Non è che a Ponzio Pilato servisse il sapone per lavarsene le mani

Sono il tipo di persona che a volte si sente a disagio perché non sa quale è il modo giusto di comportarsi in una situazione; ed è proprio qui il nodo del problema, il ragionare in termini di giusto o sbagliato. Come se il mondo fosse una di quelle storie a bivi dove conta solo e sempre cercare il percorso corretto.

Sono così concentrato sui miei disagi che a volte dimentico che tutti noi esseri umani possiamo anche essere il disagio di qualcun altro.

Ad esempio, credo di aver messo più di una volta involontariamente in imbarazzo una ricercatrice che bazzica nei laboratori della Spurghi&Clisteri dove lavoro.

È capitato, negli ultimi giorni, che mi trovassi a lavarmi le mani, dopo pranzo, proprio mentre lei era nel bagno delle donne credo di certo impegnata con l’opzione numero 2.


Non approfondisco il discorso, ma era intuibile dall’esterno.


E tutte e tre le volte, quando è uscita, nell’accorgersi della mia presenza, è trotterellata via a testa bassa.

Non è certo colpa mia se mi trovavo lì: adesso ho però preso l’abitudine di cambiare orario di lavaggio mani.

Non è che ti serva bussare per entrare nella psiche altrui

Basta fare un giro nei dintorni di qualche spazio aperto di aggregazione per trovare conferma ai propri pregiudizi e stereotipi sulla fauna giovanile locale. Ed è confortante sapere che esista una possibilità del genere: la chiusura e l’isolamento dello scorso anno mi avevano fatto pensare che forse i miei ricordi su come mi causasse disagio e ribrezzo una simile umanità fossero distorti o non corrispondessero più al vero.

Ora però più trovo conferme più ho voglia di restarmene isolato, il che è un bene vista la situazione attuale. Il mio dubbio è che, un giorno, quando sarà finita l’emergenza, io mi ritrovi ancor più intollerante e insofferente verso il prossimo e anche il remoto.

Domenica sera ero uscito di casa per attraversare la strada e andare un attimo alla gelateria di fronte.

Un gaudente fauno locale al volante di un Mercedes – che avrà vinto alla lotteria perché fatico a pensare che, con all’incirca 10 anni di età meno di me, uno possa già essere un piccolo imprenditore capace di garantirsi un mezzo da 35mila € – vede passare due ragazze ed esclama Ciao belle dove andate?.

Loro non danno peso al suo tentativo di fare miciochiamata come si dice oggi con un inglesismo* e tirano dritto.


* Beninteso, non voglio banalizzare. Ho repulsione verso qualsiasi tipo di approccio molesto rivolto al prossimo. Sono così intollerante all’invasione della bolla prossemica che odio persino quello che, di fianco, ti sbircia nel libro che stai leggendo. Ma ho l’impressione che la tendenza a dover dare un nome a tutto ci sia un po’ sfuggita di mano e oggi serva solo a garantire visualizzazioni a Twitter e permetterci a basso dispendio energetico di essere partecipi e ritenere di aver fatto la nostra parte mettendo un cancelletto alle cose.


Nell’esempio di cui sopra, potrei parlare di #bookspying ma non lo farò.


Poi fa uno scattino nervoso con l’auto come a voler superare sulla destra l’auto davanti, senza averne lo spazio. Difatti lo scattino si esaurisce nell’arco di un metro e un po’ giusto poco prima di incontrare me che attraverso la strada.

Mi chiedo sempre cosa frulli nella testa delle persone e, per individui simili, la mia risposta è sempre la stessa: nulla. Anche questo è un pregiudizio, ne son conscio, ma – sulla base di semplici apparenze – fatico a immaginare che, mentre è intento nel suo scattino per vituperare i cavalli dell’auto, costui stia riflettendo sul senso della propria esistenza e sull’origine dell’Universo.

Tendenzialmente quindi suddivido la psiche delle persone in maniera molto semplice. Quelli appunto come il tizio di cui sopra credo abbiano una psiche con necessità molto semplici, come un essere che ha solo bisogno di nutrirsi, defecare e riprodursi.

Poi ci sono tutti quelli che credo avrebbero necessità di uno psicologo e se non ci vanno è solo perché:

– Non possono permetterselo;
– Temono di andarci e scoprire di essere omosessuali;
– Pensano che andarci significhi ammettere di essere malati o avere qualcosa che non va.

Io sono stato da una terapeuta pensando invece di avere qualcosa che non andava.

Ha provato a convincermi che non ho nulla da guarire o curare e che al massimo sono gli altri ad avere qualche problema di funzionalità.

Tralasciando che secondo me i terapeuti dicono così a tutti, la cosa non mi è di conforto alcuno.


Per dire, l’ex fidanzato di un’amica si era convinto a vedere una psicologa dopo che aveva sbroccato*, tal da arrivare a
– puntarsi un coltello alla gola dopo un litigio minacciando di tagliarsi se lei non l’avesse ascoltato
– dare delle testate al muro al telefono per convincerla poi a tornare da lui perché lui stava male

Alla fine la psicologa gli ha detto che lui non aveva nulla che non andava ed era stata lei a esasperarlo e a costringerlo a comportarsi in tal modo.

Il che può anche essere vero eh – io lascio il beneficio del dubbio – ma rinforza il mio pregiudizio sul fatto che gli psicologi provino a convincerti che non è colpa tua.


* Mi si perdonerà l’utilizzo di termini non precisi e tecnici ma oltre a sbroccare non mi viene altro.


Perché se io sono il problema posso anche tentare di risolvermi.

Se lo sono gli altri invece c’è poco da fare e anche ammettendo per assurdo di convincere gli altri ad andare da uno psicologo chi mi assicura che poi lui non gli dica che sono io il problema?

Allora delle volte vorrei davvero trovarmi nel tranquillizzante vuoto della testa del tipo in Mercedes ma la mia paura che sia anche lui un’anima tormentata e afflitta da gravi dubbi esistenziali è tanta che preferisco restare nell’amichevole conforto del pregiudizio perché tutti abbiamo bisogno di qualcosa o qualcuno da odiare, non dobbiamo essere ipocriti e fingerci carichi di buoni sentimenti. L’importante è scegliere la categoria giusta e socialmente accettabile per il proprio odio.

Scegliete la vita: scegliete un lavoro; scegliete una carriera eccetera eccetera ma scegliete anche di odiare il tizio in Mercedes dedito alla miciochiamata, che fa gli scattini nervosi per sorpassare a destra, con il subwoofer da 300W per far sentire a tutti un neomelodico trapper.


Ché io pensavo trapper e neomelodico fossero due tipologie di artisti di per sé già da trovare poco sopportabili, ma la loro fusione in stile Gogeta ha un’aura irritante potentissima.


Non è che dei maiali dicano: Avete domande da porci?

Tra le mie diverse identità c’è quella del Domandiere. Ma prima devo fare una digressione.

Durante la quarantena mi ero iscritto a un corso gratuito, online e full time. Poi quando è partito mi sono reso conto nel concreto che non mi interessava più di tanto. Inoltre nel frattempo avevo iniziato un’altra attività.

Ho provato a sganciarmi dal corso inoltrando il mio ritiro ma mi hanno telefonato dall’ente di formazione sostenendo che:
a) non era possibile;
b) pure se fosse stato possibile, dovevo tenere conto che è un corso ad accesso limitato e selezionato e quindi c’erano altre persone che erano interessate e questa volta non hanno potuto accedere perché i posti erano occupati da noialtri selezionati;
c) è un corso finanziato e soggetto a ispezioni da parte dei finanziatori e le defezioni li penalizzerebbero.

Pervaso dai sensi di colpa, sono rimasto iscritto ma precisando che mi sarei sì connesso ma non avrei seguito perché sarei stato spesso impegnato.

Le rare volte che seguo, però, intervengo. Non perché io mi senta realmente interessato a farlo, ma quando il formatore chiede Avete domande? oppure Come sta andando? o ancora C’è qualche suggerimento su come vorreste proseguire? e tutti tacciono io provo pena e disagio per lui. E allora pongo una domanda.

È una vita intera che faccio il Domandiere per intervenire laddove cala dell’imbarazzo. Perché quando qualcuno formula la frase Ci sono domande? e nessuno apre bocca io sento di dover riparare a un torto. Mi riprometto sempre di non farlo, ma poi alzo gli occhi e vedo l’espressione di scoramento negli occhi della persona che in quel momento pensa di aver sprecato ore della propria vita – ore che non torneranno mai più – per distribuire conoscenza a un branco di capre e non riesco a star zitto.

È così che sono diventato il Domandiere.


Ci tengo a precisare che le mie domande non sono poste a caso o sono fuori luogo: negli anni sono diventato esperto di domande precise e circostanziate.

 


Credo di essere maturo abbastanza per sfruttare questo mio ruolo in modo professionale. Mi rendo quindi disponibile a essere ingaggiato per qualunque occasione, corsi, eventi, cerimonie, per porre una domanda al momento opportuno.

Ci sono domande?

Spero di no, perché mi togliereste lavoro.

Non è che la modella burlesque che pratica zen si chiami Medita Von Teese.

Le scene in esterni di questo post sono state registrate prima dell’adozione del DPCM.


Abilità manducatorie
Una domenica d’inverno che pezzava ascelle come in primavera. Ero a Bologna per lavoro e per pranzo avevo voglia di specialità locali. Con davanti la lista di Tripadvisor delle osterie e trattorie consigliate camminavo cercando un posto che avesse posto. Avevo iniziato ad abbassar sempre più le mie pretese, man mano che trovavo cartelli esposti con scritto “al completo”. Addirittura un paio di locali lo hanno affisso mentre mi stavo avvicinando alla porta. Il problema approvvigionamento cibo, dopo aver percorso qualche km a piedi, fu alla fine risolto in un chiosco pugliese, con una puccia salsiccia, cipolla e senape.

Disturbi del sonno ovvero delle rimembranze
Sono alcuni giorni che fatico ad addormentarmi. Chiudo il libro appena sento arrivare la sensazione di sonno, spengo la luce e in quel momento la mente, come una lavatrice, si attiva e comincia una centrifuga di pensieri. Non si tratta di riflessioni negativi, o per lo meno la maggior parte non lo sono. Per lo più sono domande del tipo “Chissà se avessi completato la raccolta DeAgostini Monete e Banconote se oggi varrebbe qualcosa” o ricordi, tipo quella volta che a 8 anni inciampai giusto all’ingresso della scuola finendo in una pozzanghera.
Ho provato a iniziare dei video di meditazione guidata. Sono passati pochi giorni per dire se porta risultati. So solo che dopo la pratica mi viene fame.

Preoccupazioni discrete
Durante questo mese ogni tanto ho controllato se accedeva su Whatsupp il tipo da cui avevo affittato la stanza a Milano da settembre a gennaio. Una volta quando ero lì mi aveva raccontato che soffriva di ristagni periodici in un polmone e di doversi ogni tanto sottoporre anche a drenaggi. Non il tipo di persona che si trova più a suo agio in questo periodo. Comunque si collega.

Abilità manducatorie/2
Como. Cercavo una birreria che secondo Google era aperta. La trovo invece chiusa. Ne cerco un’altra che sempre secondo l’amico Google era aperta. Fiducioso, svolto l’angolo con ampia gambata per finir contro la serranda. La terza da lontano sembrava aperta. Invece aveva soltanto lasciato le luminarie accese dietro i vetri. Vado in una burgheria (l’ham forse non era previsto). Non ha tavoli per chi non prenota. Alla fine sono andato in un posto esattamente sotto l’edificio dove alloggiavo. Avrei potuto starmene in casa e calar loro giù dal balcone un cesto con le mie richieste. Con buona pace di Google.

Discrezione sociale ovvero del disagio urbano
Quella volta l’appuntamento era all’uscita di un giardinetto pubblico situato tra due blocchi di edifici. Ero arrivato in bici, in anticipo. Nel giardino c’erano delle madri con i bambini che giocavano. Ho pensato che un tipo fuori l’uscita (o l’entrata, dipende dai punti di vista) che ogni tanto guardava verso l’interno sarebbe sembrato loro sospetto e mi sono scostato più in là, verso l’edificio. Poi ho pensato che un tipo che si sporge dall’edificio per guardare verso il giardinetto è ancora più sospetto. Così mi sono scostato ancora più in là a fissare le auto parcheggiate.

Scambi di nomi
Devo sempre soffermarmi un momento a riflettere se l’attore che sto vedendo sullo schermo è Colin Firth o Colin Farrell. La stessa cosa mi succede con Will Ferrell/Steve Carell. John Oliver mi viene da chiamarlo Jamie Oliver, il bello è che non so chi sia Jamie Oliver. Invece Hugh Jackman so che è Hugh Jackman ma quando invece sullo schermo compare Gene Hackman per un attimo mi viene da chiamarlo Hugh Jackman.

Era iniziato coprendo un buco
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Non è che la chiromante faccia le cose a mano a mano

Le mani si muovono, fendono l’aria, tracciano archi, identificano angoli, sottolineano ed enfatizzano.

Ho sempre gesticolato molto. Da bambino anche troppo. Creavo vortici in aria che da qualche altra parte del mondo avranno dato vita a un tornado.

Sono stato spesso anche ripreso, da insegnanti o da adulti in generale. Fermo con le mani, è maleducazione.

Perché mai dovrebbe esserlo? Non le sto mica usando per picchiare qualcuno. Magari vorrei farlo una volta dettami questa cosa, ma, comunque io stavo semplicemente parlando.

Negli anni diventato più sobrio nel mio gesticolare ma sono sempre molto scenico. Alla Alberto Angela, diciamo, anche se i concetti che le mie mani accompagnano non sono così istruttivi e/o didattici.

Tutta questa premessa per dire che accompagnare le parole muovendo le mani per me è una cosa naturale e assolutamente lecita.

Questo lo pensavo fino a quando non ho conosciuto la mia Capa attuale. Lei muove le mani come palette. Fende l’aria come se stesse affettando delle verdure spazzandole poi via dal tagliere. Quando parla sembra un Fruit Ninja 3D.

Non so se sia il come muove le mani che mi dà fastidio o è il suo modo di conversare in generale a urtarmi.

Si pone all’interlocutore sempre con le spalle strette, rigide, fa varie smorfie con la faccia e parla a scattini alternando le parole con dei mh mh. Avete presente quando a un bambino proponete qualcosa che non gli sconfinfera tanto e lui risponde con una smorfia facendo mmmh…? Lei fa così. Il tutto sempre accompagnando il discorso con dei fendenti con le mani. A volte al posto di tenere la mani a paletta congiunge indice e pollice di entrambe le mani come a fare un segno di Ok ma sembra che invece stia strizzando due capezzoli.

Ogni volta che teniamo una riunione arrivo a metà ora che devo cominciare a pensare ad altro perché seguire quelle sue manine che menano palettate a destra e a sinistra mi fa un effetto strano, come se qualcuno stesse strisciando le unghie sulla parte interna dell’osso frontale del mio cranio.

Questo è il suo modo di parlare mentre è seduta. Quando è in piedi, invece, ti parla tenendo le braccia conserte premute sullo stomaco, leggermente piegata, come se avesse un attacco di pancia imminente e tu la stia trattenendo con maleducazione e insensibilità.

A volte in me si risveglia qualche sentimento di umanità nei suoi confronti e penso che forse avrà qualche forma di disagio se nel suo modo di rapportarsi è così rigida e intesita come se avesse ingoiato una scopa, anzi, come se una scopa avesse ingoiato lei e assunto le sue fattezze.

Poi mi ricordo di tutte le stronzate che compie e penso allora di rivolgere la mia umanità altrove.

Gesticolando, ovviamente.

Non è che ti serva uno zoologo per riconoscere una bufala

C’è un tale che conosco che racconta cose che in modo palese appaiono come esagerazioni e invenzioni, ma che sembrano far parte del personaggio eccentrico che si è creato. Chi lo ascolta sa del personaggio, così come chi parla sa che gli altri sanno. È un modo per intrattenere, diciamo.

Anche se, delle volte, a me e ad altri fa sorgere il dubbio: lui è davvero conscio di questa finzione generale o pensa forse che gli altri gli credano?

Di individui che contano frottole millantando fatti, esperienze di vita, conoscenze ne ho incontrati; ci sono diversi motivi per cui una persona sceglie di produrre finzioni. Alla base, credo, c’è sempre un disagio.

Confesso di non essermi mai posto il problema con costoro: ascolto annuendo, pensando ad altro.

Mi sentirei più colpito e preoccupato se si trattasse di un mio amico; cercherei di capire perché senta il bisogno di vivere raccontando cose non vere e proverei ad aiutarlo.

Con uno sconosciuto o un semplice conoscente sarebbe più difficile, senza contare che interventi assistenziali creano non di rado sensazioni di fastidio e invadenza non richiesta.

Tendo inoltre anche a fare un distinguo tra i “Pinocchio”: c’è quello cui sembra non mancare nulla nella vita e da cui non mi sento neanche di stare ad ascoltare, quindi, una frottola. È una semplificazione superficiale la mia, forse: puoi avere tutto ed essere lo stesso infelice.

C’è un’altra considerazione che mi viene: è davvero così importante distinguere tra realtà e finzione? Se chi racconta la menzogna – una menzogna che non nuoce a terzi – è convinto che il mondo che sta creando in quel momento sia verosimilmente realistico e se chi ascolta vi presta fede, alla fine cosa è reale e cosa non lo è?

Mi sono trovato delle volte a vivere il caso contrario: una cosa vera che dicevo veniva accolta con diffidenza. Alla fine, che ciò che dicevo fosse vero o meno cambiava poco in quel momento: non venivo creduto, l’esistenza del fatto in sé era come se venisse meno.

Verità e finzione sono allora molto relativi e dipendono dal punto di vista degli interlocutori. Si dice che oggi viviamo nell’epoca della post-verità; i fatti oggettivi passano in secondo piano rispetto alle convinzioni del pubblico. E questo è oggetto soprattutto di analisi politologica, in quanto nella società attuale l’orientamento dell’elettorato (o di parte di esso) pur di fronte a dati concreti non sembra essere influenzato da questi ultimi quanto più da sensazioni, emozioni, umori di pancia.


L’esempio classico è quello di chi, pur messo di fronte all’evidenza del fatto che ciò che sostiene è una bufala, replica dicendo che non gli importa perché il tutto potrebbe comunque essere vero in un universo parallelo.


Senza impelagarmi in pipponi sociopolitici, torno al punto di partenza: se è lecito porsi il dubbio su quel che ci sta dicendo qualcuno sulla sua vita (quindi no argomenti di politica, economia o comunque di interesse pubblico), sarebbe anche lecito intervenire per dirgli di smetterla di dire stronzate, pur consci che tali stronzate a) non arrecano nocumento a noi stessi b) forse fanno bene a lui che le racconta?

Non è che il professore di matematica non possa soffrire i calcoli

È da qualche mese che la signora che assisteva mio nonno se ne è tornata nel suo Paese d’origine. Confesso un po’ mi manca: non so perché m’avesse preso molto in simpatia, quando mi vedeva mi abbracciava sempre soffocandomi nel suo prominente petto e mi chiedeva un sacco di cose su di me. La nuova signora che ha preso il suo posto invece a stento mi saluta e mi guarda con sospetto.

Gli entusiasmi e la cortesia sono sempre o eccessivi o scarsi.

Ho avuto un esempio di entusiasmo eccessivo l’altro giorno.

Ho una ex che da 3/4 anni a questa parte, cioè da quando è entrata nel cimitero (allegorico) delle ex, mi scrive a puntuale cadenza semestrale per chiedermi Come va?. In genere la conversazione si conclude – o la lascio cadere io – dopo qualche breve scambio di frasi. L’altro giorno invece in occasione del suo contatto ormai calendarizzato mi son trovato a chiederle se conoscesse una buona piscina – una volta lei gareggiava – , visto che quella dove vado ha chiuso in anticipo per lavori.

– Io ne conosco solo una, che fa gli ingressi liberi, di fronte a dove mi sono trasferita, dove vado in palestra
– Ah
– Se vuoi t’accompagno a vedere
– …Ok

Ci troviamo lì, dopo un paio di saluti formali mi presenta alla tizia delle reception, la quale sul foglio con il programma dei corsi mi scrive un problema di trigonometria che sto ancora cercando di risolvere:

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Non ho capito nulla delle opzioni che mi ha descritto, anche perché non mi interessavano: volevo soltanto sapere se potessi avere 6 ingressi da qui a fine mese.

Espletata questa pratica, Ex poi mi fa:

– Ci pigliamo un caffè, aperitivo, qualcosa?
– Beh se
– Sennò anzi il caffè ce lo pigliamo sopra tanto io abito qua, ti faccio vedere casa

Non mi aveva dato tempo di rispondere. Comunque salgo da lei, mi fa fare il giro turistico della casa e a ogni cosa che mi mostra io fingo meraviglia e ammirazione anche se guardare case altrui mi annoia.

Poi mi fa accomodare, mi offre da bere, chiacchieriamo. Ogni tanto guardo l’orologio ma sembra non cogliere questi miei segnali non verbali. Così a un certo punto dico:

– Dai, ora ti tolgo l’ingombro

Che è la formula che uso sempre per dire che me ne voglio andare via ma per non sembrare maleducato nel desiderare di andare via allora mostro che sono molto educato nel non voler essere d’impiccio.

– Ma no dai figurati, non ti preoccupare, anzi possiamo pure andare a cena al pub qua vicino, oppure puoi cenare qua andiamo al supermercato a fare la spesa oppure guardiamo in frigo e vediamo cosa c’è

Il passaggio ceniamo fuori->usciamo a comprare da mangiare->non usciamo proprio e restiamo chiusi qui mi ha fatto colare delle gocce di sudore dalla nuca, dove finiscono i capelli, al collo, raccoltesi sul cordino del ciondolo e colate poi sul davanti seguendo il medesimo cordino fino a confluire verso lo sterno dove mi si è formata una pozzetta di disagio liquido.

Mi sono ricordato di essere arrivato lì con l’auto del lavoro e ho pensato di usarla come scusa.

– Eh sai com’è sto con l’auto aziendale…non voglio tenerla in giro la sera…poi se la vedono…oppure magari succede qualcosa…sai com’è
– Se vuoi puoi andare a posarla e poi tornare qua con la tua ti aspetto
– Devo scappare mi dispiace comunque l’invito lo ritengo valido per un’altra volta ciao.

Così sono fuggito perché francamente quella sorta di frenesia che avvertivo in lei nell’avermi a casa sua mi procurava una vaga sensazione di soffocamento, oltre che di trappola.

E poi avevo un problema di trigonometria da risolvere che mi aspettava!

Non è che in Argentina si scansino perché “Evita” per loro è importante

Ho un amico che ultimamente sembra non parlarmi più.


“Sembra” è un modo per dire che non mi parla ma non so se non mi parli per caso o per desiderio.


 

Non mi scrive, non mi cerca, se ne va ai concerti da solo. Potrei aver fatto qualcosa e in effetti sto facendo qualcosa in questo periodo, ma non capisco in che modo questo qualcosa possa influire su di lui e sul suo comportamento.

Potrei chiedere chiarimenti. Purtroppo chiarire è una delle cose che mi mette più a disagio in questo mondo. Seconda solo a quando busso alla porta di un bagno e nessuno risponde e poi entro e dentro c’è qualcuno intento a mingere.


Tra parentesi dovrebbe sentirsi lui a disagio ma chissà perché il disagio lo provo io. Il che mi induce a pensare che ci siano persone che non rispondono alla bussata proprio per mettere a disagio il prossimo.


Non sono bravo in questi frangenti.


Chiedere chiarimenti, intendo.


Allora taccio, mi eclisso, mi raccolgo nella mia propria intimità perché penso che se qualcuno vuol evitarmi io poco posso farci.

È la soluzione più comoda assumere un comportamento simile ed evitare il confronto. Io evito. Sempre.

Evito le persone per strada. Mi scanso assumendo pose matrixiane. Anche perché molti ormai non sanno più come si passeggia. Fissano il cellulare, parlano con qualcuno senza guardare avanti, guidano i passeggini come se fossero dei panzer tedeschi che invadono la Francia. Oggi una signora mi è passata sul piede col passeggino, mi ha chiesto scusa ritraendolo indietro e ripassandomi sul piede. Così, perché non aveva altro da fare.

Evito il traffico stradale introducendomi in vie laterali e infilandomi in giri tortuosi che mi fanno allungare il percorso. Vuoi mettere però l’aver evitato lo star fermo imbottigliato?

Evito autostrade e superstrade se posso percorrere una via piacevole da guidare. Ultimamente però il navigatore mi ha una volta portato in una zona che neanche i peggiori bar di Caracas e in un’altra mi ha condotto in una selva oscura. C’erano anche tre bestie ad aspettarmi. O forse erano degli abitanti autoctoni.

Evito di telefonare se posso scrivere.

Evito i farmaci se posso risolvere con un tè+miele+propoli+goccio di alcool. Evito questa brodaglia se posso riempirmi di paracetamolo.

Evito di toccare qualsiasi cosa una volta tornato a casa se prima non ho lavato le mani.

Evito di proseguire questo post.