Ero un bambino impaziente. Una volta mi regalarono un calendario dell’Avvento. Dopo il primo giorno avevo già aperto tutte le porticine per sbirciarvi dietro. Salvo poi tentare di reincastrarle nuovamente per coprire il misfatto.
Non ricordo quando l’impazienza mi si è trasformata in ansia. Riesco sempre a essere pronto per uscire in anticipo sul tempo accettabile riconosciuto come anticipo.
Non sono più impaziente su avvenimenti programmati a lungo termine. È come se non riuscissi ad accoglierli più con l’entusiasmo di un bambino. È probabile che sia normale, da adulti. Eppur me ne dispiace molto.
Mi sono guardato allo specchio mentre mi provavo dei maglioni. Mi sono visto brutto tanto.
Ma non sono brutto o, quantomeno, non lo sono in maniera preponderante. Diciamo ho una bruttezza anonima, si può diluire nella massa. Sono anzi capace di assumere qualche posa conturbante, con la giusta illuminazione e un certo grado alcolico. Nel sangue altrui.
Mi sentivo brutto per una percezione di diversità. Allo specchio ho avuto uno sguardo su me stesso, non riconoscendomi come ricordavo.
Mi chiedo cosa io abbia fatto negli ultimi venti anni. È il tempo che sono andato a dormire e mi sono risvegliato con i piedi più grandi. Che poi mi sono sembrati di nuovo più piccoli, prima di scoprire che le taglie delle scarpe sono state ridefinite.
L’imbarazzante visione della mia bruttezza mi ha fatto fuggir via dal camerino.
Non prima di aver riposto i capi, onde evitare di incorrere in qualche battibecco con un guardiano dalla forma squadrata. Non era quel che poteva definirsi, con un cliché, un armadio. Avrei detto piuttosto un comodino. Brutto e imbruttito ancor più dall’espressione arcigna che è forse costretto ad assumere per lavorare.
Fuori una donna che non ho nemmeno guardato in volto ha provato a vendermi del Dio. Ho fatto un gesto di diniego con la mano. Un’altra donna più avanti ha provato a vendermi del Politico. Ho ripetuto il gesto di diniego.
Il fulmine di Zeus nella sigla è interpretato da uno stuntman professionista, quindi don’t try this at home
Siamo giunti alla terza puntata – ebbene sì, qualcuno ha pagato per far proseguire questo show – del Gintoki Show. Potete rivedere le puntate precedenti qui e qui, ma guardatele dopo aver visto questa, perché sennò se andate subito poi rischiate di perdervi questa qui e non trovarla più.
Questa sera, dopo aver ospitato in precedenza un venerabile Faraone e una Venere del calcio, come potevamo far di meglio? Ma ospitando direttamente il Re degli Dei, è ovvio! Gente, ecco Zeus!
G: Per rompere il ghiaccio comincio così: innanzitutto ti ringrazio per aver concesso questa intervista. Immagino che essendo divinità tu sia molto oberato di impegni. Come riesci a conciliare con l’attività sul blog?
Z: Ti ringrazio a te per l’ospitalità e, vista la cortesia, uso un po’ del ghiaccio rotto per l’ambrosia. Hai ambrosia? Se no va bene anche una birra calda.
Per tornare alla tua domanda: ho la fortuna di essere un manager oculato. Truccando le pagliuzze ho sbolognato le rotture più grandi, acqua e inferi, a Poseidone e Ade. A me rimane solo il cielo e il tuono, non proprio un lavoro a tempo pieno.
Rendo breve ciò che è lungo: scrivo sul blog per noia.
G: Ho una Tuborg lasciata al sole, anche se credo tu non intenda ciò per birra calda… Sono curioso: la noia incrementa la produttività scrittoria, quindi mi dici?…È molto leopardiano. E so quel che dico: di felini me ne intendo!
Z: Io intendevo una Ceres… ah ah ah *matte risate*. Questa mette KO tutto l’Olimpo ogni volta che la dico. Ridono se no li fulmino, ma tant’è.
La noia è uno stimolo potente, anche se non sembra. L’ispirazione è passeggera: che scrive vive del lampo di genio, sfruttando il momento buono fino allo stremo. E si finisce senza parole o idee.
Io no. Scrivo per noia e perciò con la costanza tipica dei Testimoni di Kingu, quelli che bussano al tempio alle 7 di mattina.
G: Questi Testimoni di Kingu mi ricordano qualcuno con la stessa abitudine. Restando sulla scrittura (un gentile dono agli umani da parte di Prometeo, a proposito, l’hai perdonato per quella storia di averti fregato l’accendino?), ti sei concentrato spesso proprio sull’analisi del modo con cui il blogger vi si approccia. Sono spunti per una semplici riflessione o vogliono anche essere dei semi lanciati affinché germoglino in un qualche cambiamento in ciò che leggi?
Z: Guarda, so con certezza che,a Prometeo, il rimorso sta rodendo il fegato. Spero stia bene, veramente, certe situazioni ti mangiano vivo.
Sì, quando non sparo minchiate o anestetizzo il mondo con la mia musica, cerco di guardare il comportamento dei blogger. Sono una razza strana, interessante. Nuova, se vogliamo. Diversi dal popolo di facebook e, proprio grazie ad internet, possono ambire a più notorietà e influenza… che ne carbura l’ego.
Ecco il perché delle mie sono riflessioni, spesso scoordinate: vorrei è un cambiamento di rotta, un po’ di qualità&contenuti, e anche un pizzico di autoironia, in più.
G: Eppure, nonostante la diversità dal popolo di facebook, come hai fatto notare anche tu in un tuo post, sembra che il blogging a volte assuma connotati molto da social network. La stessa nuova impostazione grafica di WP sembra ricalcare tale dimensione 3.0. Per carità, io poi non me ne intendo, non sono un grafico (infatti in spiaggia non mi capita mai che una ragazza mi veda e si giri esclamando “Però, che grafico quello lì”). Mi piace però lo spirito che hai: sii il cambiamento che vuoi vedere nel blogging.
Z: Sto cercando di portare, nel mio piccolo, un cambiamento… e non vorrei essere scambiato per arrogante per il mio essere il Capo degli Dei. Sono ancora l’umile dio che ha sconfitto i Titani.
Le collaborazioni con il Faraone nei Grandi Antichi e con Cineclan sono la mia idea di nuovo blog/blogger: personale E comunitario. Le idee fluiscono.
G: Le iniziative “open source” sono molto interessanti: oltre a quella col faraone (qua il progetto Grandi Antichi) e quella con cineclan (qui l’inizio della serie), ne hai qualche altra in cantiere o che vorresti realizzare? Mi compiaccio comunque che la battaglia coi Titani non ti abbia dato alla testa. Ma c’è stata invece un’occasione in cui qualcosa invece ti ha dato alla testa (non vale l’alcool)? Quella volta magari che hai saputo che i Tool suonavano vicino e non ci hai capito più nulla dall’esaltazione, per dire?
Z: Al momento, oltre a questi progetti, sto portando avanti alcune iniziative personali (di cui mantengo il riserbo). Altre iniziative da realizzare? Ho già accennato una mia idea a qualcuno (no spoiler adesso), ma per il resto: chi ha idee è libero di contattarmi. Senza andare indietro fino a Ercole (il Chuck Norris dell’epoca), direi che il traguardo è il 13 giugno 2016 all’Arena di Verona: tour di addio dei Black Sabbath. Una cosa da far tremare le vene dei polsi.
G: Parlando di musica e concerti, il più bello cui hai assistito o quello che è stato proprio come un’esperienza mistica (anche se per la presenza di una divinità come te sono tutti mistici! )?
Z: Mi stai chiedendo di scegliere fra i miei figli con i concerti eheh. I concerti di Heaven & Hell e Ozzy Osbourne (o i Rotting Christ) sono stati grandiosi, intensi, li attendevo da anni.
Fra tutti i concerti dei Down che ho visto sceglierei quello del 2008: è stato liberatorio. Mi hanno stupito gli Anaal Nathrakh, un concerto così brutale e così cattivo da essere un calcio nei denti. Incredibile. Un grandissimo concerto, non metal, è stato quello di Bruce Springsteen: 3 ore di esaltazione e rock.
G: Mi rendo conto fosse una scelta molto difficile, ma ne sei uscito alla grande. A proposito proprio invece di calci nei denti e di Chuck Norris, visto che hai trattato a volte l’argomento, se dovessi fare una classifica di film “muscoli e sangue” (categoria che mi sono inventato ora), quale sarebbe la tua lista di preferenza?
Z: Diciamo che sull’Olimpo sono rinomato per dare un colpo alla botte ed uno alla ninfa ahaha. ‘Ste battute fanno tremare quei bifolchi perdenti dei Troiani.
“Lacrime e sangue”? Sarò scontato, ma un Terminator (il primo) mi da sempre gioia, come anche un film di guerra. Se voglio la poesia assoluta dell’ignoranza (detto con rispetto assoluto) i vecchi film anni ’80 di Bruce Willis o Kurt Russell o L’Armata delle Tenebre… o Machete… Troppi da elencare tutti.
G: Sapevo non mi avresti deluso, infatti mi hai piazzato lì un John McClane (il personaggio di Willis) taaac! Beninteso, dimenticherei l’ultimo Die Hard, se sei d’accordo. A parte Machete, comunque, noto che non sono film recenti. Colgo l’occasione per farti allora questa domanda: ritieni che un certo tipo di cinema, così come anche per un certo tipo di musica, abbia perso qualcosa rispetto al passato? E, connessa a questa domanda butto lì quest’altra: sei un rocker nostalgico, della serie “Era meglio un tempo” oppure rispetto al nuovo ti poni con interesse e curiosità?
Z: La delusione è un fattore fondamentale sul mio blog (Ysingrinus docet). L’ultimo Die Hard è scarso, perde il confronto con la poesia bolsa e dopata di Voltaren di The Expendables.
Il cinema sta producendo cose buone anche adesso (è innegabile), ma quell’ignoranza degli eighties (con le buone storie connesse) non è replicabile. Il troppo politically-correct sta distruggendo il cinema bruto e d’azione. Adesso, in un film, sentire “vaffanculo John” (detto al capo di Polizia) o altre volgarità assortite è impensabile in un film che non sia comico/demenziale di seconda fascia. Stessa cosa per la musica. Si è persa l’innocenza già negli anni 60/70… ma almeno negli anni passati c’era tanta qualità quanta merdazza fetida. Il rapporto, adesso, pende più per la seconda.
Sono sempre curioso delle nuove uscite, ma se voglio “andare sul sicuro” o l’album “vincente”, prendo un disco del passato.
G: E se dovessi mettere su una super band, chi sceglieresti come componenti tra i musicisti che stimi?…Altra domanda “scomoda”, qualche figlio subirà un torto!
Z: Mi stai chiedendo l’impossibile… fortunatamente sono un Dio.
Provo a fare una formazione standard:
– BATTERIA: Carter Beauford (Dave Matthews Band) / backup: Richard Christy (Death)
– BASSO: Geezer Butler (Black Sabbath) / backup: Steve DiGiorgio (Death To All / Testament / Sadus)
– CHITARRA: Tony Iommi (Black Sabbath) & Dimebag Darrell (ex-Pantera) / Ritchie Blackmore
– VOCE: Phil Anselmo (Down / ex-Pantera)
G: Mondogatta! Che supergruppo. Ancora una volta, impossible is nothing per te. Ne verrebbe fuori un concerto da sogno…o da incubo per chi non apprezza il genere (blasfemi!) ehehe. Com’è il tuo rapporto con gli incubi? Ricordo ne hai anche raccontato sul tuo blog…
Z: A parte il defunto Dimebag, sarebbe una lineup atomica. Secondo me molto più da incubo (blasfemissimi). Ma, a noi, l’incubo piace.
Non so se definire i miei sogni sei veri incubi o solo dei sogni inquietanti. C’è un particolare però: me li ricordo spesso e le trame, oh le trame!, sono incredibili. Devo ancora capire come ho fatto a sognare un gerarca nazista morto che veniva giù da una collina su una sedia a rotelle.
In ogni caso, gli incubi che do agli umani sono ben peggio! *ahahaha*
G: Sì ma gli umani in fondo se li meritano. Cioè prendi Poseidone, fu provocato da Ulisse e il minimo che potesse fare è farlo poi vagare 20 anni (che secondo il codice olimpico è la pena minima mi risulta) nel Mediterraneo. Nei tuoi racconti trasferisci un po’ il contenuto di queste sequenze oniriche notturne? Oppure, quanto ci metti di “vissuto” nella tua fase creativa?
Z: Io avrei fatto venire gli incubi ad Enea… quel codardo è scappato facendo finire presto il mio epic-movie preferito. Speravo in più battaglie ma niente. E, comunque, Poseidone ha il senso dell’umorismo un po’ annacquato.
Nei racconti lunghi non ci metto molto dei sogni/incubi: il masterpiece Capra Diddio è al 90% opera creativa di Lord Baffon II… io mi limito ad aggiungere il 10% e lo scritto, mentre nei Grandi Antichi l’opera è un delirio condiviso fra il sottoscritto e Ysingrinus.
Dove metto qualcosa di “vissuto” – anche se talmente mascherato e distorto da non capirsi – è nei racconti brevi.
G: Enea era proprio un figlio della sua città!
E con questa direi proprio che siamo alle battute finali.
Comunque, vorrei che oltre a quanto già detto in questa intervista ci raccontassi chi è Zeus per chiudere il cerchio (o il quadrato, fai tu). E, visto che l’hanno affrontato anche i tuoi predecessori, tocca anche a te il giochino che vanta il peggior numero di imitazioni. Descriviti inserendo nel testo questi tre elementi: brodo di pollo, Babbo Natale, puritanesimo. Ci sarebbe anche un’altra cosa: ci vorrebbe un bel consiglio musicale non richiesto per i lettori, come la tua famosa rubrica. Il problema è che questa sarebbe una richiesta, quindi ne invaliderebbe il senso! Quindi facciamo che io te lo chiedo, poi dalla regia questa la tagliamo e tu allora dai il consiglio e io dico ma che bella idea!
Z: Enea era proprio un figlio della sua città. Anche se non riconosciuto, vista la tendenza della città ad aprire le porte ad un mirmidone qualunque.
Chi è Zeus? Zeus è IL dio dell’Olimpo, colui che regna e che, al contrario di Babbo Natale, non vi porterà doni o simpatia. Zeus guarda, ghigna (ma non ride) e si incattivisce di fronte alle cose più inutili. Quali? Rinunciare a grigliare il pollo e farne una gustosa mangiata per creare un brodo di pollo sciapo e inconsistente. La peggior bestemmia che si potrebbe immaginare in queste lande antiche; anche se, a dirla tutta, gli antichi greci non erano sostenitori del puritanesimo del New England, quindi la bestemmia non può essere annoverata come tale.
Visto che siamo alle battute finali, mi permetto di far scendere il già magro share che ho in questa intervista e, inoltre, di farti perdere adoranti lettori e seriosi follower: ecco perché un consiglio musicale ci sta sempre bene. Soprattutto se viene ascoltato da cima a fondo.
Voglio andare sul classico e non cercare qualcosa di estemporaneo, perciò ecco a voi… i ROTTING CHRIST – ZE NIGMAR (a quanto si dice è una parola aramaica e potrebbe significare “è finita”. La canzone fa riferimento ad una delle ultime parole di Cristo in croce).
Ma che bella idea…Ach! Mi ero scordato che eravamo in diretta! Ehm, grazie comunque! Signore e Signori, il grande Zeus!
Da bambino collezionavo berretti da baseball non originali. Dato che quelli griffati costavano troppo mi era concesso comprare solo pseudo imitazioni con nomi improbabili ma americaneggianti, del tipo “Green Skins”, “American University” e via dicendo.
Avevo poi un cappellino Rebook abbastanza misero ma che era il mio preferito, fino a che un giorno in prima media una compagna di classe cui pare io piacessi non se lo strusciò sotto il sedere durante l’ora di educazione fisica.
A me basta un occhio solo per parare, capito?
La cosa andò così: scendemmo in cortile, maschi a tirare calci al pallone, femmine a giocare a pallavolo. Da buon portiere, come era di moda negli anni ’90 e come faceva Benji Price, indossavo il cappello. Non vedevo un cazzo ogni volta che il pallone si alzava, ovviamente, perché la visiera era più grossa della mia testa.
Una compagna – non quella cui piacevo – mi chiese di prestarle il cappello, per il sole. Io glielo cedetti, per fare il galante. Ero un gattomorto già da piccolo.
Dopo un po’, mentre mi godevo la solitudine del numero uno (il calcio da ragazzini funziona così: tutti dietro la palla, tranne il portiere, ovviamente), arriva un gruppetto di compagne agitando il mio berretto e gridandomi Gintokiiiii…N. si è presa il tuo cappello, si è seduta sopra e si è anche strusciata!
Strani metodi per attirare l’attenzione.
Tale compagna dedita a tali strane pratiche di corteggiamento, tra l’altro, era l’unica a 11 anni ad avere già una terza. Non capisco io a cosa pensassi e perché mai io la ignorassi!
Probabilmente la visiera mi impediva di avere una visione corretta degli eventi.
Portavo il cappello ovunque, anche dentro casa. Altrui.
Idem dicasi per la chiesa, dove poi ovviamente me lo facevano togliere e io accettavo di buon grado. Ero fervente cattolico da piccolo, prima di scoprire la pornografia.
Una cosa non l’ho mai capita: perché togliersi il cappello in chiesa?
Una delle prime cose che insegnano è che dio è ovunque.
Quindi avrebbe dovuto essere presente anche sotto il mio cappello.
Forse lì sotto fa troppo caldo quindi bisogna togliersi il cappello per farlo uscire a respirare? Perché allora non vale per le donne? A dio piacciono i capelli delle donne anche se un po’ sudaticci? Anche a me, purché non oltre un giorno dopo lo shampoo e non certo dopo una maratona o una giornata di saldi.
Può sembrare una stupidata (no, tranquillo, non sembra: lo è), ma quando ho provato a fare delle ricerche su internet riguardo questo argomento ho scoperto che molta gente nei forum cattolici si interroga sulla questione “cappello in chiesa”. C’è chi si accapiglia a colpi di Nuovo Testamento vs Concilio Vaticano II. E non sto scherzando.
La tesi su cui concordano costoro è che l’uomo si tolga il cappello per rispetto, la donna lo tiene per coprirsi, come segno di morigeratezza (?)
In loro soccorso a tal proposito giunge Paolo nella prima lettera ai Corinzi, versetti 13 – 15:
13 Giudicate voi stessi: è conveniente che una donna faccia preghiera a Dio col capo scoperto?
14 Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli,
15 mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La chioma le è stata data a guisa di velo.
Ma se oggigiorno in chiesa è accettato un uomo con i capelli lunghi o una donna a capo scoperto, perché non è ancora accettato un uomo col cappello?
Mi risponde ancora Paolo che evidentemente già sapeva di me e del mio essere rompicoglioni:
16 Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine e neanche le Chiese di Dio.
Gli chiedo scusa.
Però vorrei dire: si polemizza sempre sulla Chiesa, che dovrebbe modernizzarsi e aprirsi e quant’altro ma avessi sentito uno, dico soltanto uno, porre la questione del cappello. Io non lo trovo giusto: i diritti dei portatori di cappello che fine fanno se non hanno voce in capitolo?
Ero quindi carico di questi dubbi mentre rimiravo il copricapo che utilizzo qui a Budapest per difendermi dai rigori e dai calci di punizione dell’inverno.
Tranquillizzo tutti i vegani, il pelo non è di origine animale ma di casalinghe di Orzinuovi.
Con un paio di occhialoni potrei sembrare Jet McQuack
Il modo migliore per concludere l’anno è passare in rassegna l’elenco di persone strane che ho avuto modo di incontrare o con cui ho avuto a che fare nel corso del 2015.
Mi sono reso conto che in giro c’è molta gente esaurita. E, se Tantum mi dà Tantum – come disse la ragazza con un’infezione intima – chissà io chi debbo aspettarmi nel 2016!
10 – Lilla
Lilla non l’ho ancora introdotta, ma è una che lavora dove sto io a Budapest.
Si chiama appunto Lilla, non è un mio soprannome.
Se non ne ho scritto sinora un motivo c’è: non parla. Mai.
Ha il viso di ghiaccio. Non muove un muscolo facciale, forse non respira neanche. Una volta l’ho vista mangiare, quindi credo non sia un robot. È una giovane donna (penso non superi i 25) che ha l’aspetto e il fisico di una modella e veste sempre molto elegante e raffinata.
Non saprei che altro dire, perché in ufficio è praticamente presenza invisibile.
Però ha un’ottima resistenza alcolica. Alla cena di Natale l’ho vista buttar giù 6 bicchieri di rosso e due di palinka (la grappa locale) senza perdere un grammo di aplomb. Complimenti.
E quando dico bicchieri di grappa, intendo proprio bicchieri interi: non i cicchettini.
9 – L’ingegnera
22 dicembre, ore 21. Faccio scalo a Roma. Volo per Napoli.
Di fianco sull’aereo ho una donna che, dopo avermi chiesto l’ora e aver commentato con stupore che il mezzo avesse ben 200 posti (e a prova di ciò mi ha anche mostrato una pagina della rivista di bordo in cui erano elencate le specifiche tecniche dei velivoli della flotta: timore magari che non le credessi?!), attacca a fare conversazione.
Una persona interessante, che, come mi ha raccontato, girava il mondo per supervisionare impianti petroliferi.
Mentre le parlavo dei miei viaggi cominciò però a inquietarmi, perché mi fissava con gli occhi sbarrati e spalancati e una strana espressione di meraviglia. Tanto che non riuscivo a guardarla in faccia e non capivo il perché. Tornato a casa, ho avuto un’illuminazione. La sua espressione, che il Dio dei gatti mi fulmini se mento, era identica a questa:
Una ragazza sorpresa dallo scoprire che un aereo abbia ben 200 posti
8 – Il poeta Fiorentino Ottobre.
Alla stazione Termini mi viene incontro un tizio sulla sessantina, tutto gioviale e sorridente. Trascinando un carrellino di quelli che le sciure utilizzano per fare la spesa al mercato, con un ampio sorriso mi si pianta davanti e fa:
– Permette? Sono un poeta fiorentino!
Io rispondo I’m sorry, I don’t speak italian.
7 – L’Affarista Fiorentino Giugno.
Metto in vendita un lettore mp3 su Subito.it. Mi scrive un tizio dicendosi interessato chiedendomi il prezzo senza spedizione (non era prevista alcuna spedizione, comunque!). Poi mi chiama.
– Tu sei a Roma, giusto? (chiedo)
– No, sono a Firenze
– Scusami, come fai col ritiro? Perché mi hai poi chiesto il prezzo senza spedizione
– No tranquillo poi vedo di organizzarmi (che vuol dire?)
– In che sei laureato? (prosegue)
– Scienze Politiche (ma che ti frega?)
– E com’è questa politi’a? Un gran ‘asino, eh?
– Penso che in Italia sia difficile governare e far politica perché ci sono molte linee di frattura e particolarismi
– E ‘he ne pensi del mio ‘oncittadino, eh?
– Il superamento dei particolarismi rende difficile la pratica di governo, quindi a prescindere dal personaggio l’Italia è un Paese difficile
Una cosa che ho imparato è che la gente non ti ascolta, quindi basta fingere di dire qualcosa con tono saccente e autorevole, come già ho ampiamente dimostrato in passato e come ho intenzione di continuare a fare in futuro.
– Eh ma sai quale è la verità? La gente s’è rotta i ‘oglioni, scusa la parola, ma perché vedi in tempi di crisi non poi mi’a fa’ chiacchiere, prendi pure la ‘osa degli immigrati, se non c’ho soldi mi dici te ‘ome si fa a mantenerli? Qua non c’è lavoro per gli italiani, ma fi’urati te per gli immigrati
– Purtroppo sono processi lunghi che necessitano di valutazioni che al momento il dibattito politico anche a livello europeo sembra non concedere
– Eh se parliamo dell’Europa ti mando giù la batteria del cellulare. Va bene, ‘scolta ti fo’ sapere domani o al più tardi tra due giorni, va bene?
– Va bene
– Allora a presto, tante ‘are ‘ose e buon tutto
– Grazie, anche a te.
Una delle invenzioni più utili dopo il deodorante.
6 – Lo Studente Per qualche tempo ho dato ripetizioni a un ragazzo del liceo. Uno che temo che da adulto si darà all’alcolismo. Oppure sposerà una donna che lo tiranneggerà.
Sua madre, infatti, lo tratta come un perfetto incapace.
Ricordo dopo la prima lezione, quando ci accordammo per la seconda:
– Quindi lei quando è libero?
– Io fino a domenica son qui.
– Allora potremmo fare venerdì. Oppure sabato, che dici, T. (rivolta al ragazzo)?
– … (il ragazzo fissa il vuoto)
– Allora va benissimo, facciamo venerdì. Ma lei è libero anche di mattina?
– Venerdì sì.
– Allora potremmo fare venerdì mattina che è festa a scuola. Va bene, vero, T.?
– …(il ragazzo fissa di nuovo il vuoto ma non si sa se è lo stesso di prima o ha trovato un altro vuoto da contemplare)
– Va bene, allora venerdì alle 10:30. Poi ci penso io a svegliarlo e farlo stare in piedi.
Il povero T. all’università vuole studiare lingue, ma in famiglia non sono convinti.
Interpellato sull’argomento, io risposi che con le lingue si può lavorare in vari ambiti, certo è importante sapersi vendere. Madre Sua disse:
– Eh, appunto…(facendo davanti a lui con la mano un gesto come a dire “purtroppo lui è quel che è”).
Se copia il compito e si fa sgamare, la madre lo rimprovera due volte: per aver copiato e perché è così fesso da essersi fatto scoprire.
5 – Il Seduttore
Ottobre, Roma.
A via dei Fori richiama la mia attenzione un ragazzo ben vestito, con i capelli da Goku e oro che spuntava un po’ dovunque, chiedendomi aiuto per una foto con i Mercati di Traiano sullo sfondo. Ce ne sono volute una decina, perché o erano troppo scure o troppo luminose o passava qualcuno.
Durante i tentativi scambia qualche parola con me e mi racconta di lui. Poi fa:
– Ieri sono stato con un’asiatica, da urlo, amico. Però io voglio divertirmi e fare esperienze: oggi voglio proprio cosare un coso. Sai dove posso andare stasera per cosare un coso?
– Non ho idea perché non sono mai andato in cerca di cosi da cosare
– Dovresti provare
– No amico (ridendo), preferisco le donne
– Certo, anche io. Ma poi ho scoperto che provando cambia tutto. Un uomo sa meglio di una donna cosa piace a un altro uomo (abbassa gli occhi verso la mia cintura)
– Sarà anche così, ma…
– Non vorresti provare? (mi interrompe)…Sai, io ho proprio tanta voglia di cosare un coso (abbassa di nuovo gli occhi)
– Mi dispiace, senti ho l’autobus che mi parte.
“Ha un ritardo ma non è in gravidanza, cos’è? Un autobus di Roma”
4 – L’Enigmista
Lo citai in questo post.
Novembre.
Sull’autobus sale un tale che sembra Edward Nygma 10 anni più vecchio. Ha anche gli stessi occhiali. Si siede davanti a me. Ha degli atteggiamenti ansiogeni: si tiene le mani nervosamente, guarda fuori con aria preoccupata.
A un certo punto, con accento barese, mi chiede:
– Scusi, sa…se questo autobus ferma in qualche posto…
– Come?
– Se si ferma in un qualche posto…un deposito…cioè un posto…
– Al capolinea?
– Sì! Al capolinea!
– Certo, arriva sino alla Stazione San Pietro
– Ok, grazie.
– Però non è un deposito di autobus – preciso – cioè è uno spiazzale e basta, eh
– Sì sì, sta comunque fermo 2-3 minuti e poi dopo riparte, vero?
– Sì, certo
– Grazie (appare tranquillizzato).
– Sa, io sono a Roma a cercare lavoro e casa (aggiunge)
– Ah (non te l’ho chiesto. E li cerchi ai capolinea?)
– Ma non è facile, sa
– Eh, lo so.
Mi capita spesso di intrattenermi a parlare col giovane W..
O meglio, non è che con W. ci si fermi: è lui che comincia a parlare appena entri nel suo raggio d’azione.
I suoi racconti partono spesso con “I met a girl”* e fin qui potrebbe sembrare normale.
* Pur parlando bene italiano preferisce chiacchierare in inglese che parla molto meglio, col suo accento di Brooklyn – pur essendo palestinese e non avendo mai visto l’America – e la gestualità tipica dei Soprano.
Tuttavia, dato che è molto religioso e considerato che l’Islam vieta qualsiasi tipo di contatto sessuale fuori dal matrimonio, le sue storie finiscono sempre in malo modo: le donne a un certo punto si stancano delle fase ‘bacini-bacetti’ e quando lui dice di non andare oltre è costretto a rompere la relazione.
A questo punto della storia alla maggioranza dei maschi che ascolta in genere partono improperi e bestemmie varie.
La domanda a questo punto sorge spontanea: se è ferrea la convinzione di seguire una via ascetica, perché continuare a fare conoscenze, scambiare messaggi, uscire con le donne?
La sua risposta è che avverte il bisogno del contatto (non sessuale) con una ragazza: parlare, abbracciarsi eccetera.
A questo punto della storia invece la maggioranza delle donne che la ascolta in genere esclama “Ooh che tenero”.
Una volta mi ha raccontato che una sera è andato in un disco-bar per trovare qualcuna con cui chiacchierare.
Non mi sembra proprio il luogo ideale, tant’è che aveva fermato una tizia che poi a un certo punto gli si è buttata addosso.
Ieri sera ho visto, passandoci davanti, il suddetto disco-bar: è praticamente un ritrovo di giovani turiste americane o inglesi e mi ha dato l’idea che in effetti il rimorchio lì sia molto facile e che uno sguardo non sia ricambiato con l’occhiata infastidita “Cazo guardi?” (Ibrahimovic dixit).
Mi capita spesso di ricevere un’occhiata simile, e nella maggior parte dei casi non per uno sguardo interessato: il fatto è che io mi incanto a guardare la gente. Osservo come si muovono, come parlano, cerco di capire cosa facciano nella vita e che persone siano. È uno dei modi per passare il tempo nelle sale d’attesa o sui mezzi pubblici.
Anche se i tacchi a squillo ingannano, l’età delle frequentatrici del posto credo possa renderle eleggibili come nipoti di Mubarak (ammesso che Mubarak abbia nipoti bionde e con la mascella ipertrofica).
W. comunque è un ragazzo sveglio e intelligente e, oggettivamente, anche ben piazzato fisicamente: 1.85, spalle ampie, tipico torso a triangolo rovesciato.
Anche io volevo essere un triangolo: purtroppo son venuto fuori scaleno e a volte un po’ ottuso.
Ma sono convinto che la facilità di approccio di W. sia connessa anche alla sua non-pericolosità. Come cantava il pittore Cimabue, Le donne lo sanno: percepiscono le intenzioni di qualcuno e il fatto che lui si avvicini con l’interesse soltanto di parlare ispira più fiducia e induce all’apertura.
La seconda domanda che sorge spontanea a questo punto è: possibile che non abbia mai vacillato? A tal proposito mi disse che una volta gli venne la tentazione, ma in quel momento qualcosa non ha funzionato. Lui l’ha interpretato come un segno che stesse facendo qualcosa di sbagliato.
C’è chi lo chiama Dio, chi lo chiama peperonata sullo stomaco, io la chiamo ansia da prestazione; insomma alla fine la natura è bastarda come ben sapeva Giacomo Leopardi.
Stavo comunque pensando che nella zona dove abito a Roma è pieno di suore, anche giovani: un giorno di questi lo porterò con me così potrà farsi tutte le chiacchierate femminili che vuole senza timore di dover cadere in tentazione.
Si spera.
Una vignetta di Natangelo sul suo vecchio prof di religione mi ha ispirato dei ricordi sui miei trascorsi scolastici e i professori di “dottrina” (come ho sentito dire da persone di una certa età).
Ho avuto un solo professore di sesso maschile, che assunse la cattedra per gli ultimi due anni di liceo. Il percorso dalle elementari in su è stato invece accompagnato da maestre e professoresse. Mi sono sempre chiesto se in generale l’insegnante di religione fosse un ruolo più maschile o più femminile, non trovando mai una risposta esauriente.
Il prof del liceo era un insegnante non convenzionale, di quelli che religione la divulgano a modo loro. Preferiva far lezione con gli studenti tutti raccolti attorno la cattedra, chi seduto sul banco, chi in braccio a qualcun altro, chi in piedi. Si dialogava a ruota libera su qualsiasi tema ed era un modo produttivo per impiegare un’ora che altrimenti sarebbe stata sprecata.
Fu un cambiamento di impostazione rispetto alla precedente insegnante, che lasciava dialogare ma non offriva molto spazio a interpretazioni personali. Se la Genesi afferma che l’uomo è stato fatto con la polvere e la donna con una costola – diceva – allora è accaduto tutto letteralmente così e non va considerata come una metafora o un’allegoria.
Ciò che all’epoca mi pento di non averle chiesto è cosa pensasse delle edizioni della Bibbia e dei cambiamenti nel testo che sono stati effettuati di volta in volta dai traduttori: se il libro è la parola letterale di Dio, quale sia il bisogno di modificarla non si comprende. Certo, se la scrittura è opera di Dio forse lo saranno anche le richieste di modifica? È alquanto strano: non è che Umberto Eco dopo aver pubblicato un romanzo telefona di tanto in tanto alla Bompiani per chiedere di cambiare il testo. Ma Eco non è Dio, quindi forse il vantaggio di essere una divinità è quello di poter contattare il proprio editore quando più aggrada.
La professoressa delle medie è stata l’unica tra tutti gli insegnanti di religione che ho avuto a interrogare e distribuire anche voti negativi. Amava le storie dell’Antico Testamento, difatti un giorno mi salvai durante una raffica di interrogazioni a sorpresa raccontando la storia di Esaù e Giacobbe, che ricordavo perché mi aveva colpito per il puzzolente inganno perpetrato da Giacobbe ai danni del padre e del fratello.
Si racconta infatti che Giacobbe, per avere la benedizione del padre morente al posto del fratello, si presentò da lui sotto mentite spoglie. Il vecchio Isacco, cieco, riconosceva i figli al tatto. Esaù era molto peloso, così Giacobbe si ricoprì di pelli di capra – che non credo avessero un buon odore, ma forse non lo aveva neanche il buon Esaù – per ingannare il padre. Mi lasciava sempre perplesso come un uomo potesse essere villoso quanto una capra e mi chiedo cosa ne avrebbe pensato Vittorio Sgarbi a proposito di un tal individuo caprino.
Della maestra delle elementari ricordo la tinta di capelli rosso mogano, sempre la stessa per tutti i 5 anni. Una decina di anni dopo la incontrai per strada e sfoggiava la medesima tinta: non ho mai visto una simile coerenza di stile, encomiabile.
La maestra Pina (così la chiamavano) oltre per il capello, era nota per fare da coordinatrice per le recite scolastiche, soprattutto per ciò che concerneva i cori. In quelle recite ho sempre avuto un ruolo marginale o insignificante. come quella recita di Natale dove a me e altri due tapini fu affidato il compito di fare da intermezzo pubblicitario tra primo e secondo tempo, parodiando uno spot della Melegatti. Avevo imparato a memoria la mia battuta, se non che due giorni prima della recita le maestre la cambiarono. Provammo e riprovammo il nuovo sketch ma sul palco la mia sicumera mi tradì e feci confusione tra le battute, tra l’ilarità del pubblico formato dalle altre classi.
Non era colpa mia se non avevo esperienza di recitazione perché qualcuno aveva voluto così. Non era neanche colpa della maestra Pina che con me fu sempre buona. Una volta mi difese quando, durante le prove del coro che sarebbe stato inserito in una recita, fui sbattuto fuori dall’aula dalla maestra di matematica (che chiamavo “la maestra a quadretti”, mentre la “maestra a righe” era quella di italiano) con l’accusa di aver fatto lo spiritoso e aver cantato urlando.
Resto ancora convinto di essere stato vittima di un errore giudiziario.
Comunque a parte la maestra Pina e il buon samaritano del liceo, spero che le altre due siano andate in pensione e non esercitino più, perché non mi piacevano affatto.
E a pensarci non ho mai amato neanche l’ora di religione, ma questa è un’altra storia.
La prima volta che ho fatto qualche tiro di canna non ho aspirato perché non sapevo come si facesse.
La prima volta che ho sentito parlare di droga fu quando Maradona fu trovato positivo all’antidoping. E non capii bene il senso delle parole di mia madre: “Gli hanno trovato la cocaina addosso” e io pensavo che proprio fisicamente c’avesse della roba sparsa sul corpo.
La prima volta che mi sono eccitato consapevole di ciò fu sfogliando un catalogo Postalmarket. E, vorrei dire, quanto erano lascive le pagine dell’intimo? Pizzi e trasparenze ovunque, altro che le mini robe elasticizzate di oggi che son buone per tirar di fionda.
La prima volta che ho avuto una fionda è stata anche l’ultima, perché non ne ho fatto un uso accorto.
La prima volta che sono andato in farmacia a comprare dei preservativi sono entrato con l’atteggiamento di un tossicodipendente che va a cercare il metadone. Avvicinandomi al bancone chiesi alla giovane farmacista, indicando l’espositore, quali fossero i più sottili (perché il primo pensiero era che “qualcuno” si tediasse e si ritirasse sdegnato sulle proprie posizioni). Lei rispose:
“Non ne ho idea, non ne ho mai indossato uno”
“Sì, ma…ehm…pensavo che come farmacista conoscesse i prodotti…va be’ prendo questi” dissi io, a disagio come una giornalista quando non parte il servizio e finge di usare un telefono giocattolo.
Sono uscito augurandomi che il suo partner li trovasse tutti bucati. A pensarci su dopo capii che era proprio una domanda del cazzo (o “sul” suddetto…), ma, mi chiesi: se fossi andato a chiedere un consiglio su una marca di supposte, mi avrebbe risposto “Ah non lo so, mica mi infilo cose su per il…”?
La prima volta che ho giocato a calcio sono tornato a casa con le gambe che sembravano di marmo. E neanche di Carrara.
La prima volta che ho fatto scuola guida sono riuscito a mettere la retro al posto della prima tutte le volte che fermavo l’auto. Era una Mini Cooper e la R è appunto in alto a sinistra.
La prima volta che ho ricevuto del denaro per un lavoro da me fatto, fu da mia zia per averle venduto dei miei disegni. La cosa mi convinse di avere delle spiccate capacità artistiche. Cosa che non ho mai avuto.
La prima volta che ho sentito parlare del Big Bang ho pensato: “Se c’è stata un esplosione che ha scagliato roba nell’Universo per 14 miliardi di anni, poi dovrà esserci qualcos’altro: la roba tornerà indietro come un sasso lanciato in aria? Si fermerà?”. Nessuno ci crede, ma io da bambino ho teorizzato quindi il Big Crunch e la Morte Fredda dell’Universo (fa niente che non ci voleva tanto ad arrivarci e che l’avesse pensato già qualcuno prima di me, dettagli).
La prima volta che dubitai dell’esistenza di un dio fu quando pregai perché la mia console Atari 2600 che si era rotta tornasse a funzionare e così non accadde.
La prima volta che sono andato al cinema fu per vedere il film di Mr Bean.
La prima volta che vidi Berlusconi in tv pensai: “Toh, che viso sorridente e tranquillo. Dev’essere proprio una brava persona”
La prima volta che sono potuto andare su internet in totale libertà non sono andato a cercare pornografia ma musica gratis.
La prima volta che ho cercato pornografia su internet ho riempito il pc di virus.
La prima volta che ho scritto su questo blog ho pensato avrei smesso dopo poco, pentito. E in realtà me ne pentii e me ne pento ogni volta che pubblico qualcosa, fortunatamente ho più egocentrismo che rimorso.
La prima volta che ho comprato un cd è stata per quello delle Spice Girls. Credo a convincere un bambino 11enne fu il video (mostrato dal Tg2) con l’attaccapanni della Sporty Spice in primo piano. E mò ve lo ribeccate perché al trash non c’è mai fine.
Ma cosa c'è dentro un libro? Di solito ci sono delle parole che, se fossero messe tutte in fila su una riga sola, questa riga sarebbe lunga chilometri e per leggerla bisognerebbe camminare molto. (Bruno Munari)
Come quelle coperte, formate da tante pezze colorate, cucite insieme tra loro.
Tessuti diversi, di colore e materiale eterogeneo, uniti in un unico risultato finale: la coperta.
Così il mio blog, fatto di tanti aspetti della vita quotidiana, sempre la mia.