Quando ero bambino tornavo da scuola e pranzavo dai nonni materni. I nonni mi son sempre sembrati anziani, anche se oggi riflettevo sul fatto che all’epoca avevano giusto qualche anno in più rispetto ai miei genitori oggi, che invece mi sembrano giovani.
La caratteristica di un piatto di nonna, oltre la proverbiale abbondanza che caratterizza un piatto di una nonna italiana, è il brodo.
La pasta e fagioli era brodosa.
La pasta e lenticchie era brodosa.
La pasta e patate era brodosa.
Il riso era brodoso.
Il sugo col pomodoro era brodoso.
La pastina in brodo era ovviamente brodosa ma son sicuro lo fosse più del normale.
Era tutto così brodoso che io infilavo il pane secco sotto la pasta e questo non bastava ad asciugarla. Era come tentare di asciugare le pozzanghere con una spugnetta. Il fatto di aver ingurgitato tutto quel pane e di non esser diventato un bimbo obeso (anzi ero sottopeso) vuol dire che o il pane non fa ingrassare o avevo la tenia.
Una volta sbottai e dissi “Non la voglio la pasta nell’acquitrino!”. Credo sia stata l’unica volta in vita mia che ho usato la parola “acquitrino”, memore di averla imparata quando, agli inizi di scuola, la maestra fece l’esempio di varie parole col suono cq: acqua, acquerello, acquisto, acquitrino.
Crescendo ho sviluppato un’intolleranza ai brodi, tanto da evitare di assumerne sino a quando non ho cominciato a mangiare giapponese e a sbavarmi con il ramen.
Ciò nonostante, i sughi li preferisco ristretti e la pasta coi legumi deve formare un agglomerato così colloso da intrappolare il cucchiaio più del bostik.