Non è che ti serva un architetto per dividere una casa

Qualche anno fa, dal momento in cui ho iniziato a vivere fuori e a gestire la mia vita in modo indipendente, ho cominciato a considerarmi come un individuo entrato nell’età adulta.

In realtà, poi, perdurando uno stadio di precarietà e semi-schiavismo lavorativo, l’indipendenza diventava un fenomeno relativo,  quando si rendeva necessario chiedere un supporto a Padre e Madre.

Badare a sé stessi comunque è un bel traguardo, facendosi venire qualche dubbio perché la vita di un ansioso è un pendolo che oscilla tra Come sono felice e Oddio questa fugace felicità svanirà quando mi accorgerò di non star facendo la cosa giusta. Niente di eroico, per carità, nel vivere affrontando i propri timori: c’è qualche persona che magari a 20 anni è andata in Congo ad aiutare le procavie arboricole ad attraversare i fiumi e tu invece hai come massima preoccupazione certe volte di scoprire che hai confuso un panetto di lievito con del burro – succede se vivi in Ungheria e ti dimentichi come chiamino il burro lì e prendi una cosa che sembra somigliarvi ma non lo è dal banco frigo.

A quell’epoca poi non riuscivo a immaginarmi come fosse andare a convivere con una persona. Intendo una persona come compagna di vita, non il semplice dividere una casa con unə coinquilinə.


Si può pensare che l’uso della schwa sia un qualcosa di recente che si vuole introdurre di forza nella scrittura, in realtà io ho le prove che il suo suono fosse già in uso nel linguaggio quotidiano in certe zone Campane: Cliccare per ascoltare un esempio. (preso dall’internet)


Non è che immaginavo una vita come nelle favole o negli spot del Mulino Bianco. Semplicemente, mancando l’esperienza pratica di una convivenza, non avevo alcuna idea di cosa fosse il vivere quotidiano non da soli. E per uno solitario come me, dedito al soliloquio interiore anche in mezzo agli altri, era ancor più difficile da concepire.

Va anche detto che ho vissuto molte relazioni a distanza: quindi mi sentivo ancor più indietro nel concepire un vivere di coppia quotidiano, dato che la mia dimensione relazionale era fatta di momenti condensati e programmati in pochi giorni, mentre il resto del mio tempo era trascorso da Me, Me stesso e Io.

Da quando dal 1° gennaio di quest’anno – molto utile iniziare dal primo giorno dell’anno per poter avere una scansione precisa del tempo – io ed M. dividiamo lo stesso tetto, ho iniziato a capire molte più cose della vita.

Ho capito che la vita in generale è uno schifo, spesso. Ma che puoi chiuderla fuori dalla porta mettendo un cartellino “Do not disturb” sulla maniglia e goderti un’oasi di serenità.

Ho capito che non si può risolvere tutto da soli. Magari poi a volte qualcosa neanche in due si risolve: però almeno ti sfoghi, ti diverti, non ti riduci a far testa contro muro o a parlarti allo specchio.


Che poi è un’immagine molto cliché. Io mi parlo ma mai allo specchio. Preferisco non guardarmi in faccia.


Ho capito che mi piace cucinare per me ma trovo molta più soddisfazione e piacere nel farlo per qualcuno. Anche perché quando vivevo da solo, pur essendo dedito ad evitare cibi precotti e porcherie e cercare di prepararmi cose molto più elaborate di un paio di fettine panate, erano molte le volte in cui mi prendeva la pigrizia e cenavo con bruschette al pomodoro e birra.

Ho capito quale è il vero senso pregnante di un “esserci”: nella tristezza, nella malinconia, nei momenti di rabbia.

Ho capito cose che forse sono una scoperta dell’acqua calda per il resto del mondo. Ma essendoci rimasto senza acqua calda (no non è una metafora, intendo proprio doversi fare il bidet con l’acqua gelata), dico che è sempre una bella scoperta.

Non è che ti serva un’auto veloce per inseguire la perfezione

Progetto per il Perfezionamento dell’Uomo.
È il 13 agosto. La camera di un B&b. Lo stesso dove il giorno dopo il cane della proprietaria proverà ad assaggiarmi la tibia (ma il 13 di agosto non sapevo sarebbe avvenuto ciò). È appena uscito il quarto film del Rebuild of Evangelion, nonostante la connessione pessima noi lo guardiamo in streaming da un portatile poggiato in bilico su un angolo del letto (perché lì, in quel punto, si concentrava il segnale wifi). Finalmente, dopo 3 film distribuiti in un arco di tempo di quasi 15 anni, arriviamo al finale del Progetto per il Perfezionamento dell’Uomo.


Chi non ha mai visto Evangelion o non sa di cosa si tratti troverà le mie parole oscure. Pazienza: non sono determinanti per il prosieguo del post.


Perfezionarsi. È una vita che inseguo la versione migliore di me stesso. La perfezione non è di questo mondo, ne sono conscio. Lei me lo ripete spesso. Eppur vorrei essere sempre impeccabile, esente dal difetto, lindo, fresco di bidet [come la nota ansia materna, non sia mai tu avessi un incidente e ti portassero all’ospedale e poi ti dovessero svestire non trovandoti a posto la canottiera pulita eccetera e fai fare brutta figura, come se in quel momento la cosa fondamentale dovesse essere l’apparenza].

Eppure, ecco, io sbaglio, poi mi sento in colpa, mi pento; accade anche e spesso quando si è tanto vicini, contigui, legati, si finisce sempre poi per cozzare contro qualche spigolo che hai lasciato lì e non avevi visto che era da togliere per perfezionare.

Temo anche l’errore di una mancanza, che è come il batuffolo di polvere lanuginosa che non avevi visto, infido e insidioso. Così, l’altroieri: mi vesto, compiendo come usuale l’operazione sempre a rate. Metti i calzoni bevi il succo lavati la parte sopra (il sotto abbiamo già dato prima di mettere i calzoni, tranquilla mamma!), vai a prendere la polo riempi la borraccia torna in camera a prendere le scarpe.

Lei è lì, materassata, rannicchiata in posizione fetale, una maglietta (presa a un concerto per coprire le spalle dall’aria frizzante di campagna) e i miei pantaloncini. Ammiro la sua perfezione, i miei vestiti con la sua forma, il suo corpo che odora dei miei vestiti che odorano di me e i miei panni che odorano di lei, una è tutto. Devo prendere il portafogli – tanto è vuoto ma almeno la patente credo serva averla in giro (certo che quest’obbligo di avere la patente è una privazione della libertà eh!). In genere a questo punto della mia procedura di vestizione stile Re Luigi lei apre gli occhi e io la saluto, oggi invece no, è stanca – penso. Socchiudo la porta della camera da letto senza darle un bacio, esco cercando di non far rumore per non svegliarla.

Si sveglia in quel momento. «Sei scappato», mi scrive. Ma io ho raggiunto l’auto. Ho la connessione dati staccata, non ricevo il messaggio. La tangenziale è bloccata, una Smart e un camioncino hanno pensato di unirsi in terza corsia [niente conseguenze per gli umani interessati]. Arrivo 35 minuti dopo in ufficio, il mio intelligentofono si collega al wifi della struttura. Lei è preoccupata, pensava ce l’avessi con lei e per questo non l’avevo salutata.

Ecco, la mia idea di perfezionamento personale è anche questo, evitar qualcuno possa star male o soffrire per le mie azioni o dimenticanze o quel che volete, anche in casi come questo dove è stato solo un’equivoco, ma – diamine – è nei dettagli che si vede la perfezione [hanno detto che l’affermava Leonardo ma secondo me non è vero] e io, sincero, voglio darmi al dettaglio. Come un supermercato. Che da me si possa trovare solo convenienza e cortesia.


Comunque guardate Evangelion.


Non è che il ventilatore ti annoi perché è un giramento di pale

Per la rubrica “Confessioni surreali che non avevo richiesto”, oggi mi trovo a raccontare di alcune situazioni verificatesi dove lavoro.

La guardia alla reception del turno pomeridiano è il tipo di persona che se ti ingaggia ti investe di chiacchiere.

Pensavo che, non conoscendoci, sarebbe andato per gradi con me. Invece no. La nostra prima conversazione si è svolta così:

– ‘Sera.
(dico io, uscendo)
– Buonasera, buonasera.
(replica lui, cordiale. Poi si alza e mi segue)
– Mammamia, che caldo.
(esclama, mettendo il naso fuori mentre io esco)
– Eh sì.
(faccio io)
– Però non è che si può stare sempre con l’aria condizionata. Io poi la soffro tantissimo, mi basta un colpo di freddo e devo correre in bagno.
– Eh troppo bassa magari non bisogna tenerla.
– Però poi la notte non si dorme. Solo che se la tengo accesa pam! diarrea. Ma pure col ventilatore. Se tengo il ventilatore acceso durante la notte, il giorno dopo: diarrea! Pure se lo tengo puntato sui piedi, poi sto male di pancia.
– Eh magari è ipersensibile al freddo.
(io, tra il perplesso e il disagio)
– Ma pure se mi mangio qualcosa, ieri mi son preso un polaretto dal frigo e son dovuto correre in bagno.
– Eh deve fare attenzione
(nel frattempo ormai ero uscito dall’edificio ed ero sceso giù alle scale, sperando mi lasciasse andare, come poi è stato)

E niente, questa è stata la nostra prima conversazione.

Anche la mia collega ha iniziato a raccontarmi di un po’ di fatti suoi.

Ad esempio la storia delle fatine bucchine. Che è il modo carino con cui definisce la ex moglie e le due figlie del suo compagno.

Il succo della storia è che questo tipo si fa spennar denaro per qualsiasi vizio da parte delle fatine.

Ovviamente questa è la versione della mia collega.

Prima delle ferie mi ha raccontato l’aneddoto in cui la ex moglie ha scritto a lui per chiedere un centinaio di euro per la figlia minore, che aveva bisogno di un set di bagnoschiuma per il suo viaggio a Londra.

Alle rimostranze del tipo sulla necessità di 100 euro per farsi uno shampoo, la ex moglie ha replicato “Però per QUELLA li spendi i soldi”.

Al che la mia collega, che era presente mentre lui riceveva questi messaggi, gli ha sottratto il telefono dalla mano per registrare questo vocale:

– Senti bella, io la mia roba me la compro da sola. Ma se hai bisogno, te lo vado a comprare io il bagnoschiuma, pezzente.

E niente, immagino che il Natale sia sempre un bel momento.

In tutto questo mi chiedevo: ok, ma perché devo conoscere io queste cose?

Un altro aneddoto curioso è quando mi ha raccontato di una sua amica con cui è impossibile andare in vacanza perché, essendo fanatica dell’igiene, passa un sacco di tempo in bagno a lavarsi, come mezz’ora per un bidet.

– Alessà’, quello un buco è, che tieni da lavare?!
Le ha urlato una volta.

Al che, per elevare la discussione, ho detto che non avrà più difese, distruggendosi la flora batterica a forza di lavaggi continui.

– Infatti si becca sempre la candida. Ci credo, sta un’ora a lavarsi la fessa.

Cioè diciamo che pure io che do corda alle conversazioni poi me la vado a cercare.

Non è che ti serva la ceretta per non avere peli sulla lingua

Non amo fare la valigie perché dimentico sempre qualcosa. È inutile fare liste: nella lista dimentico sempre qualcosa, quindi avrei bisogno di liste per le liste di liste di cose da mettere in valigia.

Ho dimenticato i guanti.
Madornale errore in una città che ti accoglie con temperature intorno lo 0.

Ho rimediato oggi da H&M. Tra l’altro, nel reparto uomo adulto (e sottolineo adulto) avevano una specie di tutone-pigiama che replicava la divisa di Darth Vader.

Il cibo è stato un problema.
Sono arrivato ieri sera; la padrona del minuscolo studio che ho affittato su Airbnb – per avere una base d’appoggio per cercare casa – tra le cose che mi ha illustrato presenti nell’appartamento mi ha detto che nella credenza c’era un pacco di pasta.

Cosicché nel minimarket vicino, che stava anche per chiudere, non mi sono attardato nell’acquistare molte cose: avrei cenato con un po’ di pasta al sugo per quella sera.

Avrei dovuto controllare prima la credenza: la pasta era un pacco di tortelloni tedeschi alla mortadella (o presunta tale: sulla confezione c’era scritto che l’1,4% su 250 gr di tortelloni era mortadella!), conservati non in frigo.

Li ho indirizzati verso la pattumiera e la mia cena è stata quindi a base di fette biscottate, nutella e banane.

Osservando le abitudini altrui all’estero mi rendo conto che noi italiani siamo strani. Facciamo cose che nessuno fa. Lasciamo perdere le riflessioni sul bidet, che ormai hanno fatto il loro tempo.

Parliamo del pane.
In altri Paesi europei ho notato che lo tengono sfuso all’aria e la gente lo tasta, lo tocca, lo rigira tra le mani e poi magari lo rimette a posto. Solo in Italia abbiamo l’abitudine di imbustarlo o di avere un omino dietro a un bancone che serve il pane con le mani rigorosamente guantate.
Abbiamo delle fissazioni igieniche strane noi italiani.

Credo che non mangerò pane per i prossimi 6 mesi. Quantomeno il mio fisico si manterrà bello asciutto.

La ricerca della casa va così e così. Ho contattato decine di persone che avevano pubblicato annunci in questi giorni, soltanto la metà di questi ha risposto e con la metà di questi sono riuscito a vedere una stanza, mentre altri hanno dato buca all’improvviso.

Forse comunque una stanza l’ho trovata.
Io e la ragazza che vorrebbe affittare l’altra (in totale sono due) ci siamo incrociati quando ho visitato l’appartamento. Mi ha guardato con preoccupazione. Lunedì la proprietaria ha organizzato un incontro per conoscerci meglio.
Forse a inquietare è la barba. Qui non mi sembra che la villosità facciale vada per la maggiore.

In compenso le donne qui non si fanno la ceretta alle braccia. O almeno commesse e cassiere non lo fanno: sono le uniche che girano a maniche corte, visto che stanno tutto il giorno in un negozio. Probabilmente, visto il freddo, è utile. Se tantra mi dà tantra – come disse l’induista – non oso pensare alle gambe.
Ma forse va bene così: la depilazione è una convenzione sociale.

Ho visto poi un piccolo monolocale: la proprietaria, inizialmente, mi aveva detto che preferivano (il plurale verrà spiegato più avanti) affittarlo a una ragazza. Poi, dopo aver visto foto di gatti sul mio profilo fb, ha accettato di mostrarmelo.


Poi dicono invece che pubblicare foto di gatti sia una perdita di tempo o una malattia!


Mi ha dato appuntamento per oggi precisando che ci sarebbe stato anche il marito, O., che sa l’inglese molto meglio.

Quando lei mi apre la porta e io entro, fa il suo immediato ingresso O., il quale prima che io possa dire “ciao” si presenta dicendo: “Ciao! Sono il marito”.
Ma va’. Pensavo fossi l’idraulico.

Durante la visita parla sempre lui, lei si limita a dire qualcosa in inglese o in magiaro e lui la corregge o traduce.

Nel congedarci mi ha chiesto cosa io avessi studiato. Lui poi mi dice che fa l’ingegnere, io rispondo “Ah, interessante”, lui dice “Eh sì, ma solo per me. Con lei (la moglie) non posso parlare di ingegneria”. E poi aggiunge “Fortunatamente abbiamo tante altre cose in comune!” e la abbraccia vigorosamente col braccio sinistro trascinandola verso di sè.

Al che ho compreso il perché preferiscono affittarlo a ragazze. O perché mi si sia parato davanti qualificandosi come il marito.

Mi incuriosiscono sempre gli uomini che hanno questa esigenza viscerale di marcare il territorio.


Beninteso, a tutti è capitato di farlo, chi più chi meno, anche inconsciamente o velatamente.


Anche se non capisco a volte il motivo: io cerco casa, non una sveltina come contropartita in luogo dell’affitto. Anche perché comincio a invecchiare: magari potrei non garantire più pagamenti puntuali!


Tra qualche anno spero che lei si sveglierà una mattina che non ne potrà più e partirà in giro per il mondo con un intagliatore di candele rastafariano.


E questo è il resoconto di 24 ore in terra magiara.

Vorrei chiudere questo post con una conversazione avvenuta tra me e Nonna Materna ieri prima della mia partenza:

– Te le vuoi portare le noci?
– Nonna che debbo fare con le noci?!
– Te le metti in valigia. O’ spazio o’ tien?
– Ià che faccio, mi porto le noci appresso?!
– Te le mangi dopo mangiato. O Gesù (rivolta a Madre) chist non si mangia due noci dopo pranzo?

Avrei potuto risparmiare un intero post e riportare soltanto questo memorabile dialogo.

Mood Music-ma-è-una-carica-di-elefanti-o-viene-dal-tuo-stereo Tag

La poliedrica ladykhorakhane mi ha nominato in questo gioco, il Mood Music Tag. In che consiste? Non l’ho ben capito quindi faccio copia-incolla e spero poi di indovinare bene le regole:

– Per partecipare devi essere stato taggato almeno una volta.
– Scegli almeno 5 tracce musicali (o più) che rispecchino alcune emozioni o stati d’animo al positivo.
– Tagga almeno 5 blogger (o anche di più ) e avvisali di averli taggati.
– Cita il mio blog all’interno del tuo articolo con link diretto o esteso: GHB Memories https://ghbmemories.wordpress.com, scrivendo che l’idea è partita da qui.
– Se vuoi spiega anche brevemente perché hai scelto alcune tracce piuttosto che altre.

Quindi senza indugio, senza tema e senza senso provvedo subito all’elenco delle canzoni, che sono più di 5 perché non sapevo quali scegliere.

1) Bon Jovi – Bad Name

Avevo 9-10 anni e un walkman con la radio incorporata, col quale mi ammazzavo di musica dalle varie emittenti radiofoniche. Questa canzone, pur essendo degli anni ’80, è un classicone e mi capitava spesso di ascoltarla. Mi metteva sempre una bella carica addosso. Non capivo nulla di ciò che diceva, infatti io canticchiavo “iuli-o-ohh, benny benny” (you give love a bad name).

2) Nirvana – Lounge act


C’è un momento nella vita di un adolescente in cui tocca passare ai Nirvana. Ecco, io per ricordare quei momenti dovrei mettere tutto Nevermind perché è l’intero album un simbolo dei ricordi, ma se devo pensare a momenti positivi penso a Lounge Act e al basso di Krist Novoselic: ricordo mettevo in loop l’intro per sentirlo fino allo sfinimento. Poi andavo in giro facendo con la voce tun-tututun tutututu tutu tutu-tun imitando il basso e a volte anche i miei amici facevano tun-tututun tutututu tutu tutu-tun quando uscivamo insieme il sabato sera, a volte eravamo in 3, a volte in 5, a volte in numero variabile ma sempre maschi senza donne e forse era perché facevamo troppi tun-tututun tutututu tutu tutu-tun difatti quando poi ho smesso le donne sono arrivate. Quindi la conclusione è che forse alla donna non piace l’uomo-basso.

3) The Rembrandts – I’ll be there for you

Mi chiedo sempre quanti ricordino gruppo e titolo della canzone e non la conoscano semplicemente come “la sigla di Friends”. Ebbene, in termini di positività, non posso fare altro che citare questa come la mia allegria assoluta, per ciò che identificava: sognavo un divano e un bar e un gruppo di amici eterni adolescenti, per me rappresentava l’ideale della felicità raccolta direttamente dalla pianta, confezionata e venduta in bustine da 10 grammi da fumare. Ah no, forse quella è un’altra cosa. Piccola chicca, dato che io sono un canticchiatore professionista tanto da aver suonato al conservatorio (ma non mi hanno mai aperto), la canzone era da me storpiata in “Il bidet for youuuu”.

4) Moi Dix Mois – Monophobia

Per la maggior parte delle persone credo che questa musica sia una trashata e basta, inascoltabile. Io invece presi una fissa per il visual kei, ancora oggi mi interesso un po’ (ci sono gruppi come i Dir En Grey che sono cazzutissimi e musicisti molto versatili e abili). Questa canzone mi ricorda la Micia. Lei per un periodo scriveva su un forum firmandosi Monophobia. Ah, i forum! Un tempo ero frequentatore assiduo.
Alla Micia piacevano il visual kei e il goth loli e il cosplay. Andammo anche a un Lucca Comics dove Lei partecipò alla sfilata Lolita. Ci ho messo un bel po’ a poter arrivare a considerare certi ricordi con un sorriso e non con dolore per la mancanza. Ecco, quindi visto che sorrido, oggi nella lista pubblico del visual kei, ripensando a un amore. O forse all’Amore.

5) Ska-p – Intifada

Ancora indietro con gli anni, tra i 18 e i 20, in cui il mio impegno politico (o più correttamente il mio presunto impegno politico) consisteva nell’ascoltare canzoni di protesta e urlare slogan alle manifestazioni. Un vero rivoluzionario, non c’è che dire, un Che Gattara de’ noantri. Peccato non ci fosse facebook, già mi vedevo altrimenti a pubblicare link: condividi! sveglia! resisti! ribellati! È così che si cambia il mondo. Come dite? Da quando avevo 20 anni non è poi cambiato? E mica posso far tutto io, scusate!

6) White Stripes – Seven Nation Army

Sì lo so cosa pensate. Mondiali del 2006, poo popopo po poo. Sbagliato. Io ascoltavo i White Stripes prima che diventassero famosi e conoscevo questa canzone da quando uscì, cioè nel 2003. Mi rendo conto di aver detto la classica frase dello stereotipo indie, ma è così. La ricordo perché fu la prima canzone che imparai a fare sulla chitarra (non è che ci voglia molto) e anche una delle poche che imparai prima di appendere le corde al chiodo. E sì, poi mettiamoci anche il 2006 perché fu un’estate divertente, anche se per me un po’ meno perché passai il periodo dei Mondiali chiuso in casa a causa della mononucleosi.

7) NIN – Copy of

Questa mi ricorda la primavera scorsa, per la precisione il Primavera Sound e un pogo spettacolare sui NIN, fatto partire da noi 4 scalmanati, mentre intorno c’era gente tutta composta e ingessata: ma si può? Li abbiamo fatti sgombrare a forza di pogo, attirando altre bestie da concerto. Quel festival è stato fantastico, Barcelona con la giusta compagnia una bella esperienza, tra serate alcoliche, figure di merda e tanta musica. E i panini del Cafe Viena poi sono un orgasmo culinario.

Ecco, ora dovrei nominare altri blogger: ma dato che questa cosa sta facendo il giro già da qualche giorno e tra quelli che conosco vedo già nomine e contronomine, facciamo che cedo a tutti coloro che vogliono un numero illimitato di biglietti con scritto “valevole per una nomina per il Mood Music-ma-è-una-carica-di-elefanti-o-viene-dal-tuo-stereo Tag” utilizzabile da oggi sino al 31 maggio 2015 (le promozioni mica son per sempre!).

Bidet for you!

Liebster Kitten Award

Innanzitutto ringrazio On Rainy Days e Maximwalker per avermi nominato (e non invano) come miglior gatto da compagnia emergente (al di sopra dell’Equatore) di questo mese.

E tu m’hai svegliato per dirmi ‘sta cats-ata?

Salterei preamboli, cappelli introduttivi e capitomboli e andrei subito a rispondere alle domande.

Perché hai aperto un blog?
Perché chiudere un blog altrui pareva brutto. Quindi ho aperto un blog mio nel 2006 per avere possibilità di chiuderlo, solo che poi l’attività ha iniziato a ingranare e ora mi pare brutto chiuderlo, quindi sto pensando di aprire un altro blog da chiudere poi successivamente.

Ci parli un po’ delle tue passioni?
No.
Scherzo, sì.
Mi piace leggere (le etichette al supermercato), andare a passeggio senza meta (sarei un pessimo rugbista), visitare i musei (anche se quando mi vedono auscultarne le pareti con uno stetofonendoscopio chiamano la sicurezza), viaggiare sia fisicamente che con la fantasia (quest’ultimo caso quando non ci sono soldi), guardare film.

Quanto pensi che i commenti e le interazioni siano utili per un blogger e in che modo?
Commentare, interagire sono modi per creare una comunanza d’interessi, per dire “Ehi, anch’io!”. Almeno per la tipologia di blog che ho impostato io e per i blog di altri che leggo. Siamo persone diverse, con attività diverse e vite diverse: ma ci riscopriamo in quel “Ehi, anch’io!”.
Quindi in base al numero di “Ehi, anch’io” si può decidere di creare una propria setta, nel mio caso ambisco, come ho accennato in passato, a creare un movimento per l’instaurazione di una Gattocrazia.

Di cosa parli nel blog?
Faccio prima a dire ciò di cui non ho parlato: perché poi credo nel blog di aver attraversato (senza neanche guardare se sopraggiungessero auto) vari argomenti, uscendone sempre indenne o al massimo con qualche ciuffo di peli in meno. Ecco, mi rammarico di non aver parlato mai di giroscopi o di sincrotroni e nemmeno di ricette di cucina a base di insetti, il che è frustrante perché rende questo blog ancora abbastanza incompleto.

Hai creato un rapporto di amicizia con altri blogger? Vi siete mai conosciuti personalmente?
Loro mi lasciano una ciotola con l’acqua e i croccantini fuori la porta e quando si allontanano io arrivo. Però a volte mi fermo anche a giochicchiare coi gomitoli oppure mi metto a pancia all’aria fingendo di far la lotta.

Come immagini il tuo blog tra due anni? Vorresti vederlo crescere/cambiare e in che modo?
Tra due anni questo blog sarà quotato in borsa e anche in borsetta (nel portafogli no perché non entra), quindi diventerà una S.p.a. con tanto di bagni termali, cioè toilettes con gabinetti e bidet funzionanti ad acqua sulfurea a 80°.

La cosa che sai fare meglio?
Domande di riserva? Ah, ecco: mi riesce bene svicolare dalle domande. Il tempo di girarti e -puff- sparisco.

Quanto tempo dedichi al tuo blog?
Se fosse un lavoro direi una prestazione autonoma occasionale e continuativa.

Come nascono i tuoi post?
Ah, sapevo che sarebbe arrivata questa domanda, prima o poi. Eh, la curiosità. Ok, nascono così: li porta la cicogna e me li fa trovare sotto un cavolo.