Non è che ti serva una canoa per superare una riunione-fiume

Ho terminato un libro che aveva preso ad annoiarmi. L’inizio sembrava promettente, poi si è ridotto come gli auricolari che metti in tasca: un groviglio non dipanabile. Prima di iniziarlo avevo letto un paio di commenti su Anobii che davano un giudizio mediocre al romanzo proprio per il suo aggrovigliarsi senza capire che direzione volesse prendere.

Ora però non saprò mai se mi sono fatto più condizionare dalle critiche o se il libro seriamente non funzionasse bene. Un libro non si giudica dalla copertina (vero, ma fino a un certo punto: ci sono copertine dalle quali sai già cosa aspettarti), ma neanche dai giudizi altrui (vero ma fino a un certo punto?).

Eppure noi, nonostante le belle dichiarazioni d’intenti, subiamo gli effetti di pregiudizi, giudizi affrettati, delle opinioni altrui. È inevitabile.

Va anche detto che i giudizi altrui non è che siano sempre sbagliati.

Io per esempio ho una collega con la quale quest’anno mi trovo a condividere un lavoro per il raggiungimento dell’obiettivo 2021. Ci interfacciamo a distanza, visto che lei lavora in un altro Centro a 900km dal mio. Non so manco che volto abbia. Per comodità narrativa, la chiameremo Asciughina.

Di Asciughina, prima di iniziare questo lavoro in collaborazione, avevo solo sentito dire che è pesante e rompimaglioni. È pesante, ma così pesante nel suo vagliare, analizzare e programmare ogni singolo aspetto, che di lei la mia collega di stanza d’ufficio diceva che (cito testualmente) «Anche una chiavata, se mai se ne fa una, se la deve programmare in agenda».

Di certo non erano le premesse ideali per approcciarsi senza pregiudizi. E, sarò sincero, quando mi hanno detto che avrei dovuto lavorarci assieme, ho invocato Anubi perché ho pensato che, essendo io l’ultimo arrivato, me l’avessero affibbiata di proposito perché nessuno la regge più.

Anubi è sceso e mi ha detto «Sopporta».

Fatto sta che i giudizi dicevano il vero.
Asciughina è il tipo di persona che parla per ascoltare il suono della propria voce. Butta lì un quesito, fa una pausa (e tu pensi di poter intervenire) e poi riprende a parlare rispondendo a ciò che aveva detto. Una conversazione con lei dura due ore (e non scherzo), perché continua a buttare sul tavolo cose su cose. È lenta e monocorde.
È accaduto più di una volta che, terminata una riunione (di due ore e 20) con altri tizi con cui lavoriamo, appena cliccato il tasto rosso lei mi scrivesse in chat chiedendomi di sentirci per fare il punto di quanto si era detto.

Siccome non sono una brava persona e c’è sicuramente un posto nell’inferno per i perculatori che mi aspetta, ho iniziato a questo punto a fingere impegni per troncare le chiamate.

All’inizio dicevo che avevo un appuntamento a breve (nota: si erano fatte le 18 e di solito stacco alle 17). Non funzionava perché dopo avermi detto «Va bene ci aggiorniamo la prossima volta» poi riprendeva il discorso come se niente fosse e andava avanti senza lasciar intravedere una fine.

Poi ho iniziato a fingere urgenze. Mi facevo chiamare da M.. Per esempio una volta ha finto di essere rimasta a piedi con l’auto.

Solo che quante volte ci possono essere urgenze?

Poi ho iniziato a fingere scadenze impellenti di lavoro cui mettere mano.

La volta scorsa le ho detto «Ciao, se è una cosa veloce sentiamoci pure, sennò rimandiamo».
Ha preferito rimandare. E tenermi il giorno dopo sempre due ore in conversazione.

Non bisogna farsi influenzare dagli altri, certo; si deve però ammettere che delle volte hanno più che ragione.

Non è che devi essere un Antico Egizio per invocar Anubi

Ho ingaggiato una personale lotta contro gli afidi, che hanno deciso di insediarsi sul falso gelsomino del balcone. Gli afidi però sono veri. Oppure, amando una pianta falsa, sono falsi anch’essi?
Gli afidi falsi sono forse meglio delle persone false? Grandi domande che ora provo a lavare via passando l’aceto sulle foglie per vincere la loro resistenza.

Nell’ambito delle mie lotte e sfide, prosegue quella di conseguire una seconda laurea. Devo portare avanti una ricerca su due figure storiche per il corso di Storia del Cristianesimo Medievale.

Ho chiesto aiuto a un collega con il quale ho condiviso altri corsi. È un prete. Anche lui è al secondo titolo, ha una laurea presso l’Università Pontificia. Insomma, chi meglio di lui può conoscere la materia?

Eppure, non conosceva i due personaggi oggetto del mio studio. Ho pensato fosse strano. Poi mi sono reso conto di una cosa. Le due figure storiche erano due eretici valdesi: ecco perché non li conosce, per la Chiesa di Roma non saranno mai esistiti!


ba-da-bum-tscha! Momento satira.


Una lotta che invece perdo sempre è quella con la pazienza. Perdo sempre con lei. Anzi, la perdo.

Per esempio, al lavoro. Tizia, che chiameremo Occhio di Falco per comodità narrativa, mi scrive chiedendomi una fotografia in tempo reale dei suoi fondi.

Io, siccome amo fare tabelline colorate con Excel, le invio questo specchietto dove nelle righe trova le voci di costo, nelle colonne – con rispettive intestazioni – invece lo stanziamento iniziale, lo speso e, nell’ultima colonna, il residuo.

Chiunque nella vita abbia visto una tabella, foss’anche quella su un’etichetta che riporta i valori nutrizionali del centrifugato di carrube detox utile per la palestra, sa che incrociando righe e colonne ottiene i valori desiderati e che, in fondo alla tabella, trova i totali.

E poi Occhio di Falco è una che fa robe di roba di scienza, insomma un cervello che sicuramente mi batte in parecchi campi.

Mi risponde – come se le avessi incollato nella mail i valori nutrizionali del centrifugato di carrube detox – dicendomi che ha bisogno di una mano a leggere le tabelle e che e comunque lei ha bisogno di una fotografia ad oggi dei suoi fondi e di sapere i residui.

Ho fatto il mio solito esercizio zen che uso in questi casi. Qualche invocazione ad Anubi, un paio di passeggiate nervose nel corridoio, un respiro, un saluto ad Anubi che è sempre disponibile in qualunque momento della giornata e mi sono apprestato a risponderle, in maniera cortese, professionale e didascalica.


Il fatto di star ancora lavorando in telelavoro è d’aiuto in questi casi. Ho problemi a invocare Anubi in ufficio e, in generale, in luoghi pubblici. Lui non si fa problemi, figuriamoci, a sentirsi invocare ovunque. Sono io che mi imbarazzo se poi qualcuno mi vede (e mi sente) mentre lo invoco.


Poi capisco che Occhio di Falco non è mica stupida. Il suo era un caso di Pesoculismo.

Il Pesoculismo può colpire chiunque, in qualunque momento. Per alcuni è cronico. Per altri, estemporaneo e passeggero. Può presentarsi in varie forme. Come suggerisce il nome, la malattia colpisce il culo del malcapitato, rendendolo pesante come una Multipla. All’inizio, è asintomatica. Poi, dal culo si propaga in maniera casuale verso altre zone del corpo. Può colpire gli arti inferiori, costringendoti a stare sul divano invece di andare a fare la spesa per la cena; poi ti ritroverai a friggere un paio di bastoncini esausti che hai raccattato grattando il fondo mai sbrinato del frezeer (oppure forse stai solo friggendo due blocchetti di ghiaccio sporchi). Può bloccare gli arti superiori, impedendoti di prendere un oggetto in alto, in basso, insomma, in una qualunque posizione che comporta uno spostamento delle braccia. Può affliggere occhi e cervello, inibendo la lettura e comprensione di una tabella!

Questi sono solo alcuni esempi della sindrome Pesoculica.

E tu, sei sicuro di conoscere il tuo culo?

Ma soprattutto, quando incontri qualcuno col Pesoculismo, invochi anche tu Anubi?

Non è che ti serva un frigo per servire fredda la vendetta

Il condominio in cui vivo è tutto sommato tranquillo. Fatta esclusione per delle cose poco piacevoli.

Per dire, qualcuno ogni giorno fuma nell’androne del palazzo o sulle scale, gettando la cicca o la cenere a terra.

La differenziata è un’altra nota dolente. Capitano buste conferite non nei giorni appropriati. Oppure di buste con dentro di tutto. Che bisogna farlo allora di proposito, perché se uno non è in grado di comprendere che il vetro va solo col vetro allora deve essere dichiarato incapace di intendere e di volere.

Avevo raccontato in un altro post poi di quando ho trovato un pacchetto del corriere aperto.

Il furbone del corriere, non trovandomi, aveva pensato bene di lasciare la busta incustodita sopra la cassetta delle lettere. Un furbone nel palazzo, poi, passando di lì ha pensato bene di aprirla e di prenderne il contenuto, lasciando però la busta sopra la cassetta. Immagino per gentilezza, perché se se la fosse portata via io non avrei mai saputo che il pacchetto era arrivato e magari me la sarei presa con chi l’ha spedita gridandogli di avermi ingannato.

Invece quando ho visto che era aperta mi sono tranquillizzato: mi era solo stato rubato il contenuto, il servizio clienti Fastweb è onesto allora.

Oggi ho pensato si fosse verificato lo stesso episodio.

Dal tracciamento sul sito del corriere vedo che mi è stato consegnato un pacchetto. Alle 13:19. Sono le 14, sono rientrato a casa alle 13:30. Sulla cassetta delle lettere non c’è nulla. Io in casa non c’ero, ne sono sicuro. Ho testimoni che provano fossi altrove.

Ho pensato a un nuovo furto, senza neanche, stavolta, l’involucro lasciato a disposizione.

Dopo le peggiori invocazioni ad Anubi, ho iniziato a pensare a come vendicarmi.

Ipotesi 1: fabbricare un finto pacchetto con dentro dell’antrace e lasciarlo incustodito sulla cassetta delle lettere.
Problema: dove la trovo l’antrace?

Ipotesi 2: fabbricare un pacchetto che all’apertura avrebbe inondato di inchiostro indelebile il ladro.
Problema: come fabbricarlo? Senza rischiare, soprattutto, di rimanere io stesso vittima dello scherzone?

Poi ho avuto l’idea.

Esistono negozi online che vendono animali per i terrari. Invertebrati, soprattutto.

Non sarebbe stata una scena divertente – se fosse possibile vederla – ammirare la faccia del ladro mentre apre il pacchetto e si ritrova degli scarafaggi giganti che prendono possesso della sua casa?

Delle belle blatte dalle antenne telescopiche?

Un simpatico ragnetto peloso di 15 centimetri?

Una scolopendra, di quelle dal carattere parecchio irrequieto e nervoso che sono capaci di saltarti addosso e morderti solo perché non gli piace il colore delle tue scarpe?

Mentre soppesavo tutte queste opzioni si sono fatte le 15 e 10. Il citofono suona. È il corriere che mi consegna il pacchetto che ritenevo trafugato.

In pratica lui aveva segnato la consegna prima di scendere dal furgone, non mi aveva trovato, era partito per un altro giro e poi, di ritorno, era tornato da me.

Che dire. Tutto è bene ciò che finisce bene.

Qualcuno per caso vuole una simpatica e amorevole scolopendra da salotto?

Non è che l’atleta su internet faccia il salto con l’asta online

L’evento musicale della stagione concertistica 2019 è il concerto dei Tool. Per chi segue ed è appassionato, s’intende.

Il giorno che i biglietti vennero messi in vendita fu un delirio per accaparrarseli online. In mezzo al caos, mi sono ritrovato con un biglietto in più. Dopo alcune invocazioni ad Anubi, ho trovato a chi girarlo. In realtà c’erano due persone interessate, che conosco entrambe, che mi avevano contattato nello stesso istante: ho scelto di dare priorità a chi invece di scrivermi mi ha telefonato.

Non l’avessi fatto: da ottobre sto ancora aspettando che costei mi paghi il biglietto. Ogni volta che la incontro mi fa: «Madonna, devo ancora pagarti il biglietto!» «Eh», faccio io, intanto penso «Anubi Anubi Anubi [ecc]».

Con le vendite non ho mai troppa fortuna. In genere mi va meglio di così ma mi capitano persone strane quando vendo qualcosa online.

Un tizio, una volta, dopo avermi anche pagato mi scrisse: «Spero che tu non sia un truffatore :/ ».

Ero indeciso se truffarlo sul serio o rispondergli «Oh no! Mi hai scoperto! Sei troppo astuto per me!».

Un altro che era interessato a un videogioco da 5 euro volle sapere:

  • Perché lo vendevo?
  • Quale era lo stato di usura del disco?
  • Quale era lo stato di usura della custodia?

Collezionismo, dirà qualcuno. Ma era una stramaledettissimo gioco uscito 3 anni prima venduto in milioni di copie. E la custodia si può sostituire, basta estrarre la copertina. Inoltre per 5 euro già è tanto se dentro non ci trovi il disco di Spitty Cash.

In questi giorni che ho messo in vendita dei vecchi manga su Ebay mi si son ripresentate le persone con l’ansia da acquisto online.

C’è quello che prima ti tormenta di domande sull’oggetto, poi una volta concordata la vendita paga subito e sparisce. Tu gli chiedi conferma dell’indirizzo: nessuna risposta.

Un altro, dopo le solite domande sullo stato dei volumi, mi ha chiesto riguardo gli angoli. «No perché – mi ha scritto – sono proprio fissato con gli angoli e se non sono ben conservati provo fastidio».

«Eh, ti capisco» gli ho risposto e al che lui dev’essersi tranquillizzato perché ha acquistato scrivendomi «Ok mi fido sei come me». Stavo per ribattere BADA A COME PARLI ma ho lasciato perdere.

La migliore è stata una tizia capitatami oggi. Mi ha contattato con le solite domande sullo stato di conservazione dei volumi. Io ho spiegato che sono integri ma vecchi e usati e che presentano i segni del tempo e del consumo, come tra l’altro avevo specificato nell’inserzione. Mi aspettavo che non accettasse, invece ha acquistato, dicendomi «Che mi importa, li devo leggere, mica esporre in libreria!».

Allora perché diavolo vuoi sapere come sono messi?

Ho deciso che per un po’ non venderò più nulla, neanche la dignità: quella l’ho sempre data via gratis.

Non è che ti serva un artigiano per avere un bagaglio “a mano”

Sono riuscito a impacchettare tutto per il mio ritorno in Italia. Un grazie lo devo anche a Hajdeby: ci abbiamo veramente dato dentro insieme.

All’inizio ho avuto qualche difficoltà: il mio tubo era troppo grosso e non riuscivo a farlo stare perfettamente in posizione. Il risucchio comunque è andato poi che un piacere.

Hajdeby è la linea di sacchetti per sottovuoto IKEA.

Ora ho un intero armadio diviso tra valigia, zaino e borsa portacomputer.

Chiudere la valigia mi ha dato qualche problema. Uno dei vecchi sacchetti che avevo ha ceduto all’aria e ho temuto esplodesse lanciando i miei vestiti per la casa. Mi sono visto al rallentatore danzante tra boxer e t-shirt volanti come fiocchi di neve.

Fortunatamente non è volato nulla, a parte qualche invocazione ad Anubi perché dovevo ricominciare da capo.

Chiudere la valigia è come una guerra di posizione. Ogni millimetro di cerniera guadagnato costa sudore e sangue (dalle dita) e fatica. E sai che non devi mollare mai la presa perché rischi di dover tornare indietro e perdere più del doppio del terreno che avevi guadagnato.

Oggi ho avuto altri segnali che fosse veramente ora di levare le tende da questa città.

1) Ho perso l’abbonamento dei mezzi.

2) A casa poi ha bussato il postino che cercava il mio padrone di casa. Ho provato a dare spiegazioni ma non riuscivamo a capirci. Poi mi ha fatto:
– Sister?
– Eh?
E se ne è andato agitando le braccia. Probabilmente mi ha detto tu’ sorella.

3) Questo pomeriggio ero a un bar di Jaszai – Maródi Cukrászda, se ci passate. Ha delle buone torte – e un tizio al tavolino di fronte per un’ora buona ha tenuto in mano un piede della propria ragazza. Un piede attaccato al corpo, s’intende.

Bevevano il proprio shakerato, giocavano a un gioco con dadi colorati, chiacchieravano. E nel frattempo lei teneva il piede sinistro sulla mano sinistra di lui.

All’inizio pensavo lei fosse vittima di un infortunio e non potesse poggiare il piede a terra. Ma quando si sono alzati e lei ha infilato le ballerine, camminava normalmente.

Questo episodio di podofilia mi ha fatto capire di aver ormai visto e vissuto abbastanza qui e che fosse ora di andarsene, soddisfatto per il pieno di esperienze fatte. Quindi sono tornato a casa a terminare la guerra di trincea con la valigia di cui accennavo sopra.

Fa sempre strano chiudere la vita in un bagaglio.

A parte che suona anche macabro dire di avere la vita in un bagaglio. Per sicurezza, sul mio ho fatto un paio di buchi per farla respirare.

Non è che il medico assassino faccia visite a d’omicidio

Come avevo raccontato il 29 aprile scorso, Nonno Gintoki era atteso da una visita di accertamento dell’invalidità. La cosa non si poteva effettuare a domicilio, quindi era necessario portare Maometto alla montagna.

Le mie preoccupazioni riguardavano il clima: il 7 giugno alle 15 avrebbe potuto esserci una temperatura non idonea per far uscire un anziano con problemi cardiaci.

Fortunatamente il cielo che tutto vede e tutto provvede ci è venuto incontro e, alle 14:59 dopo una bella giornata primaverile, ha cominciato a scaricare acqua a cantilene.


Le cantilene sono le invocazioni ad Anubi che scrosciano spontanee.


Approfittando di un momento di pausa dalla pioggia ci siamo avviati, io, Madre e Nonno Gintoki. L’accordo era di aspettare fuori l’istituto in auto e poi il medico sarebbe uscito per il controllo.


Più ne scrivo e più mi sembra assurda come cosa, ma testuali parole dell’impiegata furono: purtroppo non vi possiamo accordare la visita domiciliare, ma non c’è bisogno di farlo stare qui: lo portiate qua e senza farlo scendere esce fuori il medico.


Abbiamo atteso un’ora. Avevo anche pensato a quel punto di accompagnarlo dentro, ma la rampa di accesso ha una pendenza tale che ci vorrebbe un ciclista dopato per percorrerla. E dentro non hanno sedie a rotelle. Forse una volta le avevano acquistate ma poi si son perse come tante cose che qui si perdono. Mi ricordo quando, ormai son passati quasi venti anni, inaugurarono il Palazzetto dello Sport: il giorno dopo erano sparite le retine dai canestri di basket. E io in questi frangenti mi chiedo sempre: che te ne fai di una retina da basket?

Il tempo è stato comunque piacevolmente scandito da alcune conversazioni con mio nonno, come quando mi ha informato del suo numero di minzioni giornaliere o quando mi ha chiesto lo stato della mia prostata. Io ho detto che la tengo sotto controllo: per un motivo o per l’altro quando le cose giran male mi sembra regolarmente di avere un dito nel sedere.

Alla fine il medico, insieme a Madre, è uscito fuori: si è affacciato all’interno dell’auto e ha detto

– Buongiorno, lei è Nonno Gintoki?
– Eh io sì dottò…
– Tutto a posto, arrivederci

Io, basito, esclamo

– Scusi, tutto a posto quindi?
– Sì sì, io c’ho già qua tutte le carte, a me bastano, ma devo dichiarare che l’ho visto sennò la Commissione vi boccia la domanda


Carte = dialettismo per indicare dei documenti


Rassicurato e perplesso – due stati contrastanti ma coincidenti, come un Gatto di Schrödinger – ci siamo diretti verso casa. Continuavo a pensare che la burocrazia è così contorta che alla fine si autocontorce da sola.

Mentre riflettevo su questo, due ragazzini su uno scooter mi stavano venendo addosso contromano e io mi son chiesto quale cifra fosse maggiore: la somma delle loro età o gli anni di galera che mi avrebbero dato per stenderli in nome di un miglioramento della specie. Ho concluso che la risposta giusta fosse la seconda e li ho evitati.

Per concludere, tornati a casa, la badante – qualcuno la ricorderà perché era quella interessata al mio sgnakku (che non è una cosa perversa, almeno spero) – contestando la lunga attesa, ha commentato

– Eh, Nonno Gintoki, ai tempi vostri quando c’era lui se medico non preciso di tempo subito lo cacciavano via!

E così ho appreso che una volta i medici arrivavano in orario. E che a casa c’è una badante del Ventennio.

Non è che l’andrologo sia un mestiere del…beh si è capito

Qualche tempo fa fece discutere la proposta di ridurre l’iva sugli assorbenti. La sintesi della discussione che ne scaturì fu: Ahahah.

È possibile che, delle volte, il dibattito sociale in questo Paese assuma livelli da conversazione da alunni delle scuole medie.

Senza dimenticare, inoltre, l’esistenza di fondo di un certo sessismo serpeggiante, quantunque ciò venga negato. Anche da parte delle donne, da alcune delle quali ho sentito dire Io non mi sento discriminata e poi non la voglio la parità, a me sta bene che un uomo mi apra la porta o mi offra la cena.

Non è proprio così che funziona, avrei voluto dire, e la galanteria è un conto e le discriminazioni un altro.
Ma chi sono io per far crollare le convinzioni altrui?

Anche perché, e vengo al vero oggetto del mio discorso, trovo che si parli troppo di donne!
E anche di uomini, a dire il vero, ma nel modo sbagliato.

Si parla mai delle difficoltà connesse all’essere nati con un affare tra le gambe?

Innanzitutto è un attira-colpi.
Da questo punto di vista per scomodità è secondo soltanto al dito piccolo del piede.

Tutti gli sport con la palla sono un pericolo.

Ricordo quando una volta, giocando a calcetto, volli esibirmi in uno stop volante di petto. Saltai incontro al pallone con le braccia all’indietro e il petto proteso in avanti come un piccione in amore. Ero il Nureyev del calcio a cinque.

Peccato che calcolai male la distanza o forse la velocità della palla, fatto sta che stoppai sì la palla ma con le parti basse.

Mentre mi contorcevo sul suolo, prima di svenire sentii qualcuno dire Dai gioca gioca, non si è fatto niente!. Io gli augurai di uscire dal campo con i piedi davanti e poi persi i sensi.

L’altra problematica connessa all’essere fallodotati è la pressione sociale che gli ruota intorno.

Si vive ossessionati dall’eterno ritorno del discorso sulle dimensioni, su cui spesso si bara.

L’ho fatto anche io.

Avevo 14 anni, frequentavo le chat di Napster.


Napster era un programma di file sharing, sorto nell’era del 56k. Per tirare giù una canzone ci volevano un paio di ore, spesso succedeva che il download saltasse quando il file era al 99% e lì partivano invocazioni ad Anubi.
Il logo era un gatto con le cuffie. Non poteva che attirare la mia attenzione, quindi.


Molti che si aggiravano lì esordivano pubblicizzando dimensioni equine: al che mi dissi, chi son io per esser da meno?

Quindi dicevo sempre di avere 30.
Anni.

L’uomo maturo cuccava di più dell’elefante o presunto tale. Poi però alla fine dovevo rivelare di essere un adolescente col baffo da portoricano e mi bloccavano dai messaggi privati.

L’affare maschile reca con sé, inoltre, tutta una serie di problematiche fisiologiche.

Al mattino svuotare la vescica quando ci si è appena svegliati è difficile, causa una certa riottosità da parte dell’organo a porsi in posizione di riposo.

D’altro canto, tale riottosità è compianta quando vien meno nei momenti meno indicati. E se un uomo dirà alla propria partner Non era mai successo, vorrà dire che è già successo.

C’è un altro motivo per cui è scomodo: a volte va fuori posto.
Le donne non comprendono perché gli uomini stiano sempre a sistemarsi lì, alcuni apertamente, altri facendo finta di ravanare nelle tasche in cerca di qualcosa che non c’è. Altri ancora, lo fanno i più discreti come me, si esibiscono in camminate strane, di cui ne esistono due varianti:
– il cowboy che si è fatto la pipì addosso
– il soldato in marcia durante una parata.

Il motivo è che coi pantaloni, soprattutto coi jeans che sono un tessuto meno elastico, è veramente scomodo quando il nostro amico finisce fuori posto.
Gli scozzesi avevano capito tutto col kilt.

Infine, c’è chi lo usa nel modo sbagliato durante la minzione.
Ricordo ancora durante i miei anni scolastici e quelli universitari quale era il suono all’ingresso nel bagno: ciaf ciaf ciaf. Delle volte ci voleva una zattera.

Pertanto, sì alla riduzione dell’iva sugli assorbenti, ma sì anche un dibattito sociale serio sul pene e non dibattiti sociali del pene!

Non è che in cucina non si finisca mai di impanare

Madre con la tecnologia ha lo stesso rapporto che avrebbe un Padre Pellegrino di Plymouth del ‘600: “Ah! Stregoneria!”.

Il che rende difficile farla avvicinare ad alcune utili modernità.

Considero però una vittoria personale l’averla costretta a imparare a usare Skype, dal mio trasferimento a Budapest.

A meno di non voler diventare azionisti di una compagnia telefonica, Skype infatti sarebbe stata l’opzione migliore per potersi parlare.

Gli inizi non furono semplici. Pur avendole dato precise istruzioni passo passo, al mio arrivo in Ungheria lei, come non le avessi spiegato nulla, iniziò a telefonarmi col cellulare.

Dopo varie invocazioni ad Anubi, sempre ricordato nelle mie preghiere, riuscii a convincerla a provare l’azzurrino software, dietro orari concordati.
Lavorando e vivendo da solo, ho comunque bisogno dei miei tempi per sbrigare le cose. Se, ad esempio, la sera non voglio scaldarmi un pugno di mosche al microonde ma cucinare qualcosa di più impegnativo di un uovo sbattuto, non segnali la mia scomparsa a Chi l’ha visto? se posticipo una chiamata per andare al supermercato a fare rifornimento.


Il tutto nonostante io abbia avvisato. Potrebbe sempre trattarsi di un falso messaggio da parte dei miei sequestratori dell’ISIS per guadagnare tempo.


E si sa che la cucina richieda tempo e non si finisca mai di impanare.

D’altro canto, Madre è la prima ad avvertire come prioritaria necessità quella del cibo.

Dirle che avrei avuto un aperitivo il giorno seguente ha avuto come risposta:

– E non mangi?

Io con un po’ di leggerezza non ho considerato il fatto che Madre potesse non aver presente cosa fosse un aperitivo.

Può sembrare che io stia esagerando, ma, ad esempio, lei ha cominciato ad accettare solo da pochi anni il significato di uscire a prendere una birra. La sua reazione era la medesima:

– Senza mangiare?
– Madre, ho cenato 10 minuti fa!
– E vicino la birra non prendi niente?

Così, l’immagine associata da Madre all’atto di prendere una birra senza accompagnarla con delle cibarie credo sia stata a lungo quella di un individuo affetto da dipendenza cronica da alcool, come in un quadro di Degas

Quindi non vedo come potrebbe aver presente forme di alcolismo più complesse, come l’aperitivo. Si potrebbe ritenere che l’aperitivo verrebbe incontro alle sue preoccupazioni, essendo fondato sul concetto di alcool+cibo. Ma non credo che quello sia considerato sfamarsi, quanto più preparare lo stomaco:


Dipende anche dal tipo di aperitivo, ci sono posti micragnosi così come posti dove ci si sfama a volontà e con voluttà. Questo vale più nelle grandi città, da Napoli sino alla cosiddetta Milano da bere. A tal proposito cantavano i Baustelle: Cara/scriverà sulle tovaglie dei Navigli/quanta gioia, quanti giorni, quanti sbagli/quanto freddo nei polmoni/che dolore/non è niente non è niente/lascia stare¹, dove le tovaglie dei Navigli è sicuramente riferito a un aperitivo insieme alla tanta gioia di serate alcolicamente allegre, con gli sbagli costituiti da quel bis di trancio di lasagna dopo la torta al cioccolato e strutto, il freddo è causato dal fatto che la digestione richiama tutto il sangue verso giù e poi si fa fatica anche a respirare e quindi che dolore.


¹Un romantico a Milano


Ripropongo, sempre valido, un diagramma di flusso che illustra sinteticamente una conversazione-tipo di Madre:

Il dizionario delle cose perdute – L’Atari


In questa pagina c’è il dizionario in costruzione. Se volete suggerire elementi nostalgici o, anzi, se volete scrivere voi stessi un articolo su una cosa “perduta” per arricchire il dizionario, fatevi avanti (col corpo) e indietro (con la mente)!


L’Atari ha tolto la verginità videoludica a molti futuri videogiocatori. Io non ho fatto eccezione.

Una precisazione è doverosa: io, come molti altri, non ho avuto un vero Atari ma uno dei tanti cloni dell’Atari 2600 messi in commercio a partire dalla metà degli anni ’80. Il mio, oltre a funzionare con le cartucce originali Atari, aveva una ROM all’interno con preinstallati un centinaio di titoli.

Il suo aspetto era quello della foto qui sotto:

Playstation…I am your father!

Sembra uscito da Guerre Stellari ep. IV. La linea squadrata, marziale e total black di questo scatolone di plastica deve essere stata progettata da Darth Vader.

Lo scatolone era completamente vuoto: c’era all’interno solo questo circuito stampato largo più o meno quanto la striscia grigia, mentre tutto il resto dell’armatura non conteneva nulla.

Il joystick era legnoso e anchilosato e dalla scarsa longevità: dopo un po’ i contatti interni (delle lamine di alluminio che a seconda di dove veniva spostata la cloche facevano contatto inviando il segnale alla CPU) si danneggiarono irrimediabilmente e dopo un primo tentativo da parte di mio padre di ripristinarli con il saldatore, si decise di sostituirli con altri joystick comprati in un negozio di elettronica che da anni ha chiuso i battenti, sopraffatto dalla grande distribuzione organizzata.

Ricordo ancora quando acquistai il clone una 20ina di anni fa. L’ipermercato dove i miei genitori andavano a fare la consueta spesa del sabato un giorno all’ingresso espose questa montagna di console in vendita a 34900 lire. La gente ne faceva incetta.


Oggi quell’ipermercato non esiste più. All’epoca faceva parte di una catena italiana, poi fu rilevato da Carrefour. Quando il colosso francese aprì un nuovo punto vendita in un nuovo, enorme, centro commerciale costruito poco lontano negli anni ‘2000, cedette l’ipermercato, che passò al gruppo SPAR. La crisi si abbatté sull’attività, la direzione decise di chiudere, licenziò lavoratori e mise in cassa integrazione gli altri. Attualmente è ancora chiuso. Di una vasta area che negli anni ’90 comprendeva l’ipermercato, una galleria commerciale, un grande punto vendita Brico e un Mercatone Uno, oggi rimangono solo strutture abbandonate che il tempo sta consumando.


Io e mio padre restammo lì a guardare chiedendoci se fosse possibile che costasse realmente 34900 lire e, dopo essercene accertati, lo prendemmo.

Il principio di funzionamento era molto semplice: lo scatolone si collegava alla tv tramite il cavo dell’antenna e uno switcher (lo scatolino antenna<->game nella foto) avrebbe bypassato il segnale. Era però necessario trovare il canale sul quale il segnale della console si sarebbe agganciato e questa cosa, all’inizio, fu fonte di molte invocazioni al dio Anubi da parte di mio padre.

I 128 giochi precaricati non erano selezionabili autonomamente: bisognava far partire la ricerca sequenziale (spostando una delle levette sulla console) che faceva scorrere tutti i giochi, che in genere rimanevano sullo schermo un paio di secondi. Dovevi essere lesto a bloccare la ricerca nel momento in cui compariva il gioco che cercavi. Se sbagliavi il tempismo, dovevi ricominciare da capo. Era un gioco nel gioco: delle volte ho dovuto farlo per quattro volte consecutive prima di riuscire a bloccare la leva su ciò che volevo.

Le cartucce le compravo al prezzo di 9000 lire da un Tutto a 1000 lire sul corso principale della mia città. Era uno dei primi negozi di questo tipo che vidi comparire e quando aprì vi entrammo curiosi di scoprire se tutto fosse realmente in vendita a 1000 lire. La risposta era, ovviamente: NO.

Non so per quale mistero quel negozio avesse delle cartucce originali Atari. Non erano molte, e le teneva in un cestone di vimini come quello che si usa a Natale per i pacchi dono. Ogni 3-4 mesi compariva qualche titolo nuovo al suo interno. Il fatto che rimanessero lì nel cestone i titoli che scartavo mi lasciava pensare che io fossi l’unico acquirente in tutta la città.


È inutile precisare che anche quel negozio non esiste più.


La vita del mio clone si spense per ben due volte: avevo un amico distratto (lo stesso che giocava con me a Subbuteo), che inciampava sempre nel cavo di alimentazione. Un giorno lo strattone fu talmente forte che il jack dell’alimentatore staccò un piccolo tondino di alluminio dall’ingresso della console. Non essendoci più contatto elettrico, non funzionò più.

Padre riuscì a sistemarla con un lavoro certosino di nastro adesivo. Nonostante altri inciampi, da parte dello stesso amico e anche di altri, resistette lo stesso. Molti amici, nonostante fossero in possesso di computer performanti (per l’epoca) e in grado di supportare videogiochi ben più evoluti (quelli dell’Atari erano vecchi di 10-15 anni), subivano il fascino di quello scatolone nero.

Mandai in pensione la console quando la sostituii con un clone del Nintendo 8 bit.

Ironia della sorte, negli anni ’80 era stata proprio la Nintendo la principale avversaria di Atari, con vari scontri d’affari, battaglie di mercato, tentativi di collaborazione non portati a termine che alla fine videro sempre soccombere la Atari nei confronti del colosso nipponico. Dopo varie vicissitudini, acquisizioni da parte di altre società, ridimensionamenti e ripetute crisi, nel 2013 la divisione statunitense Atari ha dichiarato ufficialmente bancarotta.

La leggenda della sepoltura nel deserto – La Atari si è resa protagonista di quella che per molti anni è stata ritenuta una leggenda metropolitana: la sepoltura di migliaia e migliaia di cartucce di giochi invenduti nel deserto del New Mexico.

Tra i giochi sepolti, il quantitativo principale era costituito da quello che è stato considerato come il più brutto videogioco mai creato dall’uomo: ET l’extraterrestre (ironico che sia finito occultato proprio nel New Mexico, lo stesso deserto dove si raccontava che fosse precipitato un UFO con degli alieni all’interno), di cui allego un video del gameplay:

Il gioco andava avanti così all’infinito: non succedeva nulla, non si capiva cosa dovesse succedere e non si sapeva come farlo succedere.

Le cartucce invendute o ritirare dal mercato giacevano nei magazzini Atari: dato che ciò per un’azienda comporta un costo, dai vertici ritennero opportuno che la soluzione più economica fosse smaltirle seppellendole in una discarica.

Per anni si è pensato che questa fosse solo una diceria, finché nel 2014 sono state realmente rinvenute le cartucce sepolte:

A differenza di altre cose perdute, i videogiochi di un tempo hanno ancora il loro pubblico di estimatori e il retrogaming, appunto la passione per i giochi old style, è molto popolare su internet. Esistono diversi siti che permettono di giocare online ai vecchi giochi Atari. Archive.org ha messo a disposizione una vasta libreria di titoli.

Non è che si chiamano “rifiuti” perché vuol dire che tu non ne vuoi più saperne

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Cosa rappresenta questa foto? Una pattumiera piena?
Errato.
Questo è il “Bentornato Gin-chan” che mi aspetta ogni sera, perché qualcuna, qualcuna che durante la giornata ha mangiato tortellini Rana e tutta un’altra serie di cose che sono l’equivalente in kcal del fabbisogno di tre persone, una volta che il sacchetto è pieno non si prende la briga di gettarlo.

Ho provato con la resistenza passiva la settimana scorsa, lasciando il sacchetto lì come stava, tanto io di rifiuti ne produco pochi: utilizzo molte cose prive di imballaggi. Il cartone vuoto del latte, l’unica cosa che avrei dovuto gettare, l’ho lasciato in frigo di proposito.

Dopo due giorni in cui il sacchetto è rimasto lì, pieno (anche se la roba al suo interno continuava ad aumentare, tanto da far raggiungere alla busta la densità di una nana bianca*), al terzo giorno, come predetto dalle Scritture, ha preso vita ed è andato a gettarsi da solo. O meglio, l’ha gettato Coinquilino, che è presenza sempre più evanescente in casa.


* Una nana bianca non è una donna caucasica bassa: è una stella di ridotte dimensioni (su scala stellare, ovviamente) ma dalla straordinaria compattezza e densità. Insomma è come fare l’amore in una vecchia 500: lì dentro si sta come in una nana bianca.


Ieri, dopo aver invocato la solita divinità egizia a cui mi rivolgo nei momenti d’ira, sono andato da lei sfondando la porta come Walker il Texas Ranger, dicendo: Vieni un po’ qua, vieni. Senti un po’, amante della Muraglia: ma per caso al Paese tuo la spazzatura ve la tenete in casa e la vegliate senza toccarla come fosse un caro defunto? No perché se vuoi ti piazzo un tabernacolo davanti e due candele e abbiamo fatto l’angolo votivo.

Questo è quello che la divinità egizia mi aveva suggerito di fare. Poi il Dalai Lama che è in me mi ha preso per mano, mi ha fatto bussare la porta e mi ha fatto spiegare ad Astro Nascente che la spazzatura, ogni tanto, si porta fuori.


Ho dovuto portarla davanti al bidone e, indicandolo, dire “Questo, se pieno, si porta fuori”. Non mi sono azzardato a dirglielo in inglese perché, seppur lei mi avesse detto che lo capiva meglio dell’italiano, quando arrivò in casa la prima volta e le chiesi “Where do you come from?” lei mi rispose “Grazie!”.


La sua risposta è stata:
– Aaaah, sì sì capito, grazie, grazie mille.

“Capito”? “Grazie mille”?

Avrei voluto rispondere così, ma il Dalai Lama mi stava ancora osservando, così ho ringraziato anche io e l’ho congedata.

La prossima volta ascolto Anubi.