Non è che se ti perdi vai al vivaio chiedendo di una piantina

Venerdì è passato in ufficio il ragazzo della schiava volontaria del Servizio Civile. Mi ha rivolto un’occhiata di malcelata diffidenza e disprezzo stendendo il braccio per un paio di metri per stringermi la mano: praticamente mi ha salutato da un’altra stanza senza neanche avvicinarsi a me.

Potrei essermi fatto delle impressioni fallaci come Oriana io, ma non mi è nuovo tale atteggiamento. Ancora mi ricordo di quando CR mi presentò il suo fidanzato di allora: senza neanche guardarmi in faccia con un labbro contorto dal disgusto lui mi porse una mano moscia e priva di vita. E poi la ritirò. Credo per disinfettarla col fuoco di una grigliata lì vicino.

In passato nella mia vita anche io ho lanciato occhiate di tal genere. È lo sguardo rivolto a chi ti sta sulle balle per il semplice fatto di essere maschio. L’altro maschio.

Nell’homo gelosus subentra il germe del parvus sospectus, che infetta il cervello ospite attivandolo negativamente nei confronti di un – a suo dire – potenziale rivale che potrebbe insidiare la foemina-foeminae della I declinazione.

Il grosso problema sta nel fatto che le donne con cui lavoro tendono sempre a parlare, con leggera ingenuità, di me ai loro compagni. La repetitio del nome della stessa persona in più conversazioni tende a far da terreno di coltura del parvus sospectus.

Va detto che sull’ambiente di lavoro tendo a farmi notare. In passato ho sì cercato di rendermi completamente anonimo e di raggiungere una completa invisibilità sociale con lo status di pianta da interni; quando hanno iniziato a versarmi acqua sulle scarpe non ho detto niente. Quando hanno preso a concimarmi coi fondi di caffè, neanche. Ma spegnermi i mozziconi addosso era un po’ troppo e quindi ho deciso di piantarla con l’essere una pianta.

Anche perché al lavoro io mi annoio a stare sempre composto. Soffro di deficit di attenzione e di iperattività, per ovviare ai quali mi rendo allora disponibile a esser di compagnia con chi mi ispira fiducia. Sono tranquillo e delle volte anche piacevole da aver accanto. Fu una volta che allora compresi: non ero una pianta, ma un gatto da interni!

Infatti dovunque io lavori hanno preso anche a regalarmi delle palline con cui giocare.

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Questa è del periodo di Budapest

Ora, quindi, vorrei dire all’homo gelosus: come fai a essere geloso di un gatto? Tanto non puoi competere con un essere superiore.

Non è che l’affarista a casa abbia solo mobili da incasso

A. ha commesso un errore che potrebbe costarci qualche decina di migliaia di euro, ammesso che il progetto vada in porto.

Ha messo in copia in una mail me e un altro, cosa che il destinatario istituzionale di tale messaggio di posta non vuole che si faccia.

Tutto qui? Una cosa simile costa migliaia di euro?

Le regole non le scrivo io. Sono meccanismi imperscrutabili. Viviamo in un mondo che ruota intorno a cose di cui ignoriamo i lati nascosti.

Le costituzioni non si toccano.
Ma non possiamo esserne sicuri senza aver visto la loro cronologia internet.

I vaccini provocano gli autisti, che infatti sono sempre irritati e in sciopero.

Erano quindi le 8 di sera e via Skype ho detto ad A. – in preda a crisi ansiose autolesioniste a causa dell’errore commesso – di staccare, tornarsene a casa e farsi una dormita.

Giacché io a casa già c’ero andato. Stavo in mutande sul divano a grattarmi i Gintokini e quindi mi sentivo in colpa per la poveretta ancora chiusa in ufficio.


A meno che non fosse anche lei andata a casa e si stesse grattando altro, cosa che avrebbe potuto stimolare un piacevole prosieguo telematico di serata ma ahimé la timidezza reverenziale umana in tali approcci inibisce sempre questo tipo di relazioni.


Lei ha continuato a scusarsi prima di staccare, perché questo errore vanificherebbe un mio lavoro di due settimane.

Io le ho risposto placido e tranquillo, con filosofia: Non fasciamoci la testa prima del tempo.

Sono zen come un monaco?
Ebbene sì.

O almeno è ciò che faccio credere.

In realtà non me ne frega un gatto.

Non riesco a provare irritazione, perché che non arrivino dei soldi alla compagnia non me ne cale né tanto né poco.

E non son quei soldi a pagarmi lo stipendio. Non sono una gallina e non sono pagato a quantità di uova prodotte.

Beninteso, se la compagnia non incassasse danaro, presto o tardi il mio stipendio diverrebbe un onere eccessivo, quindi, che sia in modo diretto o in modo indiretto, la cosa finisce per tangere anche me.


Se fossimo in Marocco finirebbe per Tangeri?


Eppure non riesco a preoccuparmici con tensione emotiva.
È sempre stato così. Non sento lo spirito di squadra intorno al capitale aziendale.

L’ultima volta che invece ho preso a cuore le sorti di danaro non mio, anni fa, mi è poi venuta la gastrite.

E la cosa buffa è che non mi era mai capitato invece per il denaro mio, quello del mio portafoglio. Al massimo è arrivato un rodimento anale, ma quello è scontato.

Non sono comunque scevro da partecipazione emotiva in campo professionale. Ma riguarda più questioni che mi toccano sul personale o che mi provocano una reazione istintiva.

Ad esempio se ti vedo prendere la pizza con l’ananas ti guarderò male per qualche giorno.
E no, non ti giustifico perché non sei italiana: siamo nel XXI secolo e certi valori devono essere riconosciuti altrimenti qui non si capisce più dove stiamo andando a finire.

E tu invece pensi ai destinatari delle mail mentre nel mondo accade ciò?

Non è che la pasticcera sia una ragazza complicata perché è con-torta

Oggi CR mi ha convocato in sala riunioni.
Definita così può sembrare chissà quale ambiente importante: è una semplice stanza con un tavolo ovale di truciolato e un gagliardetto dell’UE posto a decorazione che viene sempre spostato perché dovunque sta rompe i maglioni. Un po’ la metafora dei rapporti degli Stati con l’Unione oggigiorno.

Entro e trovo i colleghi schierati, un posto libero per me a capotavola e una torta che mi attende.

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Proprio una torta con i baffi, non c’è che dire!

Il disegno coi gatti rappresenta tutta i componenti della compagnia.
È stato poi ultimato con altri ritocchi e io son diventato azzurro in omaggio ai miei interessi partenopei. Ho le zampe sporche per la mia tendenza un po’ pasticciona.

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Sia il disegno che la torta son stati fatti da CR.

Essendo nota la mia golosità di torte al cioccolato, nella propria creazione CR ha aggiunto una massa tale di cacao che la torta aveva la densità di una nana bianca.


Che non è una ragazza caucasica di bassa statura, ma una stella di ridotte – in relazione astronomica, ovviamente – dimensioni e dalla scarsa luminosità ma caratterizzata da una massa molto compatta e una densità incredibile.


Si è raccomandata di non tagliarla giusto a metà altrimenti si sarebbe liberata l’energia di una fissione nucleare come quando si spacca un atomo di uranio-235.

Mi è venuta un po’ di commozione. Cerebrale, perché per sbaglio CR m’ha dato una gomitata in testa mentre si voltava.

Il motivo di questa celebrazione è l’avvicinarsi del mio addio alla compagnia.
La festa di addio – festa perché finalmente tra poco non ci saranno più danni a suppellettili o attrezzature a causa dei miei poteri distruttivi da Deathtouch – è stata anticipata a oggi in quanto CR il 18 va in vacanza e tornerà soltanto quando io sarò già andato via; il 16 è festa in quanto lunedì di Pentecoste e il 17 verrà da Bruxelles il Capo dei Capi. Che non è un boss della mafia anche se da come lo descrivono in me si è figurata questa immagine.


Che non vedrò più CR a breve un po’ non mi dispiace, in quanto dopo il mio sogno erotico ogni tanto mi torna sempre un po’ di imbarazzo. Ho una porzione di cannelloni nel congelatore che consumerò soltanto quando sarà già andata via: non vorrei mai sentirmi dire “Fammi provare il tuo cannellone”.


Tornando a casa riflettevo sul fatto che dovunque ho lavorato mi sono fatto benvolere e ho lasciato un buon ricordo di me.

E ogni volta non riesco a spiegarmelo. Io, così schivo – mi faccio schivo da solo, a volte – e anche così strambo quanto un articolo di Focus.


Focus è la mia rivista preferita. Spesso propone dossier lisergici del tipo “Il mestiere più puzzolente del mondo: annusatore di peti”, oppure “2030: produrremo energia elettrica strofinando scarpe di gomma sulla moquette e accarezzando gatti contropelo”¹.


¹ A scanso di equivoci, questi titoli li ho inventati io ma non sarei così sicuro che un giorno non possano far la loro comparsa sulla rivista.


Ma in fondo i gatti si fanno saper apprezzare.

Mi sembra strano, se ci penso, che siano già passati 6 mesi da quando sono a Budapest e che ora me ne dovrò andare.

Questo posto mi è diventato familiare.
La lingua un po’ meno. In compenso però mi sono dato l’obiettivo di imparare tutte le parole uguali all’italiano che terminano con -kus (leggasi cush):

– automatikus
– elektronikus
– rusztikus
– szimpatikus
– szintetikus
– tipikus


La z dopo la s è muta.


Gli ungheresi non sanno che le parole sono simili in italiano e quindi pronunciandole desterete la loro ammirazione per la vostra conoscenza della lingua. Un ottimo trucco per intrattenere piacevolmente gli astanti per cinque minuti.


Accertatevi prima che non ci siano persone intorno che conoscono l’italiano.


Non è che siglare un contratto voglia dire metterci la musica

Mercoledì di settimana scorsa.
Il capo mi convoca per parlarmi.
Mi chiede come mi trovi lì con loro.


Passavo di qui per caso, avrei voluto rispondere.


Poi mi dice che la compagnia non è in un buon momento.


E io lo so che non è un buon momento. Mi hanno raccontato che il precedente amministratore, poi defenestrato, ha lasciato un grande vuoto. Finanziario. Capita quando approfittando di essere il capo ci si triplica lo stipendio da soli.


Da quel momento in poi tutto il resto del discorso è avvolto nel buio.

Ho un problema a seguire chi parla con tono piatto e monocorde e senza muovere le labbra. Li definisco gli ermetici, perché hanno la bocca ermeticamente chiusa. Ho un medico che parla così, lui però la bocca la apre e serra invece i denti. Mi ha costretto a imparare a decifrare la scrittura da medico per capire cosa mai mi stia indicando perché a voce non si capisce niente.


Una cosa che in genere solo un farmacista sa fare. Forse un mio avo aveva una farmacia e mi è rimasto nel dna.


So cosa si potrebbe pensare: sono uno degli ultimi sciocchi che partecipa a tenere in piedi questa farsa mondiale della medicina rivolgendosi ai medici, quando con Google e un bicchiere di acqua e limone potrei curarmi da solo, è risaputo.


La difficoltà aumenta quindi nel cercare di comprendere uno che parla così in inglese.

Aggiungiamo che ho delle mie colpe. A volte, mentre mi stanno parlando, parte in me un dialogo interiore che mi isola dalla conversazione ponendo più o meno queste domande:

– Che cosa vorrà dire?
– Che cosa dovrei dire?
– Che cosa si aspetta che io dica?
– Quale effetto avranno le mie parole?
– Avrò spento i termosifoni prima di uscire di casa?

Mi sono ripreso e sono tornato alla realtà mentre lui mi diceva più o meno “E quindi è così”. Io ho risposto “Ok”.
Non so a cosa io avessi detto ok perché mi ero perso un pezzo di discorso anche se dalla premessa poteva essere comunque intuibile.

Mi sono confidato con CR chiedendo cosa dovessi fare e lei mi ha aiutato a ricostruire quel pezzo mancante. Ne aveva in precedenza già parlato col capo: la società non può permettersi di rinnovarmi il contratto.

Ho esultato perché avevo recuperato il pezzo del puzzle della conversazione. Poi ho realizzato per cosa io stessi in effetti esultando.

Ho ormai una discreta dimestichezza con l’avere una data di scadenza a breve termine addosso. Mi ricordo anche di controllarla periodicamente prima di cominciare a puzzare. Ora ho due mesi per riflettere e capire cosa fare. Potrei restare qui e cercare altro, in tutt’altro campo, tornando a fare cose che facevo già in Italia e che ho odiato fare. Con una differenza: a uno stipendio inferiore. Vantaggi della delocalizzazione.

Oppure, cercare nel mio campo altrove, Italia o qualsiasi altro posto. Sperando di rimediare qualcosa.

Oppure chiedo un prestito e apro una caffetteria minimal-recycle-bio dove al posto delle sedie ci sono dei puff fatti di sacchi di iuta intrecciati da una cooperativa equo-solitaria di ex falsi invalidi con sede in un palazzo sottratto alla politica.

Ultimamente mi sento fumettoso.

Non è che il pazzo d’amore finisca per forza al matrimonio

Ce ne è un altro che si sposa.

In genere di figli e gravidanze di conoscenti o vecchie conoscenze se ne viene a conoscenza (perché il conoscente resti sempre conosciuto) soltanto a fatto compiuto.

Spesso capita che parlando con qualcuno questo poi ti dica
– Oh, sai chi si è sposato?

Che è quel che penso/spero sempre credendo che vogliano fare la battuta, ma non è mai così.

Nel caso recente, c’è la fidanzata di lui che posta ogni giorno un conto alla rovescia, quindi impossibile non fare a meno di saperlo.


La cosa la trovo un po’ inquietante.
Seriamente, per chi è coinvolto dev’essere bellissimo contare i giorni mancanti a un evento atteso. Un po’ come quando io aspettavo l’uscita di Star Wars ep. VII (prima di restarne deluso), che credo come sensazioni sia la stessa cosa, di sicuro è così. Però a guardare dall’esterno sembra il preannuncio dell’Apocalisse.


Tra l’altro lui faceva parte della compagnia o io ero parte della compagnia, insomma ci si faceva compagnia a vicenda. Però non ci si frequenta da tempo, non so quanto perché per me il tempo è immutabile e granitico. Poteva essere due anni fa che mangiavamo una pizza insieme. Magari era invece 20 anni fa e la pizza faceva pure pena.

Insomma, io e il Polacco – da me definito così per il suo aspetto anche se con la barba lunga sembra più un pastore protestante irlandese – quindi non siamo stati invitati. Il che per certi versi è un sollievo, dato che considerato l’ambiente (un classico matrimonio napoletano) saremmo fuori luogo come un tweet di Gasparri.

Il dato è un altro.
La gente si sposa. Fa figli.

Cosa succede a tutti? Non si parlava di calo dei matrimoni, crollo delle nascite? Chi le fa le rilevazioni, il Comandante Schettino? Vi passo la mia lista di amici di facebok per sovvertire le statistiche.

Non solo si sposano e figliano ma stanno lì a condividere la cosa col mondo.

Io lo so il motivo: si sentono migliori di te.
Secondo me la gente non si sposa per amore, ma per ostentazione.

Io non ho nulla contro i matrimoni eterosessuali, sia chiaro (anzi ho degli amici sposati).
È il perché gridarlo al mondo che non capisco. Vuoi sposarti, va bene. Fallo. Io non giudico le scelte private altrui anche se non le condivido.
Però fallo a casa tua. Non dirlo al mondo, non sposarti in luogo pubblico e non condividere ogni giorno questa cosa su facebook. Per caso io mi sveglio una mattina e scendo a gridare per strada “Gente! Non sono sposato! Dai fatemi i regali, celebriamo il mio non-matrimonio!”?


Il Cappellaio Matto festeggiava, giustamente direi, il non compleanno. Però il Cappellaio era Matto.


E non contenti, vogliamo pure far sposare gli omosessuali. Dai, aggiungiamo altre persone che tramano per far sentire inadeguati noi scapoli impenitenti. A noi chi ci tutela?


Anche se direi che tanto col nostro Parlamento siamo in una botte di ferro! Non avverrà mai.


Sto pensando di organizzare un NFD, un non-family day per dare voce a tutti noi messi a rischio dal matrimonio etero/omo che sia.

Quindi io non so se mai mi sposerò.

A parte che servirebbe prima qualcuna che acconsentisse.

E poi ci vuole una donna che mi smuova, mi dia una mossa.

Infatti, a quella giusta io chiederei: Vuoi spostarmi?.


Tutto il post è nato per giustificare questa pessima battuta.