Non è che l’erba dei pascoli vada a male perché va in vacca

Negli ultimi tempi mi dedico all’esplorazione dell’entroterra italico.

Lo scorso week end sono stato in terra abruzzese, attraverso le Gole del Sagittario. Erano un po’ arrossate, forse per l’umidità.

La prima annotazione da fare è che i paesini di montagna si assomigliano un po’ tutti per contesto e sistema di sicurezza.

Lo Stato Italiano, stante la penuria di FdO sul territorio, fornisce infatti agli abitanti di tali località degli scanner biometrici con cui analizzare i forestieri in transito.

Uscendo in strada, sono stato accolto dai commenti, non tanto discreti, di due efficienti signore-guardiane:

– E questo a chi è figlio?
– Non lo so a chi appartiene…

Buonasera, ho fatto io. Poi sono scappato prima che dessero l’allarme.

Quando ho raccontato l’episodio a un amico locale, mi ha detto che mi è andata bene che non dicessero Questo non è ‘taliano.


Nota bene: con “non italiano” non intendono di provenienza fuori dalla penisola ma “non del nostro villaggio”.

 


L’altra particolarità dei paesini di montagna, che ho già raccontato altre volte, è la presenza di un unico bar dove si radunano tutti gli abitanti.

Quello che ho visto stavolta era particolare: gestito come una cooperativa, con un sistema di tesseramento – Maroni non aveva inventato nulla con la Tessera del Tifoso: qui già prima c’era la Tessera del Beone – e aperto fino a quando il barista ne ha voglia. In inverno lui va a svernare altrove.

Biliardino con maglie dei calciatori che non si distinguono più perché sono annerite: vero esempio di calcio Balilla.

Vecchi che si infamano a vicenda giocando a carte. Vecchi che si infamano a vicenda giocando a bocce. Bambini che assistono perché è giusto che imparino quali sono i veri valori, come il rispetto dell’avversario finché non comincia a vincere. A quel punto va infamato.

Al bancone puoi chiedere di tutto. Tanto ti daranno o birra (Moretti da 66) o Campari o cicchetti di genziana o Ratafia. Il cocktail più elaborato che può servirti il barista è un Martini con la tonica, mischiati a caso. Tanto può capitarti una gassosa aromatizzata al Martini tanto invece un coma etilico.

Presenza immancabile, la persona più originale del paese: giubbotto con bandiera a stelle e strisce e cappellino girato all’indietro, stile Jovanotti anni ’80, che nelle sue battute di caccia vanta di abbattere cinghiali, cervi e draghi come fossero mosche. Quando vede un forestiero lo aggancia perché sa di trovare una persona nuova a cui raccontare le proprie mirabolanti vere false imprese. Gli altri osservano e sogghignano pensando “Oh, ha trovato una nuova vittima, questa sera non ci stresserà”.

La vittima in questo caso sono stato io. Mi ha seguito per tutta la sera. Ho dovuto fingere di morire per tornare a casa.

Alla sera mentre mi stavo dirigendo verso l’auto ho percepito una presenza inquietante dal prato alle mie spalle.

Mi sono girato ed era una mucca che ruminava osservandomi e pensando “Questo non è ‘taliano”.

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‘taliani a casa nostra

Non è che gli architetti siano compagni di…squadra

Neanche il tempo di tornare che oggi sono ripartito per una veloce trasferta di lavoro – un paio d’ore di permanenza – in quel di Roma.

Sono salito di corsa in metro e, ricordandomi che la linea B si biforca, ho chiesto conferma del tragitto a un passeggero a bordo di fronte le porte.

– Scusi va a Tiburtina?
– Io?
– …Il treno va a Tiburtina?
– Sì non so boh sì sì va…

Mi ha detto con tono un po’ scocciato.

Ho capito di averlo offeso perché probabilmente lui credeva mi stessi informando sulla sua vita e mi interessasse sapere se fosse diretto a Tiburtina. Rendersi conto che a me importava solo del treno deve averlo proprio deluso. Oggigiorno la gente pensa più ai treni che alle persone.

Eppure non sono un mostro e, anzi, mi interesso a tante tematiche pubbliche.

Ad esempio, è notizia del giorno che pare l’Italia abbia problemi con gli svedesi. O gli italiani abbiano problemi con la Svezia. E una volta tanto non è colpa delle istruzioni dell’IKEA.

Io adesso non voglio mettermi a parlare di calcio, anche perché non ne capisco e non interessa il lettore. Vorrei solo condividere una riflessione sul perché un calciatore possa soffrire di mancato rendimento agonistico.

A mio avviso è un problema di eiaculazioni.

È noto che la vita di molti calciatori li porti ad avere con facilità tante eiaculazioni. Ma tali eiaculazioni sono dirette verso, sopra e dentro delle donne, in genere.

Questo schematismo, questa monotematicità dell’atto eaiculatorio va a detrimento del potenziale dell’atleta.

A mio avviso quindi il calciatore dovrebbe eiaculare, con frequenza, verso, sopra e all’interno dei propri compagni di squadra e di spogliatoio. In tal modo rafforzerebbe il legame con loro, creerebbe più spirito di gruppo e accrescerebbe la forza del collettivo.

A chi crede che io stia dicendo baggianate consiglio di andarsi un po’ a studiare il coito sacro praticato nell’Antica Grecia all’interno dei templi e l’arte della trasmissione della forza virile attraverso il seme. Platone, non un Professor Strabuzov a caso quindi, all’interno del Simposio (dialogo di Fedro) parla della forza e dell’ardimento che avrebbe un esercito composto da uomini tra di loro amanti.

Due guerrieri intenti a rilassarsi con un gioco da tavolo dopo aver condiviso i rispettivi semi. Notare gli occhi spalancati e le pupille dilatate, l’essere vigili e attivi e propensi alla combattività (le lance pronte in mano): effetti tipici indotti dall’assunzione di seme.


Su altri usi del seme maschile in tempi antichi vorrei citare un contributo del Prof. Singrino.


Pertanto, se qualcuno vi volesse ammorbare con discorsi calcistici e speculazioni campate in aria, voi ponete fine alla conversazione sfoggiando, con sicumera e un pizzico di saccenza, le vostre conoscenze agonistico-antropologiche, affermando, senza tema di smentita, che “I calciatori devono andare a prenderselo nel sedere“.

PRECISAZIONI
Qualcuno potrebbe domandare come la mia teoria possa essere declinata per le calciatrici: la domanda denota assoluta ignoranza ed è con fastidio che vado a fare una precisazione in materia.

Il discorso che ho fatto sopra riguarda l’uomo, essere purtroppo caratterizzato da debolezze e cali di autostima che necessitano di continue correzioni e iniezioni di fiducia.

La donna è invece essere dotato di grande forza e potenza, tant’è che non ha il problema di far rifornimento di energia: il seme maschile per la donna non è infatti di alcuna utilità o beneficio.

Al contrario, la donna ha invece il bisogno di scaricare il grande quantitativo di energia che lei possiede. È per questo che tramite il meccanismo del ciclo mestruale esegue periodicamente uno svuotamento di tali flussi energetici, onde disinnescare gli effetti distruttivi che avrebbe invece un accumulo di potenza femminea.

Sperando di aver chiarito i dubbi dei più ignoranti, considero chiuso l’argomento.

Non è che una frase umoristica nasca perdente perché è una battuta

Da Bruxelles, A. attendeva dei documenti.
Piccola premessa, ci scambiamo quotidianamente mail con documenti allegati e non esiste altro metodo per farlo, visto che ci troviamo a 1300 km di distanza.

Le scrivo oggi:

Cara A.,

ti aggiorno sulla situazione: 

  • ho richiesto le Dichiarazioni di disponibilità al BDSM, firmate
  • ho 2 figurine dei calciatori su 3 al momento
  • 2 bufale CONDIVIDI! su 3
  • ho invece già tutte e 3 le metodologie su come si cucina la braciola

Appena ho tutto ti faccio una spedizione cumulativa, così risparmiamo sul corriere Amazon!

😛

Ciao

La sua risposta:

Ciao! Grazie! Ma perché un corriere?

Riconosco di avere un umorismo che lascia a desiderare, infatti desidererei tanto migliorare, però quando non mi comprendono mi spengo.

Come quella volta che una tizia mi disse

– Ah, poi abbiamo un matrimonio il 24 dicembre…
– Ah, un giorno comodo!
– Ma no, è scomodo, perché è il 24 dicembre
– Ah, giusto…

Che poi avrei voluto conoscere che tipo di persona si sposa il 24 dicembre. Secondo me vuol proprio del male agli altri esseri umani.

No, questa non era una battuta, lo penso sul serio.

Il dizionario delle cose perdute – La carta telefonica


Le precedenti voci sono disponibili qui.
Ricordo sempre che il dizionario è  aperto a suggerimenti su cose nostalgiche o proposte di articoli su questo tema :).


Tra le cose inerenti al tempo che passa che più mi inquietano, dopo i calciatori con cui sei cresciuto che oggi vedi fare gli allenatori (come una volta in un post ricordò Zeus), c’è il fatto che esistono giovani in giro che non hanno mai utilizzato una cabina telefonica. Se oggi Superman nascesse, dove andrebbe a cambiarsi?

Io ricordo anche quando si usava il gettone. Quel dischetto bronzeo (ma che dopo averlo utilizzato un paio di volte diventava nero perché i telefoni pubblici erano sempre sudici come una officina meccanica) rigato che Madre mi faceva inserire dopo avermi preso in braccio.


Faceva la stessa cosa per la 10 lire dell’ascensore. Io ero l’addetto all’inserimento gettoni, un compito di grande responsabilità.


Ciò che ricordo meglio sono comunque le schede telefoniche. Il motivo è legato al collezionismo.

Da piccolo ho sempre avuto il pallino di voler iniziare una collezione di un qualcosa. Iniziai con i tappi di sughero, per poi passare a quelli di alluminio. Una collezione priva di valore che finiva dopo poco tempo nella spazzatura a causa delle frequenti operazioni di pulizia etica (secondo lei era moralmente disdicevole raccogliere tappi) di Madre.

Altre collezioni furono da me abbandonate perché non avevo costanza di seguirle.

Poi un giorno mi capitò tra le mani una scheda telefonica.
Ero in seconda media. Un compagno per disfarsi del doppione mi regalò una scheda raffigurante sulla facciata una pubblicità progresso che invitava all’uso del preservativo.

scheda_progresso

Questa pubblicità era molto nota in classe e generava sempre qualche battutina, qualche sorrisino, qualche stupida gomitatina di malizioso umorismo. C’è da capirlo. Non era prevista educazione sessuale a scuola.


Forse è un bene non fare educazione sessuale nelle scuole. Poi si sa che bambini e ragazzini vanno a casa a raccontare ciò che hanno ascoltato e i genitori si allarmano. Dio sa quanto siano vulnerabili e impressionabili gli adulti, abbiamo il dovere di proteggerli da tutto ciò che può turbarli.


Decisi quindi che avrei collezionato schede telefoniche e mi chiesi come mai non ci avessi pensato prima.

Divenni in breve tempo una piaga. Mi appostavo come un’arpia vicino chiunque utilizzava un telefono pubblico per chiedergli se la scheda fosse esaurita e se fosse così gentile da donarmela. Io ero un cacciatore solitario di carte. Esisteva poi chi andava a caccia in branchi per poter controllare più telefoni. Troppo facile in questo modo. La natura di un uomo si vede quando è da solo alla prese con la propria preda.

Quale era il mio disappunto quando mi sentivo rispondere “Le colleziono anche io/Le colleziona mio figlio”. Tuo figlio è così pigro da aspettare a casa comodo la scheda esaurita invece di stressarti per averla? Non merita niente.

La mia raccolta non aveva comunque molto valore. La maggior parte delle mie carte superava le centinaia di migliaia di copie come tiratura. Giusto un paio erano le più rare, ma andiamo sempre nell’ordine del migliaio di esemplari.

Il rituale del ce l’ho ce l’ho mi manca, territorio assoluto del mondo delle figurine, invase anche queste schedine di plastica.

Con i doppioni delle schede ci si poteva poi creare un giochino interessante. Non so come si chiamasse ufficialmente, se mai avesse avuto un nome: era, in modo onomatopeico, un clic-clac. In pratica la scheda veniva ripiegata su sé stessa fino a creare una scatolina con una protuberanza che, se pigiata, faceva clic-clac. Utilità: nessuna. A parte quella di rompere le palle agli altri.

Non so chi l’avesse inventato e mi ha dato da pensare il fatto che, in un periodo in cui il termine virale era ancora quasi esclusivo appannaggio delle malattie e non della condivisione di minchiate social, fosse un giochino diffuso da Nord a Sud del Paese. Mi sono sempre chiesto se, spontaneamente, l’idea del clic-clac fosse venuta indipendentemente a ragazzi sparsi lungo la penisola o se qualcuno avesse avuto l’idea e l’avesse poi diffusa proprio come un virus.

Il boom – Ben presto il collezionismo divenne un vero e proprio affare. In vendita in cartoleria arrivarono raccoglitori ad anelli fatti apposta per conservare le schede, con i fogli trasparenti con le taschine apposite. La De Agostini nel 1999 produsse una raccolta intitolata “Carte telefoniche”, con schede provenienti da tutto il mondo. Mentre le nostre avevano la banda magnetica, altre funzionavano col chip, altre ancora, come quelle giapponesi della NTT (Nippon Telegraph and Telephone), non avevano nulla di tutto ciò perché loro (i giapponesi) devono essere sempre un passo avanti.

Ovviamente io acquistai tale raccolta. Dovrei ancora averla conservata da qualche parte.

I negozi di filatelia si specializzarono anche in schede. Il mio spacciatore di fiducia era il proprietario di un negozio di monete e francobolli. Si chiamava Filippo, un uomo dall’aria placida e tranquilla con un paio di folti baffoni che gli donavano un aspetto ancor più placido e tranquillo. Era molto amico di mia zia perché anni addietro lei gli aveva salvato moglie e figlio durante il parto. Così, quando andavo nel suo negozio lui mi dava delle schede per pochi spiccioli o niente. Tanto prendevo sempre pezzi poco rari, come avevo accennato: quando mi resi conto che fosse impossibile mettere su una collezione di valore, scelsi infatti di puntare sull’estetica. Mi limitavo a raccogliere schede graficamente attraenti.

Mi ha detto mio cugino – Sulle schede fiorirono anche delle vere e proprie leggende metropolitane, legate alla possibilità di poterle riutilizzare anche una volta che il credito fosse esaurito. C’era chi diceva bastasse mettere del nastro adesivo sulla banda magnetica (tentativo che feci anche io dietro consiglio di un amico), chi le lasciava una notte nel congelatore. La tecnica più nota era quella di strusciarla contro lo schermo di un televisore che era stato spento da poco.

Percentuali di funzionamento: 0%. Ma c’era chi giurava di aver sentito dire che un tale gli aveva detto che aveva visto che funzionava.

Con il boom dei telefoni cellulari le schede telefoniche a inizio anno 2000 diventarono via via sempre meno utili. Contemporaneamente, la Telecom iniziò la sostituzione dei tradizionali telefoni pubblici Rotor (in funzione dalla seconda metà degli anni ’80), gli scatoloni arancioni con la cassettina di fianco con il lettore di schede.

Dal 2002 entrarono in funzione i Digito, ancora oggi in circolazione. Furono predisposti per l’utilizzo dell’euro e con nuovi optionals quali l’invio di sms, fax ed email.

Inutile dire che fossero meglio i primi. A partire dal nome: Rotor rende l’idea di lavoro, movimento, operosità. Digito sa invece di bimbominchia. Ehi ciao da dv dgt?. Per non parlare della forma da suppostone racchiuso in un blister di alluminio.

Con il declino del loro uso, le carte oggigiorno sono più affare da collezionisti. Ne esistono molti che vanno in cerca di introvabili pezzi degli anni ’90, ricerca difficile in quanto trovare esemplari in buone condizioni e con magari la banda magnetica non smagnetizzata (un handicap per il loro valore) è sempre più raro.

In rete c’è un catalogo consultabile online con le quotazioni.

The Gintoki Show: colpoditacco

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Le gambe sono di repertorio e non appartengono all’intervistata, mentre il gatto è una controfigura che uso per le scene pericolose come questa


Sottotitolo: non è che ti scomunichino se parteggi per il “Diavolo”.


Incredibile a dirsi, gli sponsor hanno pagato per una seconda puntata del talk show! E questa sera abbiamo come ospite popodinientemeno che colpoditacco!

G: Dacci una breve presentazione di te, inserendo, però, nella descrizione queste tre parole: fuorigioco, regista, tunnel. Ysingrinus mi perdonerà se con lui sono stato più cattivo!
C: Sono una donna che ama il calcio e sono entrata in questo tunnel grazie a mio padre, che fin da piccola mi portava allo stadio. Per questo ho deciso di aprire un blog dedicato al pallone, ma l’ho aperto soprattutto per far sapere al mondo che anche le donne sanno riconoscere un fuorigioco. Ma vi confesso che il calcio non è la mia unica passione: il cinema si piazza sullo stesso piano. Leonardo DiCaprio è il mio attore preferito e Martin Scorsese è un regista che adoro… è molto meglio di Pirlo 😀

G: Milanista, fan di DiCaprio…ha più probabilità lui di vincere l’Oscar o Mihalovic di finire la stagione?
C: Senza dubbio DiCaprio di vincere l’Oscar… quest’anno non ha rivali. Mihajlovic finirà la stagione ma non porterà a casa premi…

G: Parlando proprio di rivali, che tipo di tifosa sei? Avverti molto “l’ostilità” quando parli di calcio con amici e conoscenti che tifano altre squadre o ti fai scivolare la cosa addosso come un attaccante che scivola in area di rigore?
C: Dipende dai momenti e da chi ho davanti. Mi capita di innervosirmi se sento sciocchezze – e dico sciocchezze perché in fondo sono una lady – ma non è che mi metto a insultare o cose del genere… sono tranquilla di carattere e tendo a farmi scivolare le cose addosso…Sento e mi piace una sana competizione e gli sfottò ci stanno, è anche questo il bello del calcio. Mando e mi arrivano messaggi di prese in giro, è divertente!
Mi urto più quando, per pregiudizio, sento uomini che con arroganza sostengono che le donne, anche quelle che pensano di essere esperte, non capiranno mai il calcio.
Primo, se lo capiscono gli uomini per noi è una passeggiata (questo è sessismo al contrario ma ci sta);
Secondo, ho scritto di calcio per diverso tempo in un giornale e se me lo facevano fare qualcosa ne so;
Terzo, ieri sono uscita con un amico e abbiamo parlato di calcio come fossimo due maschi… ha voluto sapere la mia opinione sul Milan, sulle ultime partite e sul gioco… Sanza nessun pregiudizio. Questo mi capita con diversi amici uomini, ma in giro, nel web aleggia ancora il pregiudizio sessista… le donne non capiscono il fuorigioco, guardano solo i calciatori e tifano solo per la nazionale. Per me due di queste sono errate… chissà quali ?
Non so se sono andata fuori tema, mi sono fatta prendere dalla mano

G: Nel Gintoki Show non esiste tema! Comunque, è un quiz per me? Allora rispondo dicendo che ciò che è vero è che le donne un occhio ai calciatori lo buttano. È per questo che avete problemi col fuorigioco: non è che non lo capite, ma è che, con un occhio soltanto che tra l’altro guarda il calciatore, come fate poi ad accorgervi di un offside! A parte le stupidaggini, il sessismo è difficili da estirpare, ancor più in ambienti fallocentrici come possono essere quelli del calcio. C’è qualche sassolino che ti vuoi togliere? Quella volta che hai fatto rimangiare il pregiudizio a qualcuno o hai dato uno schiaffo morale (non valgono schiaffi fisici!)?
C: Vorrei specificare che non tutti i calciatori sono degni di nota e poi come i guardalinee insegnano si guarda solo il giocatore se è in linea e non la palla che parte. Per quella devi sentire il rumore…Comunque, scemate a parte, lo schiaffo morale l’ho dato al mio ex direttore quando ha visto che facevo le pagine di sport meglio di alcuni miei colleghi uomini, a un mio collega quando gli ho raccontato che intervistando Carlo Mazzone mi ha detto che ero brava…E lo do tutte le volte che vado a pranzo con alcuni miei amici, io unica donna, e parliamo di calcio… magari qui il calcio c’entra poco, mi chiamano per sono di compagnia…

G: No aspetta, non puoi cavartela così. Hai intervistato Sor Carletto? Dicci di più! Mi evochi una nostalgia che non hai idea, infatti sparo subito un’altra richiesta. Hai presente la pagina facebook “Serie A – Operazione Nostalgia“? Ecco, vorrei citassi dei nomi nostalgici che per un motivo o per l’altro ti ricordano qualcosa. Io butto lì un Condor Agostini, 1995 Napoli – Milan 1-0 😀
C:  Sì, l’ho intervistato circa 5 anni fa, ma ahimè solo per telefono. Mi rispose mentre era al mare con la moglie, è stato gentilissimo e disponibile, non come altri giocatori che se la tiravano alla grande… vedi un Materazzi che mi tratto pure male… va bè rischi del mestiere 😀
La tua citazione non è sicuramente fatta a caso… che gatto bricconcello.
Comunque potrei citare Alessandro Calori e il suo gol all’ultimo minuto in Perugia-Juve (io c’ero e la Juve perse lo scudetto), il rigore di Shevchenko contro la Juve nella finale di Champions del 2003, gol di Fabio Grosso nella semifinale mondiale (come non metterlo), Frey, su tutti, quando l’ho incontrato nel 2000. Milan-Juve 1994 la mia prima volta a San Siro; Perugia-Inter 2002 finito 4-1… e quando ricapita… Ecco queste sono le cose che mi son venute in mente senza pensarci troppo.

G: Sono dispettoso, del resto sono un gatto! Calori e la sua ciabattata ignorante nel pantano del Curi sono da antologia del nostalgismo, complimenti. …Materazzi invece come simpatia penso sia secondo solo a Ibrahimovic. Ti piacerebbe incontrare l’umile Zlatan o ti spaventa (a me sì ad esempio)?…Invece parlando di Nazionale, visto che l’hai citata, se tu fossi il Commissario Tecnico di WordPress e dovessi fare la formazione dei blogger, chi convocheresti. E in che ruoli? 😀
C: Il gol di Calori non lo dimenticherò mai… perché non ho mai preso tanta acqua in vita mia (finora) e ho visto il mare a Perugia… sono cose che restano per sempre! Ibra lo incontrerei volentieri, non mi spaventa, al massimo mi manda a quel paese e via… maglio da lui che da un cojone in mezzo al traffico, non che mi capiti di essere insultata alla guida… per essere una donna guido bene e so pure parcheggiare (altro luogo comune sfatato).
Se fossi il c.t. dei blogger, cosa che ho fatto nel calendario degli gnocchi se ricordi bene, ecco la mia formazione:
La Cippy in porta perché è affidabile.
Difesa: Il Pinza, Cix e Cineclan (sono d’esperienza)
Centrocampo: Te e Ivano mediani, La venere degli stracci e Alessialia sulle fasce a spingere.
Attacco a tre: Ysi, Minimalista e Carlo Galli (da sogno e fantasia).
Che dici, si vince?

G: Con quel trio delle meraviglie lì davanti si preannuncia estro e fantasia a volontà che manco il Barça!…Invece è un azzardo affidare a me il pallone: sono un gatto, finirei per nasconderlo sotto al divano o sotto al frigorifero per poi farlo ricomparire per caso quando me ne ricorderò.
Continuando a parlare di blogger, i calendari gnoccheschi hanno riscosso molto successo e in cantiere c’è un’altra iniziativa (Su la maschera!): quando hai esordito su WP  (tra l’altro il blog ha da poco compiuto due anni, auguri!) pensavi già di arrivare a forme di interazione coi lettori o è stato un progetto nato in corso d’opera?
C: Sì un trio meglio di messi-suarez-neymar… il bello è che loro tre non sanno nemmeno chi sono… che spreco di citazioni! No, tu a centrocampo ci stai bene, mi dai l’idea che sei affidabile e calmo, insomma adatto a impostare il gioco, a mettere ordine e a recuperare alacremente i palloni. Oh poi sono il c.t. metto chi voglio 😛
Il successo dei calendari è stato inaspettato (oddio parlo come quelli che diventano famosi. Ora dico anche che resterò me stessa e una ragazza semplice, anche se non lo sono). Comunque tornando ai calendari, non pensavo che ci fosse questa partecipazione… mi avete sorpresa.
Sono contenta di questa interazione con gli altri blogger perché è quello che volevo, diciamo che ci speravo, il mio obiettivo è creare un blog in stile “bar virtuale” dove si parla di calcio ma non solo.
Inoltre ho conosciuto virtualmente persone interessanti…

G: Ok Mister, non discuto! Farò il centromediano metodista!
Parlando di registi, invece, torniamo alla tua seconda passione, cioè il cinema, ma sempre unendola al mondo di Eupalla, come disse Gianni Brera (tra metodismo e Brera in questa domanda finiamo col capirci io, tu e qualcuno che passerà qui per caso): se dovessi girare un film utilizzando dei calciatori, chi sceglieresti? E che film verrebbe fuori? Ad esempio io Totti che ha una comicità innata lo metterei in una commedia…
C: Il fatto che tu conosca Brera mi illumina…Io farei un thriller con un tocco di Miami Vice con Ibra e Balotelli… sai che paura incontrarli insieme…

G: Stavo immaginando le battute clou del film: Cazo guardi e Non capisci niente.
Siamo arrivati all’ultima domanda e voglio che ora tu illumini me: l’abbiamo evitato sino a questo momento ma ora ti tocca fare un pronostico secco: chi è che vince il campionato…inglese (della Serie A non ci importa niente)? Sarà l’anno buono per Wenger o tifi per la favola degli azzurri del Leicester di Ranieri?
C: Nooooooooooo è finitoooo??? Ma la favola di Ranieri tutta la vita… sarebbe anche uno smacco alle mega squadre inglesi spendaccione… inoltre Ranieri, Claudio non Massimo, è un omino simpatico.

G: In realtà anche in questo caso ho mentito: ti chiedo di dire qualcosa per i tuoi lettori, la prima cosa che ti viene in mente. Un augurio, un aforisma, una gufata (sportiva)…Dai!
C: Auguro ai miei lettori (tifosi) di vedere prima di morire la loro squadra vincere una Champions League… perché tra romanisti, juventini, napoletani, laziali… non so se avranno mai questa fortuna… ahahah. Mentre ai lettori, non tifosi, auguro di avere una passione, per qualsiasi altra cosa, tanto grande e coinvolgente come lo è il calcio per un tifoso.

Era colpoditacco!
Un applauso!

Non mi sono fermato alla terza media e quindi mi è venuta la nausea

Il sistema scolastico italiano è fondato sull’inganno.

Ricordo quando in 5a elementare ci portarono a fare un tour di orientamento tra le principali scuole medie della città. Io ne avevo già scelta una per motivi logistici (era 20 metri più in là della scuola elementare e a 500 metri da casa), ma qualcosa secondo me avrebbe dovuto indurmi a un ripensamento.

Durante il tour ci venne mostrata “la sala computer”: la studentessa scelta per l’ingrato compito di mistificazione della realtà ce la presentò come aula dove “poter studiare, imparare l’informatica e, perché no, anche giocare un po’ (sottolineò queste ultime parole mimando con le dita il gesto di battere sulla tastiera)“.

In questa fantomatica aula computer erano poggiate, per ogni banco, perfettamente allineate le une con le altre in orizzontale e in verticale,  delle calcolatrici a energia solare come questa (ovviamente dal design meno moderno):

Il prestigioso Atari 2600 (l’originale)

Siamo d’accordo, era il 1995 e noi bambini degli anni ’80 non eravamo avvezzi alla tecnologia come i marmocchi di oggi: tanto per dire, a casa potevo vantare una modernissima copia cinese di un Atari 2600 (già di suo costruito in Cina o da quelle parti) dove i videogiochi di calcio avevano un numero di calciatori variabile da 2 a 7, il campo aveva un colore variabile dal nero al verde evidenziatore (ma ricordo una versione col campo blu) e il pallone era quadrato. E facile giocare a PES con Cristiano Ronaldo sulla PlayStation 4: ma per calciare un pallone quadrato ci vogliono le palle…quadrate!

Nonostante, comunque, il nostro analfabetismo digitale, presentarci un’aula calcolatrici come sala computer fu un inganno e un insulto all’intelligenza.


Tra l’altro nel corso dei tre anni di scuola non ho mai visto neanche una calcolatrice e in caso di bisogno durante un compito in classe se avevi dimenticato la tua, beh, erano calcoli amari.
L’inganno era sovrapposto a un altro inganno: una truffa quadratica.


Le cose non andarono meglio per la scelta delle scuole superiori. Questa volta, chissà perché, non ci fu nessun tour. Gli open day non erano ancora di moda e anche se qualcuno ce l’avesse proposto non avremmo capito cosa fossero; alcuni di noi però furono coinvolti in un progetto presso un centro no profit che aveva organizzato degli incontri con gli insegnanti delle scuole superiori.

Inutile dire che feci parte della delegazione, come “volontario”: ho sempre avuto una vocazione speciale per attirare seccature.

I professori ci presentarono le materie che insegnavano al liceo e poi illustrarono per linee generali cosa offrivano le scuole da cui provenivano.

Mi fu detto che il liceo che poi scelsi aveva due palestre. Il che era vero, però non fu specificato che una delle due aveva le pareti completamente ammuffite e fare attività fisica lì dentro per 5 anni per due ore la settimana non so quanto bene abbia fatto ai polmoni. In compenso però devo aver inalato così tanta penicillina che negli anni successivi al liceo non ho avuto febbri.
La seconda era invece grande quanto un garage e aveva il pavimento composto da orribili mattonelle rosse a L che andavano di moda negli anni ’80 (purtroppo non si esce vivi dagli anni ’80, come cantavano gli Afterhours) per rivestire i balconi dei condomini.


Ah, ho dimenticato di dirlo: il liceo era ricavato infatti da un ex condominio. C’erano classi con un pilastro in mezzo all’aula (che ho sempre invidiato per mettere in pratica la tattica di occultamento ninja nota come “appiattirsi dietro un pilastro”) e classi come la mia del ginnasio che aveva ancora dei tubi sporgenti dalle pareti in memoria dei servizi igienici che erano stati rimossi, unico ricordo di quando in quelle aule una volta qualcuno espletava i propri bisogni fisiologici e si faceva (mi auguro) il bidet.


La cosa positiva è che c’era realmente una sala computer. Difatti io mi iscrissi a una sezione che prevedeva un corso sperimentale contenente un modulo di informatica, del quale non erano ben specificati i contenuti e a cui aderii perché ancora memore della delusione durante le scuole medie avevo voglia di maneggiare computer sul serio.

Per 5 anni non abbiamo fatto altro che – per un’ora ogni due mesi, sotto la supervisione della professoressa di matematica che gestiva il modulo – risolvere equazioni, disequazioni e poi funzioni. Non era informatica, era informartica, perché rimasi di ghiaccio quando scoprii di cosa si trattava.

Gli esercizi potevano essere anche utili, peccato che per 3 anni non abbiamo fatto altro che scrivere equazioni sul Turbo Pascal.


Il Turbo Pascal è un compilatore per sistemi DOS. In pratica, dal 1998 al 2001, in piena era Windows, noi scrivevamo su DOS (avete presente, schermo nero e caratteri bianchi o a fosfori verdi?) con un programma che credo fosse stato abbandonato nel 1994 o giù di lì.


La scuola è in debito con me di sana attività sportiva e di informatica. Altro che riscatto della laurea: è la scuola dell’obbligo che deve riscattarsi!

Frasi che meritano di essere citate. In tribunale.

Nel corso di trent’anni di vita ne ho sentite di frasi che sfuggono alle regole della logica e anche a quelle del calcolo combinatorio. Sembra che alle persone a volte vengano naturali discorsi che sembrano tratti dal teatro di Beckett.

Mi ricordo quella volta che chiesi alla mia ex “Scusa, perché tu puoi essere diffidente su di me mentre io debbo crederti ciecamente?”
Lei rispose “Perché io sono io e so che c’è da fidarsi”.
Io: Allora anche io sono io e so che c’è da fidarsi
Lei: No, non funziona così.
(Da qui il principio del Lei non sa chi sono io!.)

Madre invece ha sempre brillato per le sue affermazioni logicamente illogiche. Un must della mia adolescenza era, alla mia domanda “Posso andare a un concerto?”, sentir rispondere “E che devi andare a fare?”.

Illogicamente, è difficile immaginare cosa si vada a fare a un concerto. Io presumo per vedere un gruppo suonare dal vivo, ma non ne sono mai stato certo.
La scena poteva ripetersi per altre attività, un film, un’escursione e via dicendo. “E che vai a fare?”.

Mi dispiace non aver avuto la battuta pronta, all’epoca. Avrei potuto dire, non so: “Per seguire il mio traffico di attività illecite e incontrare gli uomini della mia banda segretamente”, magari.

Ma non sono solo le persone che conosci e che frequenti a sorprenderti all’incrocio dei pali.

Come quella volta che passeggiavo placidamente per i cacchi miei e una signora che arrivava in senso opposto senza smettere di camminare mi fa, con accento medio-alto borghese napoletano*:


non so come spiegare un accento medio-alto borghese napoletano se non lo avete presente: mi viene in mente magari Toni Servillo in alcuni film, ecco, pensate a una versione femminile.


– Scusi vado bene per l’apertura?
– Eh? (chiedo stupito)
– L’apertura, no? Il Giudice di Pace (quasi irritata dalla mia domanda e dal fatto che la costringa a fermarsi)


Certo, il GdP è a 500 mt da dove ci eravamo incrociati, ma da cosa avrei dovuto evincere che lei stesse chiedendo del summenzionato non ne ho idea. Come se fosse la cosa più naturale del mondo: voi vi svegliate la mattina e andate dal Giudice di Pace, come routine quotidiana comanda!


– Beh, sì…(guardo l’orologio)…a quest’ora sono aperti…
– Ma no, non l’orario! Quello lo so! L’ingresso, vado bene di qua? (spazientita)
– Sì sì certo…più avanti…(dico allontanandomi).

Son sicuro che lei si sarà allontanata pensando “Guarda che imbecilli tocca beccare in giro”.

Una mia ex collega d’università una volta invece mi sorprese per il raffinato metodo di aggiornamento meteorologico che aveva.

Capitava che c’incrociassimo sulla banchina della stazione. A volte notavo che il suo abbigliamento non era adeguato al tempo: o troppo leggero o troppo pesante.
– Non senti freddo vestita così? – chiesi una volta.
– Eh, sì che ho freddo!…il mio ragazzo non mi ha avvisata che sarebbe cambiato il tempo!
– Eh?
– Sì, perché lui la mattina mi scrive che tempo fa. Solo che a volte si scorda!
– Scusa, ma non puoi controllare tu affacciandoti fuori che tempo faccia? (oramai ero sempre più attirato da quel discorso, anche se sentivo di doverne stare lontano)
– Eh no perché se apro le persiane scatta l’allarme e io non lo so disattivare. E dalle telecamere di sicurezza non si capisce che tempo fa fuori, così il mio ragazzo mi avvisa lui se fa freddo o fa caldo.

Non ritenni di dover proseguire la conversazione, anche se la risposta non mi convinse affatto perché apriva altri interrogativi.


Avrei altri aneddoti interessanti sulla suddetta persona, tipo che mi raccontava che era amica di Adam Kadmon prima che diventasse famoso (son cose di cui vantarsi) e che la Bibbia in realtà contiene resoconti dell’arrivo di alieni sulla Terra. È esperta di magia nera e conosce un incantesimo che funziona con la semplice imposizione della mano che poi dopo un giorno muori ti fa crollare a terra privo di energie.


DIDASCALIA ALLA DIGRESSIONE PRECEDENTE
Potrebbe sembrare che mi piaccia sparlare degli altri, in realtà è invidia per le persone che hanno qualcosa da raccontare. Io non faccio altro che raccontare le cose che raccontano gli altri, quindi sono un contastorie di seconda mano.


La didascalia precedente è una paraculata.


Anche l’ammettere di aver scritto una paraculata è una paraculata.


Eh, i laureati di oggi: e poi fanno le barzellette sui carabinieri e calciatori.

A proposito di calciatori, questa me l’hanno raccontata, la fonte è affidabile. All’esame di maturità si presenta un ragazzo tesserato nelle giovanili di una squadra di serie A. Ha bisogno del diploma a tutti i costi perché è stato selezionato da una squadra all’estero e pare che lì i giovani non li vogliano senza il pezzo di carta: che brutta gente!

Domanda di biologia sulla respirazione. Essendo un atleta almeno respirare dovrebbe essere attività che gli è nota.
– Che cos’è il diaframma?
– È un muscolo che sta qua (indica il petto all’altezza del cuore)
– Non proprio, più giù. Comunque, cosa fa il diaframma?
– Serve a respirare
– Come?
– Si abbassa e si alza
– Cioè?
– Si abbassa quaggiù (indica l’ombelico) e poi sale qua (indica la gola).

Abbiamo scoperto che il diaframma è quindi come la peperonata: scende nello stomaco e poi ti risale nella gola.

Ho fatto il portiere, finché non sono arrivati i citofoni

Tra le prime regole che impari quando da bambino prendi a calci un pallone con altri tuoi coetanei, è che alcune cose sono privilegio soltanto dei veri calciatori.
Stramazzare al suolo e poi rotolarsi in preda a dolori indicibili per un intervento scorretto è una di queste.

Non c’è spazio per sceneggiate, qui. I feriti si lasciano sul cemento, è il pallone che comanda. Quando la sfera si arresta allora e soltanto allora ci si può fermare guardando indietro per controllare il campo di battaglia. Non dite che non è fair play: non si facevano discriminazioni, sia che morissero avversari che tuoi compagni di squadra il gioco andava avanti.

In virtù di ciò io alle medie decisi di fare il portiere.
In realtà la prima volta non fu una mia scelta. Fui un volontario obbligato.

In porta non piaceva stare a nessuno, tanto meno a me. Non potevi correre, ti annoiavi stando lì a guardare gli altri giocare. Rimanevi lì, isolato e solitario: altra regola del calcio fanciullesco, infatti, è che si va tutti dietro la palla. Era il calcio totale totalitario, una variante dei noti schemi del calcio olandese, molto dispendiosa in termini di fiato tant’è che la nostra squadra si chiamava Arranca Meccanica*.
* Breve digressione per i non addetti ai calcioni: Arancia Meccanica era il soprannome della Nazionale dei Paesi Bassi degli anni ’70, che divenne famosa per il suo calcio spettacolare basato su copertura degli spazi da parte di tutti gli uomini, pressing, scambi veloci.

In porta si faceva a turni per dividere l’incombenza dell’ingrato compito. Ma una volta qualcuno saltò il turno e io, che fui indirizzato verso i due pali (due pietre di tufo scheggiate) mi arrabbiai. Litigai con un compagno finché non dissi una frase orribile: “Allora mi farò segnare”. È come dire alla propria ragazza che si desidera far sesso con un’altra. Il compagno mi spinse a terra, urlando, con gli occhi lucidi, “Si t’ faje signà nu’ si omm (se ti fai segnare non sei uomo)”.

Per la cronaca io presi un gol a freddo immediatamente e restai in porta per punizione, subendone altri due finché non finì l’ora di educazione fisica. Nessuno mi guardava in faccia o mi rivolgeva la parola mentre rientravamo in classe. Io giurai di non averlo fatto apposta ed era vero, ma la mia uscita verbale non aveva giocato a mio favore.

Siccome il destino ama prendere per il culo i più deboli, quel giorno l’insegnante dell’ultima ora era assente. Venne una professoressa di educazione fisica e la convincemmo a farci scendere giù in cortile. Dato che i campetti erano tutti occupati dalle altre classi, ci adattammo sulla pista di atletica. Ennesima regola del calcio da ragazzini: si può giocare su qualunque terreno basta che sia calpestabile – anche se giurerei di aver visto qualcuno giocare anche sull’acqua.

Durante l’incontro venne il momento del cambio portiere: toccava a me. Il compagno con cui avevo litigato disse “Per piacere…”, col pugno chiuso e l’indice alzato nell’atto di chiedere un favore. “Vado, vado” risposi per farmi perdonare dell’accaduto in precedenza ma rassegnato a un’altra magra figura.

Un minuto dopo un uomo cadde a terra nella nostra area di rigore.

In realtà giurerei di non aver visto cadere nessuno, ci fu un calcetto che sfuggì su una gamba ma quello più bravo della classe a calcio era il classico tipo che chiedeva – e otteneva – rigore per uno starnuto. Una volta lo vidi avere un rigore per una parolaccia rivoltagli contro. Aveva poi inventato una regola che se tu subivi fallo ma proseguivi – o un tuo compagno proseguiva – a giocare, anche solo percorrendo per inerzia un paio di centimetri dietro la palla, allora il fallo non valeva più perché avevi ottenuto il vantaggio*.
La “norma del vantaggio” nel calcio vero prevede che se un giocatore subisce fallo ma la sua squadra mantiene il possesso del pallone, si lascia proseguire per non interrompere la sua azione. Ma se il vantaggio non si concretizza si concede il fallo.

In quel momento stavamo vincendo 1-0.
Il famoso compagno dello spintone – sempre lui – si mise la mano in faccia dallo sconforto.

Sul dischetto c’era ovviamente il piangina-fenomeno. Breve digressione sul dischetto del rigore: era un punto ipotetico individuato a una distanza di 7 passi dal portiere, che generava ogni volta discussioni sulla propria collocazione e che per essere calcolato richiedeva tre misurazioni. Prima il “difendente” percorreva i 7 passi, poi lo faceva il richiedente dopo aver protestato per la falcata dell’avversario, poi dopo un’altra protesta ci si accordava a occhio.

Mentre il rigorista prendeva la rincorsa mi accorsi che fissava l’angolo in basso alla mia destra. Mi buttai in quella direzione.

Palla bloccata. Partita vinta.

In seguito durante altre partite gliene parai altri perché mi resi conto che aveva l’abitudine di fissare sempre il punto in cui avrebbe messo la palla. Finché una volta non mi fregò, forse capito il trucco, guardando da una parte e mandando la palla dall’altra.

Per i due anni e mezzo successivi delle scuole medie feci il portiere. Comprai anche due guanti. Passai successivamente alla squadra del piangina, perché qui si facevano le cose in grande e quindi c’era anche il calciomercato.

I buchi e i rattoppi sulle tute si sprecavano. Buttarsi a terra sul cemento non faceva bene al poliestere.

Io mi divertii. Presi il ruolo come una missione e mi disperavo quando capitavano giornate no (molte), invece di giornate sì (poche). Però era bello prendersi qualche complimento per un bell’intervento. “Wà, t’amma chiammà Buffon! (Wow, dobbiamo chiamarti Buffon*)”, “Wa ma chi sì, Batman! (Wow, ma chi sei, Batman?**)”.
*Che all’epoca era un giovane emergente che mostrava già di essere un grande portiere
** Detto dopo un mio “volo” al’incrocio dei pali (inesistenti anch’essi)

Quando incontrate qualcuno, prima di giudicarlo, soffermatevi a pensare. Forse da bambino avrà fatto il portiere.

Reality, sciò!

Secondo me il mondo della televisione avrebbe bisogno di una rinfrescata. Fulminato da questa intuizione mentre scendevo dall’auto (o forse stavo prendevo la scossa toccando la portiera), ho deciso che da grande sarò un autore televisivo e ho quindi buttato giù (dal balcone) alcune idee che sarebbero redditizie perché tanto la gente vuole solo vedere altra gente che si rende ridicola dietro una telecamera. Pertanto, queste che seguono sono delle proposte per dei Reality, sciò! che le grandi e pure le piccole emittenti, dimostrando scarsa lungimiranza, hanno invece purtroppo scartato. Spero in un prossimo futuro di veder invece realizzati questi programmi.

Uomini e Gomme
Il trono di preferito dalle automobiliste è conteso da degli abili gommisti, cui si rivolgeranno delle casalinghe disperate e appiedate da forature improvvise. Tra i belli della prima stagione troviamo Ciro o’ malament e Masto (trad. padrone, capo) Michele, che all’età di 70anni fuma ancora il sigaro come quando aveva 10 anni.

La palpa
Un gruppo di concorrenti viaggerà tutti i giorni sugli autobus urbani nelle ore di punta. Tra di loro si nasconde un doppiogiochista: un maniaco che fingendosi normale passeggero sale invece sui mezzi per toccare sederi femminili di nascosto. Scopo del gioco è individuare la talpa, cioè il palpeggiatore, menarlo di botte ed esporlo seminudo al pubblico ludibrio e alle deiezioni dei piccioni in piazza.

Il Grande Fardello
Chiusi in una cava di marmo (la famosa cava del Grande Fardello), 10 concorrenti sposteranno dei lastroni di marmo unicamente con la forza delle proprie braccia, 10 ore al giorno sabato e domeniche comprese. I partecipanti potranno nominare altri concorrenti da eliminare e sarà il pubblico a decidere quali: chi riceve i voti negativi, dovrà portare anche le lastre di marmo dei concorrenti dai quali è stato nominato, finché non stramazza al suolo. Vince chi resta vivo.

Ah! Mici!
I più bei micioni e gattini d’Italia si sfidano in gare di miagolii, giochi col gomitolo e tanto altro ancora, sotto l’occhio vigile e attento di Maria de Filippi.
Purtroppo il talent sciò non è mai partito perché è impossibile far fare a un gatto qualcosa a comando.

I partecipanti della prima edizione di Ah! Mici! che appena dopo la presentazione del programma si sono acciambellati e hanno dormito una 50ina di ore.

Italia’s Goat Talent
Tre pastori fungono da giudici per esaminare le performance delle migliori caprette nostrane. La trasmissione non andrà mai in onda perché il pubblico in studio si lamenta della puzza. Dei pastori.

L’isola dei fallosi
Chi sono i vip più gettonati? I calciatori! Quindi perché non un reality su giocatori ormai sul viale del tramonto o dimenticati, ma diventati famosi per la loro capacità nel centrare le gambe avversarie invece del pallone? Sull’isola dei fallosi i più abili (?) macellai dei campi da gioco si cimenteranno in varie prove, sempre a tema calcistico. Vince chi prende meno cartellini dall’arbitro. Il gioco è stato bocciato perché giudicato di scarsa longevità: dopo un quarto d’ora sarebbero già tutti quanti espulsi.

L’olandese De Jong, uno dei possibili candidati all’Isola dei Fallosi

La pula e il secchione
Un gruppo di nerd deve riuscire a conquistare la simpatia dei poliziotti durante un G8, convincendoli a posare i manganelli per prendere in mano dei libri ed erudirsi. Dal canto loro, i secchioni dovranno evitare di peggiorare le loro già scarse condizioni fisiche sfuggendo a cariche, manganellate e pestaggi.

X Tractor
Ambientato nelle campagne della bassa-alta Val Pusterlenga di Vergate sul Membro, dei nullafacenti che si credono artisti verranno inseriti in un progetto di recupero intitolato “Braccia riportate all’agricoltura”. Il tutto si è arenato a causa di un incidente con Morgan, che, fatto di crack, si è voluto mettere alla guida di un trattore.