Non è che ti serva una fionda per lanciare una moda

Con i campionati sportivi fermi, la mia attenzione attualmente è dedicata a una gara virtuale molto avvincente: quella delle ricerche Google.

Mi sono fatto un giro su Google Trends per dare un’occhiata su come stanno andando le ricerche in Italia:

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L’interesse per il popolo cinese si mantiene alto, ma la new entry movida potrebbe essere in grado di raggiungere il primo posto e gli scommettitori ci credono molto. Stazionari i runner, di cui presto non importerà più nulla a nessuno. Ho evitato di inserire nella ricerca i congiunti, in quanto chiaramente fenomeno sporadico. Dopo un picco stratosferico tra il 26 e il 30 aprile (tal che le altre linee al confronto si appiattiscono), poi hanno perso popolarità e nessuno vuol più saperne.


Il che ha senso: i parenti sono come il pesce, dopo 3 giorni puzzano.


Le persone hanno sete di conoscenza e si pongono domande. Padre ad esempio l’altroieri si chiedeva: «Ma perché la chiamano movida se non si muovono e stanno tutta notte nello stesso posto?».

Al che ho detto che non è da intendersi come “persone che si muovono” ma più come “ambiente animato”.


Sulle origine etimologiche del termine, rimando a un esauriente articolo de Il Post.


La spiegazione non ha convinto molto neanche me, in realtà: a una certa ora guardando negli occhi i presenti si nota più animazione in un cervello sotto formalina al museo.

Ma come fare per garantire ai bar di lavorare, alle persone di uscire, alle norme di distanziamento di essere rispettate, a chi fa sta davanti al computer di non far impennare i trend di ricerca?

Ho qui alcune brevi idee/soluzioni per godere della propria movida in Covid, cioè

ENJOY YOUR COVIDA

  1. Installare nelle piazze delle cabine come quelle quando si va a votare. Uno si sistema lì dentro col proprio bicchiere e ci passa la serata.
  2. Lanciare i cocktail a distanza col Super Liquidator.
  3. Far girare elicotteri che spruzzano candeggina a intervalli regolari. E un giorno qualcuno dirà: «La candeggina, la senti? Non c’è niente al mondo che abbia questo odore. Mi piace l’odore della candeggina alla sera».
  4. Alcune popolazioni nell’Africa subtropicale utilizzano la koteka: un astuccio coprifallo di dimensioni variabili; si potrebbe lanciare la moda di utilizzarne uno di almeno un metro di estensione che tenga quindi la misura della distanza di sicurezza.
  5. Rivestire gli spazi di tessuto sintetico e caricarli di elettricità statica, così appena la gente si avvicina troppo e prova a toccarsi, prende la scossa.

Spero che le mie umili idee possano essere un valido spunto per godere umilmente delle proprie serate.

Non è che un tipo bizzarro si trovi in libreria perché è il posto dei bei tomi

Lunedì, in giro per delle commissioni, sono andato anche nella mia libreria di fiducia, che quel giorno aveva riaperto dopo due mesi. Ci sono andato in bici, ma, incerto se fosse attività praticabile in quanto spostamento con mezzo di locomozione o proibita in quanto considerabile attività sportiva o ancora consentita purché senza finalità ludico/ricreative, pedalavo in moviola con una smorfia da pagliaccio triste. A un certo punto ho quasi imparato a stare in surplace.

Un paio d’ore dopo, circa, sono stato contento di rimettere finalmente piede nella libreria. Prima della chiusura era il luogo di ritrovo di vari personaggi stravaganti. Ne cito alcuni:
Il Maestro: che un giorno, senza che gli fosse chiesto, si è messo a dare lezioni di scacchi nella libreria e aveva proseguito nelle settimane successive. Un giorno gli è stato fatto notare che la libreria non è un circolo e lui si è giustificato dicendo che voleva fare proseliti per il club di scacchi. Al che il mio amico gli ha chiesto Allora al club di scacchi io potrei presentarmi coi libri a far proseliti per il gruppo di lettura? Il Maestro non è più tornato.
Il Premio Strega: ce ne sono diversi. È il tipo che afferma che nella libreria non deve assolutamente mancare il suo libro, perché lui è autore, sceneggiatore, regista, artista, fanculoalmondoista, Netflix gli ha già comprato per 20mila euro il soggetto (davvero, c’è chi ha detto così). Poi guardi il libro è vedi che a) è scritto per un editore a pagamento; b) è di 50 pagine scritte in font 18; c) ha evidenti errori di sintassi; d) infine se lui è tanto importante e conteso non si capisce perché abbia bisogno di mettere la bandiera in una piccola libreria di città a tutti i costi.


Nota: La mia idea sugli editori a pagamento (da non confondere col self-publishing), frutto di una valutazione generale – che non toglie ci possano essere casi particolari diversi – è che l’autore per loro sia un semplice cliente cui vendere un prodotto: la pubblicazione. Tolto quello, non c’è alcun interesse a una fase di editing, anzi, spesso non c’è proprio un editing, perché non esiste un piano editoriale concordato, fatto anche di promozione e distribuzione (e questo spiega perché l’artista di cui sopra debba andare porta a porta a elemosinare un posto sullo scaffale). Tutto ciò comporta che, alla fine, molti libri pubblicati con edp siano di qualità infima e non solo per punteggiatura e ortografia (che alcuni edp controllano anche) ma soprattutto per costruzione della trama, stile, coerenza narrativa.


Il negozio è triste e sta sempre qua: Quello che viene, chiacchiera, si lamenta per due ore, conclude dicendo No basta non torno più. E poi il giorno dopo ritorna.

Avendo trovato il mio amico a rassettare, gli ho chiesto come si regolasse con le norme igieniche: insomma, la gente raramente entra e dice “Voglio questo libro”. Chi fa così in genere lo fa per un regalo o per uno specifico evento (es. l’uscita programmata di un’opera di una serie). Nella maggior parte dei casi, le persone girano, guardano, sfogliano e leggono. In poche parole, toccano. Quindi, se decine di mani si posano sui libri, mani che sono state altrove, in giro,  come si fa di questi tempi? La gente non può più sfogliare libri?

– Eh o debbo disinfettarli con la candeggina oppure obbligare la gente a comprare i libri che hanno toccato
– Va be’ ma la candeggina li rovina
– Appunto. Quindi?

Ha detto ammiccando al libro che avevo appena tirato fuori dallo scaffale.

Scherzo, non è andata così.
Però il libro l’ho realmente preso perché dopo averlo sfogliato e maneggiato sul serio mi sentivo un po’ untore.