Ordino un paio di pizze tramite un’applicazione di consegne a domicilio. Scopro che ha implementato un sistema di valutazione del corriere. O forse già c’era ed è stato reso più visibile.
Ho dimenticato quale sia l’ultima cosa che NON mi hanno chiesto di valutare. Addirittura per prenotare un esame all’università dove sono iscritto è necessario prima completare il questionario di valutazione del corso. Altrimenti non è possibile procedere avanti.
Beninteso, non sono contro il votare o recensire esperienze, prodotti, attività. E, a parte il mio caso dell’università, non si è quasi mai obbligati a farlo. Né temo che finiremo come in un episodio di Black Mirror (terza stagione, Caduta libera) dove in un ipotetico futuro l’intera società si basava sul dare un punteggio alle persone. E, in base a quel punteggio, era possibile accedere o meno a servizi e benefici.
Sono però un filo stanco di vedere tutto così parametrizzato, dimensionato, da stelline, palline, numeretti. Sono stanco di chi recensisce. Per quanto mi sia utile: prima di andare in un ristorante nuovo io ne controllo le recensioni.
Una sera ho passato un’intera cena con uno che attualmente (dico attualmente perché a quanto ho capito ha delle fissazioni periodiche) ha la fissa di fare delle storie su Instagram mentre mangia. Non si limita a fare una foto o un video al piatto, ma si registra mentre osserva il cibo e poi lo mastica, commenta poi il boccone: Mmmh divino ragazzi, spettacolare.
Sostiene di farlo un po’ per divertimento un po’ per parodia del mondo degli influenzatori. Intanto però in quell’occasione ha trascorso l’intera serata al telefono rivolgendosi a un ipotetico pubblico e alla fine ha difeso l’utilità del suo hobby, in quanto, sostiene, la sua valutazione può essere utile ad altri.
Io vorrei invece rivalutare il valore del non giudizio. Il disimpegno. La dichiarazione di non competenza: «Salve, sono un cazzaro. Qualunque opinione, giudizio, voto che darò in questo frangente, non va preso sul serio».
Nell’epoca in cui tutti sono impegnati a dire la loro su qualunque cosa, la desistenza potrebbe essere un atto rivoluzionario. E non è, attenzione, un atto di ignavia. Non si tratta di non schierarsi per viltà o di essere passivi rispetto a tutto. È la scelta consapevole di dire: «Ho mangiato, bevuto, guardato, esplorato, vissuto e non sento l’esigenza di far sapere agli altri cosa ne penso al riguardo».