Non è che sei maldestro perché ti cadono sempre la braccia

È da una decina d’anni circa che mi trovo nel mondo del lavoro e della ricerca di esso e ho un po’ di esperienza di colloqui. Invidio chi non ha mai avuto bisogno di farne uno e non sa manco come si scriva un CV; non mi riferisco a casi di spinte istituzionali o che altro, ma semplicemente a opportunità che a qualcuno sono arrivatre tramite un semplice passaparola o un intreccio di rapporti.

In quest’ottica secondo me non sbagliava l’ex Ministro Poletti quando parlava di inviare meno CV e partecipare a più partite di calcetto.

Io a calcetto sono sempre stato una pippa, forse è stato questo il mio problema.

Ho avuto e sto avendo più soddisfazioni dal nuoto, però ancora nessuno mi ha offerto un lavoro, sarà che in acqua non puoi parlare ché se apri la bocca poi bevi e non è molto simpatico.

Un’altra cosa che un po’ rimpiango è il non avere aneddoti interessanti di colloqui di lavoro particolari; ciò non toglie di aver spesso provato seccatura&fastidio di fronte a domande che fanno cadere le braccia.

Le più comuni di queste, capitatemi tutte fuori territorio d’origine, sono (con tra parentesi le risposte che avrei voluto fornire):

«Quindi lei è di Napoli?»
(Sì, c’è anche scritto sul CV, non sa leggere? Sul serio lei è pagato per perdere tempo con queste domande?).

A volte questa domanda è seguita da quest’altra:

«Non sembra di Napoli/Non si sente che è di Napoli»
(Shpara Gennà, shpara! Ora l’ho convinta? Le grido anche un FOZZA NAPOLI con tanto di imitazione di enfisema vulgaris tipico di chi è appena tornato dallo stadio, se vuole).

La più bella forse è questa:

«Quindi lei si trasferirebbe qui?»
(Trasferirsi? E perché? Io pensavo di fare il pendolare tutti i giorni, tanto cosa vuole che siano 600 km tra Vergate sul Membro e casa mia? Ho un cannone da circo a casa, mi faccio sparare qui al mattino, per il ritorno, invece, avete dotazione di una catapulta medioevale in ufficio?).

Una volta, invece, da Bologna andai a Parma in un’agenzia che aveva una ricerca aperta.

«Mmhh…Bologna…che ci fa qui a Parma?»
(Sa, mi hanno detto si mangia bene in questa zona e volevo provare. Sono entrato qui infatti solo per chiedere se potesse indicarmi una trattoria).

E per non essere troppo autoreferenziale con questo post e aiutare chi mai si trovasse in situazioni simili, ho fatto un piccoli elenco di:

Possibili risposte troppo sincere per domande troppo tedianti

«Lei pratica sport?»
Mi sono dedicato con successo all’onanismo, non a livello agonistico però.

«Parla altre lingue oltre a quelle indicate sul CV?»
Da ubriaco, sì, parecchie.

«Come mai è qui?»
Mi ci avete chiamato voi.

«Per lei cosa rappresentano team working, brefing, brainstorming?»
Un modo per darsi un tono sparando termini inglesi a cazzo.

«Vorrebbe dei figli?»
Da lei sicuro di no.

«Mi può dire un suo difetto?»
Tendo a innervosirmi e picchiare chi mi fa troppe domande.

Ansianità di servizio

Fatico sempre più a sopportare ansiosi e preoccupati di professione. Untori di paranoia che sembra non riescano a stare fermi senza infettare gli altri.

E se poi il treno ritarda di due ore?
E se poi piove?
E se poi finiscono i biglietti del concerto?
E se poi c’è sciopero?

E se poi, cosa? Troveremo il modo di ovviare o ce ne faremo una ragione. Ma placati, per cortesia.

Quando frequentavo l’università man mano che ci si avvicinava all’esame ricordo aumentavano anche le domande.

E se poi ti chiede proprio quella cosa che non ricordi?
E se poi gli parli di quell’argomento e lui fa altre domande?
E se poi quel giorno sta nervoso?
E se poi gli porti la tesina e a lui non piace?

La soluzione
Io rispondevo sempre con una scrollata di spalle e uno spensierato “sti cazzi”. Lo spensierato “sti cazzi” si differenzia dallo “sti cazzi” vero e proprio perché meno aggressivo. L’interlocutore si potrebbe offendere davanti a una risposta volgare. Mentre lo spensierato “sti cazzi” è più leggero e, inoltre, lascia l’ansiopata di turno interdetto, perché spiazzato dal trovarsi di fronte una persona che se ne frega.

Fortuna che i colloqui di lavoro sono cose personali e private di cui nessuno viene a sapere, altrimenti la tortura si ripeterebbe.

In ogni caso non ne posso più. Ogni conversazione così sono per me scatti di ansianità che maturo. Voglio la pensione.

Mento, quindi sono

Le persone mentono.

Che scoperta. Il fatto è che mentono persone insospettabili, persone che ritieni equilibrate e che, soprattutto, non avrebbero motivo di mentire perché la cosa non ha alcun vantaggio pratico.

Potrei comprendere la balla con scopo. Comprendere ma non approvare, beninteso. Se è prodotta in vista di un fine acquista più senso di una balla fine a sé stessa.

Non che io riesca a usarla. Più che mentire preferisco partire da una base di verità e gonfiarla, una tecnica che adotto nei colloqui di lavoro. Se svuotavi i cestini della differenziata, racconterai che eri l’addetto alle politiche ecologiche dell’azienda, ad esempio.
Chiamatela pure realtà aumentata.

Questo ha almeno un fine, uno scopo. Ma che – ad esempio – persone che conosco appena e nella cui vita non ho alcuna influenza raccontino una balla non lo concepisco: cosa cambia? Cui prodest? Non conoscendoli avrò più difficoltà a smascherare una frottola? Torniamo alla prima domanda, sul che cosa cambi.

Per me c’è del patologico. La menzogna acquista il potere di definire un’identità. Mento, dunque sono.

Riassunto dell’ultimo mese #1

Nell’ultimo mese per non rimanere inoperoso ho frequentato un corso in selezione HR gratuito. Non sarò diventato un selezionatore di risorse (dis)umane ma ho avuto modo di capire alcune cose sul mercato del lavoro, sul cv e sui colloqui di lavoro.

La sintesi delle 2 settimane di corso è che a queste condizioni è impossibile trovare lavoro. Tralasciamo che oggi è più facile accedere al lavoro con un diploma o se, soprattutto, sai lavorare il ferro, il legno o sistemare impianti elettrici. Diamo per scontato questo e andiamo oltre.

Ciò che vogliono oggi è l’esperienza. Anche questo è scontato. Ma ciò che vogliono è l’esperienza giusta, aver già lavorato per la stessa mansione richiesta.

Quindi: o esperienza attinente o t’attacchi.

Addirittura avere esperienze non attinenti è controproducente e comporta l’esclusione del proprio cv dalla selezione (uno dei motivi – non l’unico – è che puoi dar l’idea di desiderare di voler fare altro nella vita e ti sei candidato perché non trovi lavoro per il settore che t’interessa). Quindi è meglio avere un cv ad hoc per quella candidatura, cancellando cose inutili o non attinenti.

Quindi: cose non attinenti, t’attacchi.

Ma non è finita, perché non bisogna avere “buchi” cronologici nella propria storia personale. Domanda: ma se io tolgo le esperienze non attinenti, non rimangono poi i buchi? Se uno ha fatto 1 anno il barista e poi si candida per un posto in un’azienda di telecomunicazioni, cosa fa? Se toglie quell’esperienza di lavoro risulta che ha passato un anno senza far nulla.

T’attacchi.

Ancora: nel frattempo che trovi il posto di lavoro che t’interessa, che capita l’occasione giusta, sia che t’arrangi con lavoretti occasionali, sia che tu non faccia nulla, il tempo passa. E più il tempo passa più compleanni festeggi e più – rullo di tamburi – t’attacchi. Perché poi le aziende preferiscono quelli più giovani.

Morale della favola: non si sfugge dal solito tram-tram quotidiano.

Ha sogni nel cassetto? No, solo calzini e mutande.

Dopo tanti mesi ho avuto finalmente la soddisfazione di partecipare ad un colloquio di lavoro serio, nel senso di un colloquio in cui non hai la sensazione che pare vogliano venderti qualcosa.

In passato ho affrontato colloqui per posti da procacciatore con partita iva: la sensazione che avevo era appunto quella di essere lì a comprare qualcosa, parlavano più gli esaminatori che io. In un colloquio per una società di assicurazioni addirittura sono stato io, andandomene, a dire “Le farò sapere”.

Ieri, invece, come dicevo ho avuto un classico colloquio serio come ad abc dei colloqui di lavoro: mi parli di lei, punti di forza, sogno nel cassetto…ecco, a tal proposito, ma cosa si dovrebbe rispondere alla domanda sui sogni del cassetto? È palese che nel 90% dei casi si debba evitare di dire la verità, perché il sogno può non essere in linea con l’azienda con cui si fa il colloquio (non è che puoi dire di voler fare l’astronauta a una ditta di protesi acustiche per talpe) o può essere troppo personale o assurdo (del tipo, pilotare il Daitarn 3); ma quale è la formula giusta? Se si dà una risposta semplice, magari si passa per persone poco ambiziose, se si dà una risposta troppo pretenziosa, si passa per squali.

Mah.