!”. Purtroppo la mia immaginazione peggiora sempre più, quindi per me il giovane resta una semplice testa di cazzo.

La croce in cima alla corona dal 17° secolo è inclinata e non è mai stata rimessa a posto. Secondo la guida “Gli scienziati non sono d’accordo sul perché”. Non è chiaro il perché di cosa, il perché sia inclinata o il perché non sia stata rimessa a posto.

Comunque è inclinata perché è caduta a terra. Sappiatelo ma non ditelo alle guide.

L’Emiciclo che viene mostrato ai turisti non è più utilizzato, dato che l’Ungheria ha un sistema monocamerale dal 1944. È osservabile da un balconcino, punto in cui ho scattato questa pessima foto, aggravata dal fatto che lo smartofono con una risoluzione migliore l’avevo dimenticato a casa:

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È vuoto perché sono andati tutti a ka$aaaaaaaaaa1!1!!!!11!!

Alla fine della visita il gruppo ha fatto un applauso alla guida. Calatomi nell’atmosfera, ho applaudito anche io complimentandomi per l’ottimo atterraggio.

Non è che al giardiniere per orientarsi serva una piantina

Cercare casa ti mette sempre in contatto con situazioni antropologicamente interessanti.

– E com’è il vicinato*?
– Credo ci si stia trasferendo gente ricca. Ebrei, sai.
– …Ah…


* Domanda di rito che pongo sempre alla fine dell’ispezione dei locali.


Persiste in questo Paese una malcelata acrimonia verso gli ebrei. Più che altro è invidia per la loro (presunta) ricchezza: l’ungherese medio pensa sempre al danaro ed è alquanto micragnoso e taccagno.

Ho visto poi una casa in zona Corvin-Negyed. Il proprietario è un italiano: all’arrivo sul posto mi è venuto incontro questo tizio che sembrava Joe Pesci in Mio cugino Vincenzo. E non perché fosse un avvocato, ma per l’aria da intrallazzatore.

La casa era un buco con pareti scrostate e ammuffite e mobilia da discarica. Niente riscaldamento, solo stufetta elettrica. Niente spazio per appendere i panni. Anche perché o entravano i panni in casa o ci entravi tu: non c’era spazio per entrambi.

Il suo asso nella manica erano le vicine di casa alla porta di fronte (così di fronte che non si potevano aprire contemporaneamente le due porte), in un appartamento sempre di proprietà del Cugino Vincenzo. Due ariane studentesse Erasmus, che, guarda caso, sono rientrate in casa proprio quando sono arrivato io, come per farsi vedere di proposito!

In virtù di questo optional aggiunto stavo per tentennare e prendere la casa, poi ho pensato che ho una salute da salvaguardare – non posso vivere con la muffa alle pareti – e un rapporto in Italia da tutelare dalle tentazioni Erasmus.

Sempre a Corvin ho visto un monolocale appena ristrutturato. Era tutto così nuovo che il frigo aveva ancora il cellophane.

Il problema era che, a parte l’affitto alto, la casa si trovava in uno stabile che sembrava uscito dalla guerra. Uscito male. Pareva l’avessero bombardato. Per dirla in napoletano, era scarrubbato.


Adoro questa parola, perché mentre la pronunci forma con sé anche l’immagine: scarrubbato. Quando lo dici vedi qualcosa che crolla.


Altre case che ho visto pure puzzavano di muffa o avevano la scala del soppalco della zona notte troppo ripida. Già mi vedevo a ruzzolare giù al mattino. Un metodo di risveglio efficace, quantunque doloroso.

In ogni caso, nel giro di due giorni ho trovato casa: non sono più un senzatetto.
Il monolocale non puzza, non ha scale assassine, ha ben due (!) finestre e il proprietario è una persona gentile e onesta.

Quando gli ho portato la caparra, gli ho dato i soldi chiedendogli di contarli e mi sono dedicato a leggere il contratto. Nel gruzzolo sapevo che c’erano 10mila fiorini in più e volevo constatare se me l’avrebbe fatto notare. Cosa che ha prontamente fatto, con mia soddisfazione.


Se può sembrar da pazzi, meglio ch’io allora non racconti quali e quanti svariati test io faccia sulle persone per valutarle. Forse anche questo blog potrebbe essere un test per chi lo legge.


La prima cosa che ho fatto dopo aver avuto le chiavi, è stata comprare una piantina di aloe per decorare la finestra. L’ho presa senza pensarci, poi dopo averla sistemata ho realizzato: una piantina è un bell’impegno. Cioè non posso riportarla a casa in Italia come se fosse un soprammobile. Vuol dire che ho intenzione di stare qui almeno un anno: già sapevo questo, ma il fatto di avere un qualcosa che mi dà l’idea della stanzialità (Il cielo in una stanzialità) è una prospettiva nuova.

Non potresti lasciar perdere, qualche volta?

Lo so, il titolo non contiene alcuna freddura o gioco di parole, ma è una esplicita invocazione.

Per chi? Ma per Madre, ovviamente.

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Madre ha un dono: la contestazione subdola. Quella che non è una critica aperta – della serie “Per me stai sbagliando” – ma un sottile invito alla riflessione. Sulla base di una critica.

Ad esempio, Madre ha offerto degli interessanti spunti riguardo il mio trasferimento ungherese.


Forse sto diventando monotematico nei post, ma questo è il mio argomento personale al momento. Non ho gatti qui né donne di cui parlare! Forse domani mi riduco a discutere del Natale. A modo mio, ovviamente.


Sul lavoro:
– Ma quindi questa società è ungherese?
– Italo-ungherese. Infatti hanno una sede anche a Firenze.
– E non potevi farti mandare là?
– …
(Madre che forse pensa io sia un imprenditore tipo Bruce Wayne o Tony Stark e quindi non sono gli altri che scelgono dove io lavori, sono io che decido dove, come, se e quando lavorare)

Sul viaggio:
– E con chi parti?
– W!zz Air.
– E non potevi prendere un’altra compagnia?
– …
(Madre che l’unica compagnia aerea che conosce è l’Ah! L’Italia)

Sulla casa:
– Quindi questa casa che hai trovato è da condividere?
– Sì, te l’ho detto. Ha due stanze, l’altra la vuole una ragazza.
– E non potevi cercare una casa solo per te?
– …
(Madre che pensa che qualsiasi altra persona in casa che non condivida il tuo codice genetico porti malattie sconosciute)

Tra parentesi, ho dato un’occhiata a due case “solo per me”. La prima era quella della simpatica coppia, il marcatore di territorio e la bambolina amanti dei gatti. Un bugigattolo con qualche problema di umidità, anche.

La seconda l’ho vista ieri mattina, attualmente occupata sino ai primi di dicembre.

Quando la proprietaria ha aperto la porta, mi si è parata davanti una cagnetta, dietro alla quale, sicuramente appena svegliatasi, è comparsa poi una tedesca rossiccia.


In realtà non le ho chiesto da dove provenisse, ma dal viso sembrava tedesca. Poi magari poteva anche essere di Casalpusterlengo e fingere di essere di altrove.


Era incredibile lo stato di disordine e sporcizia in cui aveva ridotto il tutto. Stamattina la proprietaria, evidentemente avendo colto sul mio volto – che rima! – qualche mia perplessità, mi ha scritto dicendo “Hey, ho chiesto alla ragazza di sistemare l’appartamento, se magari vuoi dargli una seconda chance per un’occhiata”.

La cosa più divertente è stata quando lei – la proprietaria, sempre – ha aperto il ripostiglio-guardaroba per mostrarmi quanto fosse spazioso e dietro la porta sono apparse una decina di bottiglie di vodka vuote e 4-5 bottiglie di un altro liquore che non ho avuto il tempo di identificare. Beh spazioso per lo stoccaggio dei vuoti da riciclare lo è!

Facciamo che non ci voglio vivere in una casa che ha visto degli erasmus.
Almeno quella che ho trovato con l’asiatica è stata appena rimessa a nuovo e sugli erasmus è vergine.

La casa, l’asiatica non so.

Dimmi chi sei e ti dirò se la tua è un’opinione pubblica, pubica o pudica

Mi punge vaghezza (o forse non è vaghezza ma una zanzara) di vedere che ne pensano. Un esperimento antropologico. Poso il bicchiere.

“Comunque mi sarebbe piaciuto partire per il vicino Est Europa con una Ong”.

Lui mi osserva e il viso si contrae in una malcelata risata come se avessi detto “mi son comprato un naso da pagliaccio e andrò in giro indossandolo”. Socchiude gli occhi guardando il mio vicino di posto, cercando complicità nel riso trattenuto per educazione.

Concludo allora il discorso in modo frettoloso restando molto sul vago, fino a far morire le ultime parole in un sorso di birra. I bicchieri pieni sono il miglior antidoto all’imbarazzo e un ottimo metodo di evasione.

I feedback degli individui sono filtrati dalle loro esperienze. Ogni essere umano ha il proprio bagaglio di trascorsi che influenza le relative opinioni.

Il che pone un interrogativo: un parere quanto potrà essere oggettivo?

Poniamo che voglia cambiare lavoro, perché non mi soddisfa. Anzi, voglia cambiare vita. Compio allora un sondaggio su un campione molto ristretto:

A) 27 anni, disoccupato ancora in cerca di primo impiego a 3 anni dalla laurea che forse adesso ha un’opportunità. Per 400 euro al mese.
B) 31 anni, disoccupata dopo aver lasciato impiego da baby sitter con lavoretto part-time in corso per conto di un amico (ovviamente in nero).
C) 23 anni, universitaria con alle spalle erasmus/viaggi studio all’estero/stage all’estero in corso.
D) 29 anni, lavoratore in nero non soddisfatto e che non vede prospettive di crescita nell’ambiente lavorativo che frequenta.

I pareri ottenuti sono i seguenti (in ordine sparso):

1) Vai, cambia, se non ti soddisfa. Hai un’età in cui puoi permetterti ancora di scegliere, fa’ quel che ti piace.
2) Parliamoci chiaro, se dessero 1200 euro al mese sarebbe diverso (Premio G.A.C.!).
3) Però di questi tempi un lavoro è pur sempre un lavoro, se non hai di meglio…
4) Io avrei abbandonato già da tempo.

Il gioco è abbinare le risposte alle persone che le hanno rilasciate.