Non è che puoi mettere in frigo tutto ciò che vorresti conservare

Sono stato a Milano, lo scorso weekend. Erano quasi due anni che non ci tornavo, da quando l’ho lasciata il 18 Febbraio 2020. Inconsapevole tempismo: da lì a pochi giorni si scatenò quel che tutti sappiamo e stiamo vivendo. È da più o meno allora che non rivedevo le mie ex colleghe di lavoro. È stato bello passare del tempo con loro, per una sera chiacchierare, ridere, come non fosse passato un solo giorno.

Una di esse, mentre le altre erano via, mi ha poi confidato, a una mia domanda sui suoi programmi nell’immediato futuro, una brutta notizia. Son rimasto lì inebetito ad ascoltarla. Tutto quel che mi riusciva dire era Ah. Ok. Non immaginavo. L’avrò ripetuto in loop un paio di volte.

Poi ha cambiato argomento. È una persona sempre molto orgogliosa, ferrea nella tutela della propria privacy, intollerante a qualsiasi forma di preoccupazione empatica o partecipazione che odori di commiserazione. Il che mi ha reso impossibile recuperare, in pochi secondi, il discorso, cosa che era evidente non volesse, comunque.

Il dolore altrui è sempre un tema complesso da accettare. Non il dolore in sé, ovvio, ma il prendere coscienza che spesso non ci si può fare molto per risolverlo. Né il prossimo si aspetta d’altronde che tu gli risolva i problemi: non sei Gesùcristo, né Batman né il/la tizio/a che nei film di azione arriva all’ultimo e fa fuori il cattivo dicendo una battuta figa chiusa con “…figlio di puttana”.

Ma io invece, delle volte, vorrei esser solo un frigorifero. Riuscire a conservare le persone, e ciò che hanno caro, intatte, al riparo dalle ingiurie del tempo.

Non è lo stilista causa iperlavoro cerchi rimedi per combattere lo strass

La settimana scorsa sono stato in trasferta a Genova. Come preve-temevo qui, è stato un vero sequestro di persona. Addirittura durante la riunione (8 ore) non si faceva neanche pausa caffè. Certo, dopo avere assaggiato quello che servivano al bar della mensa aziendale, capisco anche perché non si abbia voglia di fermarsi per un caffè.

Il barista ci teneva a dire che lui è nato a Napoli e quindi lo sa bene come si fa il caffè.


Immagino che a seconda di dove nasci ti carichino il software con le capacità basiche tipiche del luogo: a Napoli il caffè, a Livorno il caciucco, a Bologna i tortellini, eccetera, così anche se ti trasferisci per i successivi 50 anni ti resterà la conoscenza. Ecco cosa fanno quando si portano via il neonato appena partorito!


L’altra cosa che ho notato è che le mie colleghe sono tutte iper-accelerate. Delle volte, questo l’avevo già notato interagendoci a distanza su Teams, devo dire loro Rallenta. Si comportano così anche dal vivo. Apprensina a volte ha la testa così piena di monologhi accelerati che parla anche da sola. Anche io lo faccio, ma quando son da solo veramente. Se sono in macchina con uno di fianco magari evito!

Io non so se il lavoro le abbia ridotte così o se, causa il lavoro, devono assumere anfetamine e quindi accelerarsi. Non hanno condiviso con me questo segreto e me ne dispiace.

Io so che – ma è il mio punto di vista dall’alto di un gatto – delle volte bisogna magari tirare il freno.

Oggi ad esempio, in riunione online, si parlava del telelavoro; sinora abbiamo usufruito di quello illimitato, da Novembre sarà limitato. Su questo tema, è nata poi la questione dello straordinario: con il telelavoro non viene mai computato e in quest’anno e mezzo o poco più di lavoro a distanza tanto straordinario svolto sarà andato perso.

Apprensina però ha osservato:

«Ok, ma senza telelavoro lavorando in sede avreste fatto quegli straordinari? Io no, soprattutto quando ero vincolata ai mezzi pubblici alle 18:00 max 18:30 me ne andavo»

Risponde Performina:

«Io sì, invece. Quando era il turno del padre di tenere mia figlia io restavo anche fino alle 20:30 in ufficio. Tanto visto non c’è nessuno a casa che mi aspetta, tanto vale che resti».

Premesso che ognuno fa quel che gli pare e se si trova bene con quel che fa, tante care cose e non sono affari miei. Però non ho potuto fare a meno di trovare tutto ciò un po’ triste.

Va bene che se quella sera sei senza figlia non hai urgenza di tornare. Va bene anche che magari tornare e trovare la casa vuota sia un po’ deprimente e quindi non forse non ti vien molta voglia.


È una mia speculazione, beninteso. Magari invece quando ci torna alle 21 è contenta di stravaccarsi sul divano con una busta di Chipster a fare le puzze in libertà fino a che non è ora di dormire.


Ma diogatto, fa’ qualcos’altro, passeggia, corri, salta, nuota, qualunque altra cosa che non comporti il chiudersi 12 ore in ufficio!

 

Non è che serva essere matematici per dividere gli spazi

Dove lavoro io ci sono in maggioranza di donne. Divido poi l’ufficio con due colleghe. Il primo giorno che sono arrivato abbiamo fatto un giro di presentazione: c’è questa imbarazzante usanza di dover fare il giro di tutta la sede per presentarsi, creando imbarazzo nei nuovi ma anche nei “vecchi”, che si sentono obbligati a dover dire qualcosa di brillante ai nuovi arrivati. Infatti uno mi ha fatto “Ah! Condividere lo spazio con tutte queste donne sarà un bell’allenamento per una futura vita matrimoniale!”.

Anche una collega mi ha fatto “Povero te!” alludendo al mio rappresentare una minoranza. Oggi le due colleghe mi hanno detto la stessa cosa, parlando del fatto che nell’ufficio potrebbe arrivare una quarta persona, anch’essa donna.

Mi è capitato in passato, a dei colloqui, quando si passava a delle chiacchiere più o meno informali (dopo un’ora che ti tengono sulla sedia succede), parlando dell’ambiente di lavoro mi dicessero “Eh, siamo tutte donne!” con un tono misto tra “Non hai idea di cosa ti aspetterebbe” e “Qua è un casino”. Come se la cosa dovesse darmi poi da pensare, mentre invece pensavo solo che questa è una non-risposta perché non mi state dando l’informazione che cerco (beninteso, nessuno potrebbe spingersi a dire a un colloquio “Scappa da qui perché c’è un ambiente pessimo” anche se fosse così).

A me non è mai fregato nulla di dover condividere spazi lavorativi con uomini o con donne.

Mi frega e molto il non essere costretto a dividere spazi invece con gente che dà fastidio. E i fastidi possono esseri di varia natura: comportamentale, verbale, ascellare.

Credo quindi che la cosa fondamentale di cui preoccuparsi sia non rompere i testicoli o le ovaie al prossimo, sia esso dotato di testicoli o di ovaie o entrambi e indipendentemente da ciò. E purtroppo – in pochi casi per fortuna – quelli che mi hanno dato fastidio sono stati sia uomini che donne.

Quindi, sì, povero me che devo dividere spazi con gli esseri umani.

Non è che affidi un cane a un vigile perché è un incrocio

Pensieri sparsi.

Gli anziani che portano a spasso il cagnetto mi fanno molta tenerezza. Quando sono in bici e ne incrocio uno di fronte a me però mi viene l’ansia. Penso sempre “Oddio, se adesso il cane facesse un movimento inconsulto e/o io perdessi il controllo della bicicletta e lo investissi, farei morire di crepacuore questa persona”. Poi li supero e tiro un sospiro di sollievo e rifletto su quanto mi facciano tenerezza gli anziani col cagnetto.

Nella cascina sede del mio lavoro ci sono dei gatti che si aggirano nei paraggi. Sono schivi e fuggenti, semi-selvatici. Si nascondono nelle siepi. Spesso mi sento osservato e, guardando fuori dalla finestra, mi accorgo che uno di essi mi sta fissando. Sono giorni che provo a far loro una foto ma quando prendo il cellulare loro si girano e se ne vanno correndo verso le siepi.

In questa cascina terremo un aperitivo. Lo scrivo lungo, aaaa-peeee-riiii-tiiii-voooo, perché sentir dire ape mi fa venire l’orticaria. Ape cosa? Ape regina? Ape operaia? Ape tito?

Per questo aperitivo mi hanno chiesto di mettere su una playlist di musica di sottofondo. Penso di aver inserito cose buone, ho ricevuto apprezzamenti dalle mie colleghe che ho utilizzato come tester. Pensavo sarebbe stato complicato raggiungere almeno un’ora di musica invece ho superato le tre ore e mi sono accorto che tante cose che avrei voluto mettere non le avevo ancora inserite. Spero che piaceranno, qui sono molto attenti all’atmosfera dell’aaaaaa-peeeee-riiii-tiiiiii-vooooo.

Oggi io e due colleghe siamo andati in giro a fare spese per l’organizzazione di questo aaaaa-peeee-riiiii-tiiiii-voooo. Hanno detto che la mia guida è un po’ troppo “meridionale”. Io non ho capito cosa volessero insinuare. Rispetto il codice, metto sempre la freccia per ogni minima svolta, lascio passare i pedoni, accelero quando esce il giallo che vuol dire “corri fai presto!”, segnalo col clacson a tutti gli automobilisti in prossimità di incroci/uscite laterali di non osare inserirsi in carreggiata, cosa c’è da contestare? Al massimo avrò esagerato facendo 30 metri in senso vietato, ma è la stradina deserta dove c’è la nostra sede e poi ho evitato loro un lungo giro, lungo ben 3 minuti.

Stando qui ho compreso finalmente cosa si intenda quando si dice che a una ragazza si vede “lo zoccolo di cammello” o cameltoe come dicono gli esperti del settore (non so quale settore ma mi sembrano esperti). Non mi era chiaro fino a che non ho visto su un tram ciò:

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Un cameltoe eccellente, da sfoggiare con fierezza!

Non è che se Max Pezzali si desse alla biologia canterebbe “Sei un mitocondrio”

Oggi è stato il mio primo giorno di lavoro. La giornata sembrava esser costruita per svilupparsi per il meglio. Come primo giorno ero convocato un’ora più tardi, per le 10, con comodo. La mattinata si presentava soleggiata e dalla temperatura fresca ma non fredda. Ideale per andare al lavoro in bici.

Scendo giù le scale per andar a gettare la plastica nei bidoni in cortile e sento un fetore incredibile. Mi guardo intorno. Poi guardo a terra. Avevo calpestato delle deiezioni canine posizionate strategicamente e proditoriamente giusto lì da qualche cane di qualche condomino scappato giù.

Quello era il segnale che qualcosa sarebbe andato storto.

Al lavoro abbiamo iniziato in 5. Le mie nuove colleghe sono tutte donne. La tizia dell’eich arr, parola inglese che sta per Risorses (perché è plurale) Umane, quando ci vede, esclama:

Benvenute! Anzi, BenvenutI! Finalmente abbiamo una quota maschile!

E le mie colleghe:

– È vero, ho sempre lavorato con donne
– Ma io infatti quando stamattina l’ho visto ho detto Un uomo?!

Sono uscito dalla stanza molto contrariato.

In base a cosa hanno pensato che io sia di maschilità uomo? Quale presunzione porta loro a etichettare con leggerezza una persona che non conoscono?

Avrei voluto alzarmi e dire Scusate, ma io sono Gender!. Ma non li leggete i telegiornali? Tutti oggi parlano dell’invasione del gender, addirittura denunciano che sia materia d’insegnamento! Ascoltate i giornali, il gender ormai è ovunque. I cibi che mangiate sono a base di gender. Il gender è il nuovo gender. Solo quelli che vivono nella preistoria non lo capiscono.

E dico preistoria non a caso. E dico che io non capiscono per un solo motivo: la mitocondrialità.

Sabato sera conversavo con due mitocondriologi milanesi, i quali mi hanno fatto aprire gli occhi. Come si sa, i mitocondri si ereditano solo per via materna. Una storia che parte dalla notte dei tempi, da quando le cellule hanno inglobato questi organelli e li hanno fatti propri.

Essendo le uniche a garantirne l’ereditarietà (tal da far parlare di “Eva mitocondriale” – riferendosi non a una sola donna, ovviamente – come origine della specie umana) le donne si può dire che detengono l’esplosivo potere mitocondriale. E vogliono tenerselo!

Per questo non riconoscono (o non vogliono) riconoscere un gender quando ne vedono uno, a mio avviso.

Per questo intendo stabilire regole chiare al lavoro: sono di uominità maschile ma solo perché l’ho deciso io, non perché mi ci avete etichettato voi!

Non è che Polifemo fosse spendaccione perché ci rimise un occhio della testa

Pur essendo conclusa la mia esperienza ungherese, ho mantenuto i contatti con le persone conosciute lì.

Le mie ex colleghe, ad esempio, ogni tanto mi scrivono, mi chiedono come vadano le cose, mi forniscono aggiornamenti sulla vita in ufficio.

Oggi S. mi ha scritto chiedendomi un favore. Una sua amica si sposa e le devono organizzare l’addio al nubilato. Tra gli altri giochi di gruppo da fare, ne ha trovato uno in cui ha pensato di coinvolgermi.


Lì per lì temevo volesse propormi di uscire da una scatola vestito da poliziotto. Dimenticavo che il limite massimo della trasgressione di S. è alzare il volume delle cuffie di una tacca oltre la soglia consigliata. È una che si scandalizza se legge “pene” e considera uno zotico chi ha dei tatuaggi.


Mi ha chiesto foto di alcune parti del mio corpo.


Per il discorso sopra citato, anche qui c’è il bando a pensieri osceni.


Vuole la foto di un orecchio, quella del naso, quella della barba, una di una mano e, infine, la foto di un occhio e una di un sopracciglio.

Serve per un gioco di robe di foto sparse e figure da ricostruire: credo lo scopo sia riuscire a rintracciare il futuro marito in mezzo ad altre immagini.

La cosa divertente è stato che alla fine ci ha tenuto a precisare che “Non userò le foto per altri scopi diversi da questo”. Ci mancava mi chiedesse l’autorizzazione al trattamento dei dati.

Formalismo ungherese.

Al che però mi si è accesa una lampadina: volendo pure ammettere la cosa, ma quali mai potrebbero essere scopi diversi da quello indicatomi?

  1. Costruire, insieme ad altre immagini di altre parti di ignari uomini, un volto finto da usare come profilo Tinder per adescare ragazze da ricattare;
  2. Lei e le sue amiche sono in realtà feticiste delle orecchie, delle sopracciglia ecc.
  3. Ha intenzione di mettere in vendita su internet le foto per feticist* di orecchie, sopracciglia, ecc.;
  4. Le servono per un book di presentazione per il mercato nero dei trapianti d’organo;
  5. Vuole fare soldi con gli acchiappaclick, pubblicando le foto con la didascalia +++CLICCA SULL’OCCHIO E…QUELLO CHE SI VEDE È INCREDIBILE+++ (SPOILER: SI VEDE LA PATATA):

Occhio!

Non è che Conversano sia una città dove si parla molto

Nelle mie vite lavorative, che cominciano a essere in numero discreto, mi sono sempre trovato più a mio agio stando a contatto con le colleghe invece che con i colleghi.

Il motivo è semplice. Durante 8-9 ore è necessario distrarsi e scambiare una parola con qualcuno, se non altro per staccare gli occhi dal monitor e fare una pausa dalle sessioni di videogiochi online.

Essendo una persona che si annoia con facilità, necessito di conversazioni stimolanti. In questo le donne sono più propense a fornire input di riflessione.

A parte discorsi su vestiti e oroscopi. È un rischio da correre e per il quale ho delle contromisure.

Nel primo caso, conscio di essere uno che sceglie come vestirsi in base a ciò che l’armadio gli pone sotto gli occhi in quel momento (discorso che varia in base al numero di capi in fase lavaggio/asciugatura o alla pigrizia nel mettere ordine), utilizzo la psicologia inversa per fornire pareri.

– Ti piace questo vestitino?
– Uhm…tu che ne pensi?
– Non lo so, lo vedo troppo chiassoso
– Sono d’accordo, lo vedo troppo…caotico, ecco
– Poi non so in che occasione andrebbe mai bene
– Infatti, poi resta chiuso in armadio
– Quindi dovrei prenderlo o no?
– Beh, lo prenderesti sapendo di non metterlo?
– Hai ragione, grazie!
– Prego!


Questo breve scambio è un esempio di applicazione di maieutica socratica. Le persone in genere hanno già in sé la risposta, basta farla emergere.


Nel caso degli oroscopi, mi capita sempre qualcuna che voglia da me l’ascendente. La prima volta che mi fu chiesto pensai Uhm, intenderà del sesso?.

In genere rispondo che non lo conosco e fornisco sempre un orario di nascita a caso per il suo calcolo. Mi hanno quindi attribuito decine di caratteristiche diverse e confliggenti ma che sarebbero tutte tipiche di quelli nati il/quando come me, a detta loro.

Con gli uomini la conversazione è un po’ più complessa.
Quando si ha un rapporto soltanto professionale ci si tiene su argomenti comuni.

Calcio e figa.

Il calcio diventa un problema se non si tifa per la stessa squadra, cosa che capita spesso. Il rischio di non trovarsi d’accordo è alto. Anche opinioni che sembrano disinteressate possono essere scambiate per sfottò e gufate:


E probabilmente lo sono.


– Dai, stasera vincete facile

Mi disse una volta uno juventino. Al che quando andai in bagno prima di lavarmi le mani mi accinsi a eseguire un rituale apotropaico intimo. In quel momento il Team Leader stava aprendo la porta, poi la richiuse appena si accorse che c’era qualcuno.

Non so se mi abbia visto o meno, ma quando rientrai fece-con tono canzonatorio:

– Gintoki, dov’eri?
– In bagno
– A fare?
– Eh, quel che fan tutti!

Ho sempre avuto il sospetto che mi avesse visto e frainteso e che da allora mi abbia considerato un onanista compulsivo.

L’altro argomento, la figa, si rivela a volte noioso.

Chiariamo, la figa in sé non è noiosa, ci mancherebbe. Essa non ha alcuna colpa e, anche se tra le tendenze social del momento vien messa in ombra da gattini e ricette istantanee, è sempre un fenomeno evergreen da quando è stata scoperta.

È l’uomo che parla di figa che dopo un po’ si rende noioso. Perché i discorsi di figa vanno privati di una tara di spacconate e vanterie che, come da Convenzione delle Nazioni Unite sulle Divagazioni intorno la Figa, poi non vanno neanche messe in dubbio. Almeno non di fronte l’interessato:

– E quindi poi mi trovavo a Ibiza c’era questa della Papuasia in viaggio studio per una ricerca sui calamari orfani che appena le ho detto che ero italiano non ci ha visto più allora le ho detto Ma quale calamaro ma beccati ‘sto gamberone e lei mi è saltata addosso non ti dico tre giorni chiusi in stanza poi mi ha detto Vengo in Italia mollo tutto per te io le ho detto Sì sì lasciami il numero poi mi faccio vivo guarda se la chiamassi adesso correrebbe subito dalla Papuasia peccato che non c’ho credito mannaggia…

E quindi io stavo pensando di sviluppare una app di intercalari per annuire nei discorsi, dimodoché si possa proseguire con le proprie attività mentre dallo smartphone partono commenti come Ah! Eh! Wow! Grande! Davvero? per gestire simili conversazioni.

Non è che il telefonista collerico paghi lo scatto d’ira alla risposta

Ore 15.
Squilla il telefono: +39 02…

Milano?
Ho inviato dei CV lì, chissà. Tra l’altro, a livello statistico personale, la fascia oraria 14-16 è quella in cui ho sempre ricevuto chiamate per lavoro.

Rispondo senza pensarci, sapendo di rimetterci 2 euro dalla Wind.


Come è noto, di recente è entrato in vigore il Regolamento UE 2120/2015 che disciplina tariffe e costi standard all’estero: la cosiddetta Eurotariffa. Tale tariffa si applica in automatico a meno che non siano attive altre offerte: la Wind da aprile ha attivato autonomamente in alternativa l’Offerta regolamentata UE, che costa 2 euro al giorno (scalati in automatico al primo sms inviato/chiamata effettuata/ricevuta) e garantisce 15 mn di chiamate, 15 sms, 50mb di traffico. Trovo che la Wind non sia stata molto trasparente nell’informare la clientela sulle modalità di disattivazione¹.


¹ Io del resto non ero stato lesto nel disattivarla, anche perché attualmente non ho esigenze di utilizzare il cellulare per chiamate o sms: Skype/Messenger/Whatsupp sono più che sufficienti per gestire i miei rapporti umani e disumani. E inoltre avevo diffidato chiunque dal telefonarmi dietro minaccia di ritorsioni trasversali.


– Pronto?
– Buonasera, lei conosce Sky?
– No, ma conosco imprecazioni in varie lingue e dialetti. Clic.

Gli operatori call center appartengono a una delle categorie più bistrattate e odiate. A volte poi ci si dispiace anche, quando sovviene che si tratta di semplici persone rese ingranaggi di un sistema perverso.


Per fortuna negli ultimi anni hanno cominciato a delocalizzare anche i call center, così invece di odiare altri italiani potremo prendercela con albanesi, polacchi e rumeni che, diciamolo, già ci stanno sui maglioni e quindi i nostri sensi di colpa sono in salvo.


Alcuni operatori, comunque, meritano di essere bistrattati.

Per un periodo ho lavorato in un’azienda di teleselling, nel dietro le quinte.
E anche dietro qualche sesta: avevo due colleghe possenti e giunoniche.

Il primo giorno ci fecero dare un’occhiata alle catene di montaggio, ovvero le postazioni.
Mi rimarrà sempre impressa la telefonata di un operatore:

– Buongiorno signora, c’è il Sig. Pinco Pallino? Sono Tizio dalla Xyz
– No grazie, non siamo interessati
– SIGNORA! IO HO FATTO UN’ALTRA DOMANDA! Le ho chiesto se c’è suo marito, non mi importa se le interessa o meno!

La signora buttò giù il telefono, ovviamente.
Io avrei buttato lui giù dalla finestra però eravamo soltanto al primo piano.

Pensai che Tizio fosse un folle.
Poi scoprii che era tra i venditori più prolifici per numero di contratti chiusi mensili. La sua tecnica era quella del piazzista irruente di spazzole a domicilio: infilare il piede nella porta al limite della violazione di domicilio.

Di aspetto somigliava a Milhouse dei Simpson.

Con tutto il rispetto per Milhouse e per tutti i Milhouse esistenti, ma un Milhouse non ha l’aspetto di uno che incute timore. Questo Milhouse del call center era un leone da telefono.

Non ho mai lavorato in modo diretto in un call center, seppur in periodi di crisi socio-economica personale e di dubbi sul mio pene per un paio di volte ho avuto la tentazione di provare.

La prima volta mi fece un colloquio un tale che sembrava fosse più sfiduciato di me.
Mi poneva domande annoiate a caso tra quelle più comuni, del tipo Come ti vedi tra 5 anni? o Sogni nel cassetto?.
Il momento più sincero fu quando mi chiese se leggessi. Dissi che avevo appena finito Sostiene Pereira e vidi in quel momento un barlume di lucidità nei suoi occhi. Finalmente mi guardò in volto, dicendo: Grande scrittore, Tabucchi.
Poi tirò un sospiro e si spense di nuovo.

Fu l’unica volta che dopo un colloquio dissi Le farò sapere.

Un’altra volta presi appuntamento per il colloquio però poi in un moto di ribellione successivo decisi di disdire. Pensai che il karma mi avrebbe punito e invece trovai un’altra occupazione.

Un lavoro è un lavoro, ma non sono bravo a vendere spazzole o a infilare il piede nella porta e, oltretutto, non avrei mai il coraggio di chiamare qualcuno alle 8 di mattina del 1° gennaio come fece una volta una ragazza della Vodafone.

Mi trattenni dall’esser sgarbato per compassione e per l’obnubilamento della fase REM da cui ero appena uscito, poi però il mio cervello si attivò quando lei disse “…Allora se lei è d’accordo le attivo la promozione…” e a quel punto, con la voce legnosa e scheggiata come Barbalbero le dissi Nooo. Un’operatrice dovrebbe avere più criterio. E misi giù.

È un brutto mondo. Soprattutto perché ho sprecato 2 euro perché mi ero illuso.