Non è che il fotografo sia meschino perché pensa solo ai suoi obiettivi

Una delle mie più grandi ossessioni o ansie è quella di avere ‘la sindrome dell’impostore’; il credere, cioè, che i traguardi, i successi professionali, siano solo frutto del caso o dell’opinione sbagliata di qualcuno che non si è reso conto che in realtà non ho capacità in quel ruolo o che non sono affatto la persona che crede.

Questa paranoia non mi si palesa soltanto nel lavoro ma anche nelle relazioni sociali. Ad esempio, quando qualcuno si confida con me e chiede pareri e consigli e perle di saggezza io penso «Santi numi, questa persona mi ritiene in grado fare considerazioni autorevoli? Dove ho sbagliato? Cosa ho fatto per generare questa impressione?».

È capitato quindi che la mia vecchia CR di Budapest chiedesse il mio punto di vista su una conoscenza nata su internet. Il tale, che a fini narrativi chiameremo Tizio, dopo che lei aveva con cortesia rifiutato un invito a stare a casa sua dopo solo una volta che si erano visti qui in Italia, quando lei è tornata in Ungheria si è fatto più freddo e assente, al limite della latitanza.

CR non riesce a convincersi: perché, se l’unico interesse era una cosa sola, mostrare in precedenza un interesse e un coinvolgimento tali da far pensare altro?

E dovrei saperlo io? Sono terrorizzato da tale responsabilità cui sono chiamato a rispondere!

In realtà penso una cosa: ci sono alcuni che pensano le persone vogliano soltanto sentirsi dire cose piacevoli a prescindere che siano sincere o meno  e, quindi, non sapendo (o non volendo, in malafede) costoro approcciarsi in modo funzionale agli altri hanno come unico modo di agire per raggiungere i propri obiettivi quello di comportarsi in modo da farle fesse e contente.

Mentre dicevo ciò ho avuto un’illuminazione: sono allora costoro i veri impostori!

Persuaso che dal punto di vista dei rapporti sociali la vera impostura sia altro, ho cercato un riscontro anche in altri campi. E un episodio di ieri mi ha fornito un esempio.

Esterni. Paesaggio collinare. Neve accumulata ai bordi della strada. L’auto procede in salita. In senso contrario arrivano altre due auto che scendono. Tocca retrocedere per farle passare, causa la neve che restringe la carreggiata.

La prima auto passa, la seconda si ferma di fianco. È lo sceriffo del paese, o meglio, carabiniere, in abiti civili. Abbassa il finestrino e fa:

– Voi non resiediete qui.
– Eh?
– Qua è divieto di sosta. Sopra e sotto a entrare e uscire.

E se ne va, tra lo sbigottimento e la perplessità mia e degli altri passeggeri.

Soltanto dopo si è capito il mistero: in caso di neve, c’è divieto di transito ai non residenti.

Ecco, se costui riesce a fingersi un carabiniere, io posso essere qualunque cosa!

E quindi scelgo di essere resiediente.

Certi atteggiamenti non sono proprio canini

Una storia di ordinaria follia.

Un conoscente (che definiremo Conoscente), l’altro giorno recandosi al lavoro in una ridente città – che chiameremo Ridente Città – ha trovato un barboncino che vagava in strada. Senza segni evidenti di malesseri o maltrattamenti e con il collare al collo (in fondo un collare in che altro posto dovrebbe stare?), ma senza medaglietta.

Di sera, uscito dall’ufficio, ha saputo che il cane era stato preso in custodia da un anziano signore, che aveva anche provato a chiedere in giro se fosse di qualcuno senza ricevere alcun riscontro positivo.

Conoscente, una volta parlato con Anziano Signore, decide di portare il cagnolino a casa. Lo fa controllare dal veterinario che gli pratica anche un’iniezione preventiva non so per quale infezione.

Il giorno dopo Conoscente si reca all’Asl per identificare il microchip e tramite esso risalire al/la proprietario/a. Rintracciato il numero di telefono, chiama e risponde una donna che conferma di essere la proprietaria del cane e che sostiene che l’animale fosse scappato. Piccolo particolare: la non tanto ridente città – che chiameremo NTR Città – dove abita la donna è a 28 km da dove il cane è stato ritrovato.


Un cane di nome Forrest Gump, non c’è che dire.


La donna poi aggiunge: “Sai che ti dico, a me mi ha scocciato ‘sto cane, tienitelo”. <Clic>.

Conoscente prova a richiamarla ma lei si inalbera e riattacca.

Conoscente, ormai avendo preso a cuore e anche un po’ nel pancreas la questione barboncino, da buon cittadino si dirige dai Carabinieri, cui spiega la situazione. I CC chiedono a Conoscente di  chiamare nuovamente la donna, col telefono in viva voce. La signora conferma di non volere più il cane e inizia a urlare improperi. Al che interviene il carabiniere che spiega alla signora che rischia grossi guai per abbandono dell’animale. La donna riattacca e spegne il telefono.
Il carabiniere consiglia a Conoscente di rivolgersi ai Vigili per la denuncia di ritrovamento (non è mi è chiaro il perché questo passaggio di consegne).

Il giorno dopo, i Vigili fanno un tentativo telefonando alla signora e spiegando che in quel preciso istante stavano per procedere a un verbale da 10mila euro. La signora allora si scusa per lo spiacevole malinteso, affermando che quella che aveva risposto al telefono sino a quel momento fosse sua figlia, nota in famiglia per avere un carattere fumantino e un po’ borderline.


Piccola pausa lettura per esclamare Ahhh, certo.
Fatto? Andiamo avanti
.


Dice che è sua intenzione risolvere al più presto la cosa e farà avere sue notizie per concordare il recupero del cane.

Trascorrono due giorni, nei quali il barboncino – diventato tra l’altro un po’ aggressivo – resta a casa di Conoscente. Poi i Vigili ricevono una telefonata dalla signora per l’appuntamento per il ritiro. I Vigili avvisano Conoscente, che carica il cane in auto e si reca al comando.

A prendere il barboncino si sono presentati 3 gentiluomini (poi qualificatisi come il padre e due fratelli della proprietaria del cane) che dall’aspetto e dal modo di parlare si capiva che dovevano essere iscritti a qualche club letterario ospitato nella Curva A dello Stadio San Paolo, praticanti di sport come lo sputo del nocciolo di oliva e il lancio del mozzicone di sigaretta. Insomma, persone che hanno le qualità intellettuali per confutare la Critica della ragion pura di Kant, perché tanto la ragione se la prendono sempre loro e se è pura sanno come tagliarla e smerciarla.

I tre letterati prendono in consegna il cane – non senza difficoltà perché l’animale alla loro vista diventa feroce come un Vittorio Sgarbi che ha visto una capra – rassicurando che da loro starebbe stato bene, perché “hanno un intero campo dove ci sono altri cani”.


Un camposanto?


E con questo termina la storia.
Conoscente avrebbe volentieri tenuto il cane ma non poteva certo farlo.

Non riesco a comprendere le mie tonsille, tanto che son criptiche

Ho riflettuto che in molti casi mi trovo a cominciare un pensiero partendo con “da bambino…”. È strano, come è strano il fatto che a volte veda l’infanzia come un’età così lontana mentre altre volte così vicina, tanto che se allungo la mano mi sembra di toccare la mia manina scura, perché avevo la pelle molto meno bianca di adesso e passavo molte ore della giornata all’aperto a giocare al sole.

Ricordo che alle elementari un giorno io e un altro compagno di classe volemmo dar vita al club degli acchiappafantasmi: c’era un nostro compagno che aveva la faccia da scienziato e lo eleggemmo a Egon Spengler senza dubbio alcuno. Un altro compagno che aveva i capelli arruffati e col ciuffo, tipicamente anni ’80 seppur fossimo nei primi ’90, sarebbe stato Raymond Stantz. Poi il mio socio cofondatore si girò verso di me e fece: “Tu che sei più scuro fai Winston Zeddemore” e io ci rimasi un po’ così, ma non per una questione epidermica ma perché, diciamocelo, Winston era il più insignificante dei quattro. Io preferivo Peter Venkman e ho sempre apprezzato la seriosa ironia di Bill Murray, tanto che quando ho visto questo articolo 7 Steps to Living a Bill Murray Life, by Bill Murray ho pensato che un po’ vorrei essere Bill Murray.

Da bambino quindi ero seriamente convinto che avrei incontrato dei fantasmi, cercando con un po’ di attenzione. Così come ero seriamente convinto che ci fossero dei passaggi obbligati durante la crescita che non si sarebbero potuti evitare. Mi riferisco alla tonsillectomia e all’appendicectomia. Pensavo che entro la prima adolescenza un bambino dovesse giocoforza subire entrambe le cose, come rito di passaggio verso un’età successiva. Non so come avessi maturato questa convinzione, di certo ricordo che nei telefilm per ragazzi qualcuno dei protagonisti, presto o tardi, doveva operarsi alle tonsille e poi mangiar gelato.

Ora, se sulle tonsille ho ben poco da dire, sull’appendice ci sarebbe un po’ di più da scrivere. Si potrebbe fare un romanzo d’appendicite.

Tutto il discorso mirava ad arrivare a questa battuta.
Scherzo.
Forse.

In ogni caso non mi sono operato né per l’una né per l’altra cosa, anche se per la seconda ci sono andato vicino. Per un periodo stetti così male che saltai la scuola per 10 giorni, tanto che mi portarono in ospedale per farmi guardare da un’amica di mia zia medico. Ricordo un carabiniere che non voleva farmi entrare nel reparto perché avevo meno di 12 anni. Fortuna che la dottoressa uscì e mi fece accomodare in una stanzetta dove, steso su un tavolo di ferro, mi tastò un paio di volte e disse che non era proprio il caso di aprirmi. Mi consigliò una cura alimentare e dopo pochi giorni tornai anche a scuola. Chissà che fine avrà fatto. La dottoressa, non la scuola. Quella è ancora là.

Fatto sta che quindi i passaggi obbligati della vita non fossero affatto questi, così come non era obbligato un altro passaggio di cui mi parlò un compagno di classe alle scuole medie, cioè la rottura del frenulo, che a detta del compagno esperto – perché c’è sempre uno che assume il ruolo di più esperto degli altri e ci tiene ad assolvere il compito di divulgatore con aria seria e illuminata, al che mancherebbe solo che chiosasse con un Così parlò Zarathustra – era un momento decisivo e obbligato nella vita di ogni giovane uomo.

Avrei preferito parlasse meno di rotture eventuali e più di rotture certe, come la rottura dei maglioni.

In questo momento, comunque, penso a un’altra cosa: se all’epoca mi fossi fatto asportare le tonsille, oggi non mi sarei svegliato con le suddette gonfie e con delle macchie bianche nei loro buchetti. E so che non ci tenevate a visualizzare quest’immagine, ma io ho delle tonsille esibizioniste, voglion mettersi in mostra, tanto che ho la cattiva abitudine di sbadigliare a bocca aperta credendo di non essere visto. Poi qualcuno mi vede e mi piazza una mano davanti chiamandomi scostumato. Io non sono molto d’accordo, vorrei far presente che mettere la mano non è una questione di educazione ma un’usanza legata a un’antica credenza secondo la quale l’anima se ne sarebbe potuta uscire attraverso il cavo orale: io mi domando, ma proprio durante lo sbadiglio dovrebbe uscire? Apriamo la bocca tante volte durante il giorno, spesso inutilmente, nessuno ci pensa? A volte credo di dire così tante sciocchezze che se avessi un’anima potrebbe decidere di scappar via tra una parola e l’altra per non ascoltarle. Quindi in virtù di questo ipotetico pericolo mi sia consentito lo sbadiglio, seppur ineducato.

Libero sbadiglio in libero Stato.
Chissà che ne pensa Bill Murray.

Gomorra mia, sei uno schianto. Ma i carabinieri si appostano dietro le curve delle donne

Ho rotto la macchina.
Mentre attraversavo le terre di Gomorra (non quelle di Scampia, altre), ho fatto un testacoda su una superstrada e poi bum. Io sto bene, la macchina un po’ meno. Queste terre si distinguono in base alla puzza. Sul serio. Lungo l’Asse Mediano puoi capire il punto in cui ti trovi in base al diverso tipo di fetore che viene fuori dai campi e dai Regi Lagni (che non sono i piagnistei di un monarca, ma canali).

Però ha retto bene. Per fortuna che ho la mia Fiesta.

Però ha retto bene. Per fortuna che ho la mia Fiesta.

Mi piange il cuore. Il mio primo pensiero non è stato lo spavento, né ora mi sento scioccato da quanto successo. La mia paura è per l’auto, che non si possa rimettere in sesto perché non ne varrà la spesa.

Ho dei ricordi.

Ci ho fatto l’amore sui suoi sedili.

E dire che giusto qualche ora prima pensavo di comprare un mini aspirapolvere da auto per pulirla. Poverina, si era fatta un po’ sporchina e volevo darle una pulita.

Non se lo meritava, non dopo 16 anni di onorato servizio.

Poi son successe due cose curiose.
Mi hanno prestato soccorso 3 muratori, mi hanno aiutato a spostarla e segnalato l’incidente alle auto che accorrevano. Dopo alcune domande di rito (stai bene, hai chi chiamare ecc), uno mi fa:
– Sei un carabiniere?
– Eh?
– Sei un carabiniere?
– No.
– Ah, ok. Comunque hai chi chiamare, sì?

Ancora non ho capito il perché della domanda. E vi assicuro non ho la faccia da carabiniere. Insomma, avete mai visto un carabiniere con la barba da Wolverine (sì perché porto la barba così, senza baffo)?

L’altra cosa curiosa, ma non tanto, è che il carro attrezzi accorso, amico di mio zio (che era in zona ed era stato contattato) e che quindi ci ha fatto un prezzo di favore (senza fattura, sennò il favore non lo faceva…e io ho accettato perché in questo momento 100 euro in più o in meno fanno la differenza…lo so, non si fa), aveva fretta di abbandonare il luogo dell’incidente. Sapete perché? Beh, perché i carro attrezzi sono territoriali, dove succede qualcosa è di competenza di chi segue quella zona.

Ignoravo che fossero come leoni con i propri territori di caccia.

Comunque è un bene che io guidi sempre con la cintura. Primo perché sono prudente e secondo perché ho paura di prendere multe. Non ne ho mai preso una in vita mia e di questo sono orgoglioso. Intendo multe al volante, perché poi ho due multe per aver viaggiato col biglietto non obliterato in treno e in tram, ma ero minorenne e quindi ora è tutto in prescrizione.

L’altroieri ho pensato invece mi avrebbero beccato senza cintura. Al semaforo, per prendere il portafogli e dare due monete a un ragazzo senegalese, ho tolto la cintura e non l’ho rimessa, “tanto sono 500 metri fino al lavoro”. E poi son sbucati i caramba appostati. Io non li ho guardati in faccia perché anni fa ho capito che se li guardi ti fermano. Uno dei due però mi ha guardato, anche quando l’ho superato.

Con le persone a volte dimentico di usare le cinture di sicurezza emozionali. In verità mi tedia proprio mettermi alla guida nei territori inesplorati dell’animo, perché non mi fido delle capacità altrui, è una cosa proprio tra me e il resto dell’umanità. Il buffo è che non è che io abbia avuto poi chissà quali incidenti relazionali. Oddio, cos’hai fatto? Un frontale vis-à-vis con colpo di frusta sul cuore e versamenti emotivi? No, mai. Son già rotto di mio. È buffo, ancora, che io nonostante questo mio atteggiamento di chiusura continui ad avere persone intorno a me e persone che mi avvicinano e vogliono fare la mia conoscenza.

Comunque i carabinieri si appostano anche dietro le curve di una donna, per beccarti mentre procedi a fari spenti e senza cintura. Li ho visti i caramba dietro i tuoi fianchi, ho finto di ignorarli ma loro mi hanno preso la targa e, un mese dopo, m’è arrivata la contravvenzione.

Per chiudere questo post, ho pensato una cosa. Due post fa raccontavo delle mie abitudini canore, in particolare proprio al volante. harahel13 e liberadidire79 hanno detto “vogliamo sentirti cantare!”, del tutto ignare di quale sarebbe stato il risultato. Non mi sarei mai sognato di farlo, ovviamente, per tre motivi:
1) Non so cantare
2) Sul serio, non so proprio cantare
3) Non so cantare, veramente.

Poi mi son detto: ma in fondo è il mio blog, il mio blog di cazzeggio e qui dentro faccio ciò che voglio perché noi gatti così agiamo, senza pudore. È tuo quel divano? Sbagliato. Ora è mio! E ho bisogno di esorcizzare l’accaduto e magari non potrò più cantare in quella macchina. Quindi questo sono io in auto che cazzeggio cantando i Corvi. Senza base e con sottofondo di pioggia battente, registrato l’altroieri fermo nel traffico.

 Ascolta a tuo rischio e pericolo.

Dopo questa penso anche di poter chiudere il blog.