Non è che l’iracondo nel deserto tema le tempeste di rabbia

Tempo fa avevo cercato notorietà nel campo del giornalismo intervistando un tunnel.

Stupito che qualche grande testata non mi avesse poi contattato, ho lavorato questi mesi per riuscire a realizzare un grande colpo intervistando un personaggio famoso ma molto schivo. E oggi posso finalmente pubblicare l’intervista che mi ha rilasciato niente di meno che l’Odio in persona.

Spero che sia un’intervista abbastanza odiosa perché vorrà dire che avrò fatto bene il mio lavoro.

G: Devo dire che sono un po’ sorpreso. Non vorrei sembrarle impertinente, ma mi avevano descritto lei come molto brutto e spaventoso. Invece davanti a me trovo una persona elegante, di bell’aspetto, dal fisico atletico. Sono colpito.
O: Mio caro, chi sarebbe più vicino a provocarle rodimenti d’invidia? Un vecchio decrepito tristo e allampanato o un novello Adone modello di vigore giovanile che le ricorda quanto il suo di fisico invece lasci molto a desiderare?
G: Beh il secondo senza dubbio.
O: Per l’appunto. Mi compiaccio di prendermi cura di me per fomentar odio.
G: Veniamo appunto all’odio che circola in società. Credo siano bei tempi per lei, con tutto il livore che circola tra noi, o sbaglio?
O: Le dirò – e la prego di concedermi un po’ di credito di saggezza mentre lo faccio – che questa storia che viviamo in tempi di odio è per l’appunto una storia, una favola per marmocchi, una fanfaluca, una panzana insomma, che vi siete creati voi radical chic per giustificare i vostri panetti di tofu e le vostre foto dei gattini. La realtà – e se mi è rimasto ancor del credito da consumare la prego di lasciarmelo per questo picciolo investimento di saggezza fondamento dell’insegnamento che le sto impartendo – è che viviamo nell’epoca dell’odio di facile consumo, un odio fast fudus direste voialtri, che arde e si spegne nel tempo di un cerino acceso per avviare il tabacco d’una pipa. Il volgo si infiamma per due bustine di plastica ma tempo due giorni volge la sua indignazione ad altro. E io non posso correr dietro a tutte queste minutaglie – dal valore nutrizionale di una galletta di segale – come un bracco che trascorre le proprie giornate saltando dall’inseguimento di una carrozza a un’altra.
G: Quindi secondo lei c’è poco odio di questi tempi?
O: Au contraire, ne circola molto ma di fattura grossolana, di valore risibile. È parcellizzato. Viviamo in uno scontro continuato tra volgari tribù che si aggregano e si disaggregano intorno a valori fluidi e tale moto perpetuo rende il mio operato molto più dispersivo. Ma essendo io in rapporto privilegiato con quella nobildonna che chiamano Fortuna, posso dirle che ho avuto buon gioco e sorte da quando ho avuto l’idea di avere dalla mia una Boldrini.
G: Scusi, in che senso?
O: Credevo ragazzo mio che lei fosse più sagace e meno sprovveduto e non fosse a digiuno di informazioni basilari come il fatto che la Boldrini l’abbia creata io. Nel moto perpetuo di confusione generale giova al mio operato qualcuno che raccolga un po’ di odio come un imbuto che lo travasa in una botticella e piuttosto che assumere qualcuno a bottega – coi tempi che corrono capirà occorre esser diffidenti – e doverlo anche pagare preferisco produrmelo da solo. Certo non sempre la ciambella riesce col buco e dal buco si cava un ragno, come quando ebbi l’idea di crearmi uno Sgarbi. Pensavo sarebbe stato soggetto ideale e congeniale invece ho scoperto che personaggi di natura tanto aggressiva e bipolare non attiran odio come i Boldrini oggi ma riscuotono invece il favore del pubblico. Va’ a capire come nelle vostre testoline in che senso girino le rotelle ma io do alla moda dell’odio ciò di che abbisogna.
G: Ma come crea questi personaggi?
O: Seguo Mastro Geppetto.
G: Cioè?
O: Lui si assicurò un discendente con una sega. Ah ah ah! Vede, so anche cimentarmi nel motteggio.
G: Andiamo avanti. Lei non ha ogni tanto dei ripensamenti? Non si sente in colpa per ciò che fa?
O: Affé mia non saprei di che colpa farmi carico ma se esiste una corte autorevole in grado di giudicare mi sia notificato seduta stante da cosa io dovrei esser chiamato a difendermi siccome lo ignoro. Giacché io svolgo una funzione sociale, senza qualcuno o qualcosa da odiare come fareste a trovar forza per aprir gli occhi al mattino? Immagini svegliarsi e non poter puntare il dito contro niente e nessuno per trovar distrazione dalla nullità congenita che lei rappresenta. Che altro le resterebbe se non rivolger alla sua testa un’arma – avendo cura di mirar dritto per non spirare dopo faticosa agonia come il Werther – e tirar il grilletto per un colpo risolutivo? Sarebbe l’estinzione della razza umana per suicidio di massa. Dal mio punto di vista, invece, più umani, più lavoro. Assolutamente pro life, la vita è una cosa sacra.
G: Adesso parla come un cattolico…
O: Senza falsa modestia, le religioni sono la mia più grande invenzione. Perfezionarle ha richiesto tempo come un artigiano del legno che lavora di lima per sgrezzar dalle scaglie, ma sono soddisfatto del lavoro svolto. Il monoteismo è stata un’intuizione spettacolare. A volte mi domando perché io non ci abbia pensato sin da subito.
G: Scusi ma non capisco. Le religioni veicolano messaggi di amore, lei è l’Odio. Cosa fa, va contro i suoi interessi?
O: I migliori a odiare sono quelli che predicano amore. E mi sembra che abbiano svolto il loro lavoro in modo egregio. Devo comunque, per non esser superato dai tempi che corrono – e chissà dove corrono – pensare a qualcosa di nuovo.
G: Ha già qualche progetto per il futuro?
O: Pensavo di acquistare la Apple. Credo non sia lontano il realizzarsi di uno dei mondi più abietti che possa esserci e cioè quello in cui l’aver letto – o quantomeno conservare nel cassetto del comodino giacché non leggete più – la biografia di Steve Jobs possa far differenza tra l’aver salva la vita e perderla in una guerra di religione.
G: A proposito di lavori – ah ah faccio anche io battute, visto? -, lei come si rilassa dal suo?
O: Nel tempo libero mi diletto impiegandomi come commercialista. Non sa che piacere dir alla gente che deve pagare. L’Agenzia delle Entrate è un’altra creazione di cui vado fiero.
G: Mi sembra di capire che le piaccia molto crear cose per dar fastidio.
O: Sa, quando si è dotati di vivace intelligenza e guizzo creativo come me è una cosa normale. Reco con me sempre la valigia col campionario – a volte mi scambiano per un commesso viaggiatore -: suocere, ausiliari del traffico, solleciti di pagamento, malesseri femminei…tutte mie invenzioni. Gradirebbe dei crampi da mestruo un’ora prima di un appuntamento? Sono gratis.
G: Scusi, ma io sarei un uomo…
O: Per l’appunto. L’inconveniente ovarico è destinato alla povera giovinetta con cui ha fissato l’incontro. Quest’ultima avrà da lanciar Madonne per i dolori mentre lei, mio caro, nel suo limitato cervellino di cinghiale da copula, le lancerà per una serata andata in fumo una volta tanto che si era concesso il lusso di mondarsi il corpo con un salutare lavacro altresì noto come doccia.
G: Ma lei sa che è proprio antipatico?
O: Oh, non mi aduli, la prego.

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I culi sono come le opinioni

L’altroieri, guardando la home del mio Facebook, ho visto condivisi vari link riguardanti alcune dichiarazioni rilasciate dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini. I miei contatti erano stupiti, irritati, scandalizzati dalle parole dell’Onorevole: Boldrini contro la famiglia, Boldrini contro le mamme, Boldrini: fare la mamma è offensivo e così via. Devo dire che, lette così, anche io ho pensato che questa qui dovesse aver perso il lume della ragione. Poi, sono andato a controllare cosa effettivamente avesse detto:

Gli stereotipi: chiaro che non sono principalmente un problema dell’informazione, perché anche la pubblicità non scherza. Ci sono certi spot – e io ho esperienze anche fuori dai confini nazionali – che, quando li vedo, penso sempre “Ma questo spot sarebbe messo in onda in un altro Paese? Nel Regno Unito, verrebbe messo in onda questo spot?” La domanda, e la risposta è sicuramente no. Non può essere concepito normale uno spot in cui i bambini e il papà sono tutti seduti e la mamma serve a tavola. Guardate, merita una riflessione, questo. E, ancor di più, gli spot in cui vediamo che il corpo della donna viene usato per pubblicizzare che cosa? Viaggi turistici, yogurt, automobili, computer. Ma in quale altro Paese questo verrebbe tollerato?

Perché oggi parlo di questo? Perché anche io, seppur in maniera ironica, mi sono soffermato sugli spot tv,  constatando l’uso strumentale che viene fatto della figura della donna. Andiamo sull’ultimo punto, quando parla del corpo femminile usato per promuovere i prodotti. È un’accusa così campata in aria? Mah, io mi chiedo: è proprio necessario un culo o un paio di tette per un cellulare? La risposta è: certamente, perché fa vendere. E allora sì, c’è qualcosa di sbagliato.

Non è fare moralismo, né tantomeno voler passare a mettere il niqab alle donne.
Il culo, ad esempio, è bello. Va visto, celebrato, osannato. Se esiste una scultura che si chiama addirittura Venere Callipigia (che vuol dire “belle natiche” in greco), con un’Afrodite nell’atto di alzarsi la veste e mostrare il lato B, ci sarà un motivo. A proposito, andatela a vedere al Museo Archeologico di Napoli, se potete. È una copia di epoca romana di una statua dell’Antica Grecia, dove di bellezza ne capivano.
Esisteva anche un rituale, l’ἀνάσυρμα, praticato durante le Tesmoforie (feste in onore di Demetra e Persefone), in cui le donne alzavano appunto le loro vesti mettendo in mostra le grazie.
Quindi, viva le chiappe! Purché siano solo strumento di bellezza. Se dobbiamo, invece, assistere alla mercificazione del corpo, così come avviene tutti i giorni davanti ai nostri occhi, da parte della tv, dei giornali, dell’industria e anche della politica, allora io la penso come la Boldrini.

Che poi questo avvenga solo in Italia e non all’estero, non ne ho idea. Forse l’Onorevole avrà peccato di presunzione, ma, in ogni caso, non trovo affatto scandaloso puntare il dito contro l’uso distorto dell’immagine della donna.

Tornando un attimo indietro col discorso, arriviamo alle mamme: premesso che la Boldrini poteva esprimersi meglio, il concetto di base è tutto racchiuso nell’incipit del discorso: stereotipo. In tv viene presentato un mondo posticcio, dove la donna è sempre un servizievole angelo del focolare, sorridente nello spignattare tra i fornelli, casalinga e stop, ingabbiata in un ruolo da cui non deve uscire. Basta un minimo di intelligenza per capire una semplice distinzione: non è offensivo fare la mamma (e sarebbe sì da folli affermare questo) o prendersi cura della casa, è offensivo che sia considerato solo quello il destino di una donna. È diverso.

Una tipica mamma, appena uscita dalla beauty farm, felice di servire ai quei gran rompiscatole dei suoi figli un pranzo a base di tenere cotolette di cartone espanso e wurstel di silicone esausto

Lo capiscono in pochi: prima di scrivere questo post, ho fatto una ricerca su internet sulle dichiarazioni del Presidente della Camera. Tra i commenti degli utenti, quello che va per la maggiore è il seguente: questa non scopa abbastanza.

Siamo sicuri che non ci sia una mentalità distorta in questa società?