Non è che Talebano tale figlio

Viviamo abituati agli orrori e alle cattive notizie. Esistono, purtroppo, e parlarne è doveroso. Esiste anche però da parte di chi fa il mestiere dell’informazione una sorta di spettacolarizzazione del male, degradato a fiction cui tutti assistiamo, senza eccezioni, puntata per puntata.

Parlar di cose belle o di bellezza, a meno che non sia La grande (della quale fregiarsi in nome di una superiorità dell’ingegno italico rispetto a tutto il resto del Mondo che può solo guardare e rosicare), sembra fuori luogo. Quasi sconveniente.

Ecco perché, in un contesto grigio di malessere, accolgo qualsiasi evento positivo come boccate di aria pura.

C’è una storia che si è conclusa da poco, durata settimane e settimane, della quale non posso rivelar tutti i dettagli ma giusto una trama generale.

Una famiglia in fuga dai Talebani è riuscita ad approdare qui. Ci è arrivata con tutti i mezzi e i canali ufficiali garantiti dal Ministero degli Esteri e da quello degli Interni. Ma se la macchina amministrativa si è attivata è solo grazie a un mio amico. Che non lavora per i ministeri, né per enti umanitari, né per altre istituzioni. È un commerciante. È venuto a conoscenza della situazione di questa famiglia tramite uno scrittore afgano e ha fatto l’unica cosa che poteva fare: rompere il cazzo.

E lo dico con accezione positiva. In certe situazioni, quando non hai poteri decisionali né esecutivi, l’unica cosa in tuo potere per far smuovere le acque e le terre è rompere. A qualsiasi livello.

Ha cominciato tampinando un assessore della città. Il quale aveva dichiarato di prendere a cuore la vicenda, salvo poi svanire come un partner di appuntamento che non vuole più vederti né sentirti. Allora ha parlato col Sindaco. Il Sindaco l’ha messo in contatto col Ministero. Nel Ministero ha iniziato a tempestare di email e chiamate degli esponenti politici locali che ci lavorano. Nel frattempo faceva da tramite con la famiglia afgana. Insomma, deve aver tanto rotto che alla fine la macchina burocratica si è messa in moto per aprire un canale legale per farli approdare.

Finito di rompere a Peppone (lo Stato), ha iniziato con Don Camillo (il maggior prete di città): la chiesa alla fine ha messo a disposizione un alloggio.

Una raccolta fondi aperta e chiusa in 24 ore ha poi permesso di farli arrivare qui.


Infatti il Ministero aveva garantito il canale legale. Ma sul farli arrivare qui, avere garanzie che avrebbero avuto un alloggio il cui proprietario garantiva fosse loro dimora, trovare un tirocinio in una rivista per il capofamiglia (è un giornalista), il Ministero ha detto, sintetizzo romanzando, «Vedetevela voi».


Questa è la storia molto in breve: in realtà fino all’ultimo ci sono stati imprevisti, contrattempi, problemi, sui quali non mi soffermo.

Il Don Camillo della situazione ora scalpita che vuol intestarsi l’iniziativa: in realtà sta cercando di farlo già da un mese, aveva pronti i comunicati stampa e sperava per la festa patronale di aver già qui la famiglia, forse da esibire come miracolo.
Io, sincero, lo lascerei fare. Soprattutto in certi contesti, le persone non si mettono a criticare quel che fa la Chiesa.

Al contrario, qualunque altra persona che volesse rendere partecipi della vicenda quante più persone possibili – ho dimenticato di dire che tutto ciò che è avvenuto, per motivi di sicurezza come da indicazioni della Farnesina, non ha visto pubblicità se non tra la cerchia di noi amici e i riferimenti istituzionali interpellati – prima o poi se li vedrebbe arrivare.

Succede. Problemi complessi finiscono per l’esser trattati in modo semplice o superficiale.

E quindi alla fine arrivano.

Chi?

Come chi. Quelli de «Ma come, aiutate degli sconosciuti afgani e per gli erinaceidi che qui soffrono non fate niente?».

Ho smesso, e non ne vado fiero del mio atteggiamento, di cercar qualsiasi dialogo complesso laddove, come dicevo sopra, la complessità non viene analizzata.

Io in genere rispondo solo con una domanda: «Ma tu, invece, cosa fai?».


Oh, non ho mai ricevuto una risposta soddisfacente.


 

Differenze tra Star Wars e la realtà: lì regnava Palpatine, qui palpatine regnano

L’altroieri una mia amica nell’arco di una sola giornata in giro per strada ha raccolto
– un apprezzamento spinto riguardo il proprio fondoschiena;
– una tastata del suddetto fondoschiena; evidentemente il palpatore avrà ascoltato l’apprezzamento precedente e avrà voluto sincerarsi con mano;
– un apprezzamento spinto riguardo il proprio petto; evidentemente il terzo soggetto avrà visto i primi due in azione e avrà pensato che la mia amica avrebbe cominciato a porsi dei dubbi sulla propria bellezza se tutti gli apprezzamenti si fossero concentrati sul di lei didietro. Il giuovine, dunque, ha pensato di rimediare a un possibile torto concentrandosi sul davanti.

Faccio dell’ironia per non appesantire il post con considerazioni sulla nausea che mi provocano certe cose, anche se da ridere non ve n’è affatto.

Leggendo i vari commenti sotto il post in cui lei esprimeva la propria rabbia, ne ho notati molti in cui le sue amiche rispondevano dicendo “anche a me è successo che…”.

E immagino che anche tra qualche blogger che legge ci sarà chi potrebbe dire che anche a lei è successo che.

Perché succede sempre che.
Succede che molte donne sono vittime di molestie, dove per molestia non ritengo si debba pensare subito a una toccata di culo. A mio modo di vedere è molesto qualunque atteggiamento che invade la nostra bolla privata che ci circonda quando ci troviamo nell’ambiente esterno, quel confine invisibile tra noi e gli estranei, la distanza di sicurezza o chiamatela come volete.

Se sul treno qualcuno ci fissa lo percepiamo come molesto, giustamente. Quindi perché non dovrebbe essere considerato molesto un uomo che nel vagone si piazza giusto davanti una mia amica per fissarla scrutandole l’interno della camicetta?

Eppure si tende a minimizzare, ci sono anche donne che dicono “a me fa piacere se mi guardano o mi fanno un complimento” (io credo andrebbe specificato in che contesto e da parte di chi) e uomini che dicono che “in fondo lo fanno tutte apposta”.

Ad esempio, sono andato a ripescare un video di un cortometraggio che non fa mai male andare a riguardare. Tra i commenti sui siti italiani che lo avevano pubblicato, spiccava questo:

le donne vogliono il potere poi si Lamentano…poi ci sono donne e Donne!Una VERA Donna non indossa i pantaloni, non fuma,non ubriaca,non parla in alta voce e non si comporta da Maschiaccio!!!Io non Sono misogino..ho sempre rispettato le Donne…infatti guardando questo cortometraggio non mi sono sorpreso…Oggi è una cosa comune qui nei paesi Occidentali!!QUI le donne perfino alla santa messa domenicale vanno seminude con pantaloncini corti..!!Vorrei rispondere anche ad xxxxx…LA donna ha sempre provocato l’Uomo…è così sarà fino alla fine della nostra Esistenza..e deve essere così.”PERò”!!Le donne di Oggi non sanno Provocare…pensano che la provocazione sta per mostrare il LORO corpo..girovagando nei centri commerciali con pantaloncini corti con magliettina stretta tutta scollata..!!!CI SONO BEN ALTRI MODI PER PROVOCARE L’UOMO…che ora non sto qui ad elencarmi!!

Al di là dell’abuso di punti esclamativi, che sono una costante del linguaggio social, così come le k lo erano in quello da sms, e delle violenze alla sintassi, costui non fa altro che esprimere concetti che sento ripetere molto spesso da molte persone.

Tra parentesi, se per assurdo volessimo ascoltare un secondo questi illuminati pensatori e le loro tesi sulle provocazioni, la mia amica cui toccano il sedere anche se mette gonne lunghe cosa dovrebbe allora fare: chiudersi in casa e non uscire più?