Come parla?! Le parole sono importanti!

Oggi non ho nulla di particolare da scrivere e, quindi, vorrei concentrarmi su un piccolo sfogo che covo da tanto: le parole o le locuzioni odiose. Quelle che proprio fanno ribrezzo, per il suono, il significato, l’uso improprio…roba che vorreste avere a portata di mano un nodoso bastone da far incontrare alle ginocchia di chi vi sta parlando.

Ecco la mia lista.

Attimino“, “secondino” (non quello del carcere), “messaggino“…tutti i diminutivi idioti e inutili, da bimbominchia, pronunciati, purtroppo, da persone ormai da tempo nell’età adulta. Ricordo con orrore un oculista che mi disse (avevo 17 anni), per un’infezione, di mettere “la pomatina“. Non sono più andato da lui.

“-poli” attaccato a qualsiasi sostantivo per indicare uno scandalo. Ok, tutto è nato con Tangentopoli, per indicare il noto scandalo scoppiato a Milano. Tangento-poli, appunto, vuol dire città delle tangenti, e questo luogo era la città meneghina. In questo caso era ammissibile. Oggi è in uso, da parte dei giornalisti, usare -poli come sinonimo di scandalo: calciopoli, vallettopoli, scommessopoli…Per me è un abominio linguistico. πόλις vuol dire città!
Ho capito che lo fanno anche in America, utilizzando, nella stessa maniera, il suffisso -gate. Ma non è che se una cosa la fanno negli USA vuol dire per forza che è buona.

Una new entry recente: “agibilità politica. Ma che diavolo vuol dire? Ma chi li inventa questi termini? L’agibilità è per le strutture, gli edifici…capisco che Berlusconi ormai abbia più stucco in faccia di un muro di mattoni, ma insomma.

Ti vedo come un amico“. Non c’è bisogno di altre spiegazioni. Per approfondimenti c’è un mio post.

Piuttosto che” usato col senso di “oppure”. Perché la gente sta condannando l’oppure all’estinzione?

Non ho nulla contro…basta che…“. Una frase che vorrebbe suonare come una dichiarazione di tolleranza, riflette invece una profonda intolleranza malcelata da ipocrisia. Spesso usata con gli omosessuali: non ho nulla contro i gay, basta che stiano al posto loro. Che minchia vuol dire? Fai il gaio quanto ti pare, basta che te ne stai nascosto? Pss, te lo dico sottovoce, amico…questa non è tolleranza.
Io proporrei di arrivare a un’abrogazione formale di tale locuzione inflazionandola, facendone venire la nausea dell’uso:

  • Non ho nulla contro chi gioca a calcetto con le magliette di 10 euro facsimile di quelle originali. Basta che non giochi nei campetti dove vado io.
  • Non ho nulla contro chi mette troppo zucchero nel caffè. Basta che si faccia venire il diabete a casa sua.
  • Non ho nulla contro i capelli ricci. Basta che li taglino.
  • Non ho nulla contro chi corre nel parco col fiatone, ansimando. Basta che trattenga il fiato e non respiri.

E via così.

Apericena“. Sarò all’antica, ma son cresciuto con ruoli ben definiti. L’aperitivo è l’aperitivo, la cena è la cena. Gli stadi intermedi mi sembrano l’allegoria perfetta della nostra società indecisa. Ho capito che è comodo al prezzo di una birra o un cocktail riempirsi anche lo stomaco (quando sei in viaggio e coi soldi contati fa comodo!), ma fa tanto snobisti e modaioli, di quelli che ormai mangiare è un accessorio ingombrante, di quelli perennemente a dieta (che poi ingurgitano l’equivalente in peso di un bue muschiato tagliato a fettine e servito con pancarré e oliva), di quelli che fanno una cosa perché la fanno gli altri. Altrimenti, viste la moda e la vita moderna che ci impongono di andare sempre di fretta, proporrei altre fusioni. Lo spuntinanzo: fare merenda con la peperonata. La pausa cafféna: per gli impiegati stressati e oberati di lavoro, una pausa davanti il distributore comprensiva di cena, così a casa possono direttamente andare a morire sul divano senza preoccuparsi di dover anche riempire lo stomaco (se single) e senza rotture sul cosa preparare (per la moglie). E, infine: perché seguire tutta la trafila cena, ritorno a casa, finire a letto insieme…che si copuli direttamente sul tavolo del ristorante, tra una zuppiera di vongole e un astice semi-vivo (uomini, occhio alle chele). Come potremmo chiamarla? Trombatena? Uhm, non sono convinto.

Vado a fare plin plin“. Sì. È tutto vero. Io ne ho sentite donne che voi umani non avreste mai voluto sentire, dire una cosa del genere. È la prova che la tv rincoglionisce. Mi raccomando, poi, fammi drin drin quando mi telefoni, sotto casa fammi dlin dlon e quando vorrai smettere di fare l’oca avvisami con un quack quack.

Ok, non volevo arrivare anche a questo, ma giunto a questo punto devo confessare tutto. Odio tutte le formule alternative per indicare le mestruazioni. Sì, per me si deve dire mestruazioni, basta. “Sono indisposta“. A parte che mi dà l’idea di un disturbo intestinale, a me ricorda la consueta giustificazione sul libretto scolastico: indisposizione, un modo per dire che quella mattina della scuola non c’avevi voglia. “Ho le mie cose“. Dove? In borsa? A casa? In banca? “In quei giorni“, che mi fa tanto di racconto biblico: In quei giorni…i fiumi si riempirono di sangue…e Dio vide che ciò non era tanto buono. E l’ultima, che odio più di tutte, è ciclo. Non so perché, non c’è un motivo. Forse il suono, quel “clo”, che mi disturba.
Spero comunque che le donne smettano di usare formule da spot Lines (dove, tra l’altro, le donne vengono odiosamente rappresentate come delle mentecatte, ci dedicai pure un post).

ps lo so che le virgolette stanno tutte storte e aperte/chiuse alla dog’s dick, ma non capisco perché WP faccia ciò

Solidarietà

La Niña: Me ne stanno capitando di tutti i colori. Prima l’incidente, poi la rapina!
Io: Ti passo a trovare, ti faccio un po’ di compagnia?
La Niña: Ok! Così ti metto a cucinare per me!
Io: …

Epilogo
Gin-chan che gioca alla Playstation col coinquilino della Niña, che traffica in cucina.

Foto fatte coi piedi

Il trend dell’estate 2013 sembra sia quello di scattare foto vista mare con primo piano dei propri piedi. E, ovviamente, condividere il tutto su Instagram, Twitter, Facebook. Il non plus ultra l’ha raggiunto una coppia che ho su fb: veduta della spiaggia e primo piano di piede destro di lui affiancato a piede sinistro di lei. Ma che carini. Vi organizzerei un incontro con Jigsaw.

Vorrei dire a tutti queste persone che non state facendo nulla di artistico, non siete gli Helmut Newton delle spiagge, gli Steve McCurry degli alluci, gli Ansel Adams delle inquadrature. Siete persone che si stanno fotografando i piedi, fate il paio con i pornografi del cibo che condividono foto dei loro piatti, pure se sono delle carote frullate (perché poi devono informare il mondo che oggi hanno salvato una mucca, magari).

Poi ci ho riflettuto su. Mi son detto, è stato fatto il trend, voglio fare trend-uno (sì, faccio freddure anche peggiori di questa). Voglio compiere io un vero gesto artistico e, come tale, provocatorio. Mi cimento anche io nella veduta spiaggia con primo piano:

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(sì, è un montaggio. Non amo andare in spiaggia e poi non ci andrei mica apposta a fare sta cretinata)

Sforzi che vanno in fumo

Faccio una premessa: non intendo parlare degli svantaggi, dei pericoli del fumo, della lobby del tabacco, dell’importanza di smettere di fumare e quant’altro, perché non me ne cale né tanto né poco. Ciò che mi appresto ad esaminare è il comportamento del fumatore incallito e degli aspetti che suscitano in me ilarità.

Seconda premessa: anche io ho fumato. A 17 anni ho provato due tiri, tra i 18-19 ho cominciato a farmi qualche sigaretta, più che altro perché mi ritrovavo in una compagnia di 5-6 persone, tutti fumatori, che mi svampavano in faccia contemporaneamente, creando intorno la mia testa una nebbia da brughiera: più volte, sentendo un cane abbaiare, pensavo fosse il mastino dei Baskerville. Giunto a questi livelli,  una sera dissi ok, datene una anche a me. Non ho mai preso il vizio, però, pur andando avanti per 2-3 anni a fumare, tant’é che un giorno ho detto stop al tabacco sì a valsoia, di punto in bianco.

Detto questo, quello che non riesco proprio a comprendere è l’ansia di doversi mettere in bocca la bionda, come se non esistesse nient’altro. Un giorno ero in pausa pranzo con due colleghi, quel turno era un sabato straordinario e, dovendo lavorare meno ore del solito, in luogo della canonica ora di relax c’era solo mezz’ora. Ho visto lui e lei ingoiare il pranzo senza masticare, bruciare l’esofago coi bocconi appena scaldati dal microonde, perché dovevano correre fuori a svampare nel poco tempo restante.

E che dire del Polacco e Patti Smith al cinema? Nei 5 minuti di intervallo ogni volta li vedo correre fuori ad aspirare. Maremma tabaccaia, due ore di fila non resistete?

I pendolari sulla banchina, in attesa del treno: meravigliosi. Un viaggio di soli 20 minuti, nell’attesa devono fumare comunque. E poi, regolarmente, buttare la sigaretta neanche a metà perché arriva, incombente, il treno (poi si lamentano che hanno già consumato il pacchetto, con quello che costa!). In quei frangenti non capisco se è più l’esigenza di fumare o l’ansia di dover attendere senza far nulla. In quest’ultimo caso un po’ lo capisco, anche io, a volte, non riesco a stare con le mani in mano e mi ritrovo a giocare con lo smartphone o col lettore mp3. È la società moderna, comprendo. Ha ritmi tanto serrati che ci ricopre di un vestito di disagio quando ci ritroviamo in nullafacenza solitaria. Però per l’appunto, gioca con lo smartphone, o pendolare, mio pendolare!

Per non parlare delle conversazioni in treno con la Giovane Maga Nera, che mi raccontava della sua sigaretta elettronica, delle sostanze contenute nella soluzione da vaporizzare che si era fatta calibrare a livello molecolare, del numero di tirate ogni tot minuti che doveva fare e così via. Non ascoltavo discorsi così deliranti da quella volta che la radio mi si bloccò su Radio Radicale durante un discorso dell’On. Razzi.

Insomma, fumare dovrebbe essere un piacere (giusto o sbagliato o deprecabile che sia); io ad esempio ogni tanto vorrei provare i sigari, sedermi in poltrona con fare contemplativo e godere i piaceri del “fumare lento”. Ma se deve essere una fissazione, che piacere è? Il fumo dà dipendenza, ok, ma se ne fumi un pacchetto al giorno ci credo! Forse se non ho mai avuto la dipendenza sarà questo il motivo

Niente cavallo, l’ex principe azzurro viaggia in treno

Capita, durante un viaggio in treno, di trovarsi seduti di fronte a una ragazza carina, interessante, o che colpisce per qualche particolare, come, ad esempio, il libro che legge in quel momento. In queste occasioni provo a immaginare chi sia, che vita faccia, trovandomi a vivere una sorta di amore platonico che dura fino a quando lei non scende dal treno, momento in cui la memoria ram del mio cervello si riazzera.

Mi succede solo con alcune tipologie di ragazze, con un qualcosa che mi spinge a pensare che siano delle romantiche sognatrici: è solo un’impressione, ovviamente, l’apparenza – si sa – inganna. Ma tanto, comunque, si tratta di una finzione, quindi potrebbero benissimo essere così o non esserlo contemporaneamente, è un gatto di Schrodinger.

Romantiche, sognatrici e in attesa del principe azzurro che le porti via dalla loro quotidianità e le salvi. Anzi, basta col principe azzurro: innanzitutto, è ridicolo andare vestiti con quel colore, in secondo luogo, basta coi nobili, spazio alla meritocrazia. L’eroe dovrà essere un cavaliere errante, neanche tanto senza macchia e senza paura; sarà un antieroe, uno che impreca quando qualcosa va storto e che ruba le mele da un frutteto per fare uno spuntino. Agisce per suo interesse, ma è capace di sorprendenti gesti d’altruismo spontanei. Ecco, è questo l’eroe che la solitaria pendolare vedrà apparire un giorno, nell’affollato vagone del treno.

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by Ken Andrea Federico

Chi rade il barbiere?

Chi rade il barbiere? Ci si domandava in un celebre paradosso di Russell.

A prescindere che si rada da solo o meno, il barbiere è da secoli una figura cardine della società. Confessore laico, nella sua bottega accoglie clienti di ogni età ed estrazione sociale, ascoltando senza proferire giudizi i discorsi del cliente di turno sulla poltrona.
Non che egli resti in silenzio tutto il tempo, anzi: il barbiere conosce le parole giuste per intervenire in qualsiasi discussione.

Ricordo quando gli raccontai della mia tesi di laurea, che comprendeva uno studio su Città della Scienza (rip) e la riqualificazione di quell’area; lui ci pensò su e poi disse: ah…ma è dove stanno quegli scheletri di capannoni alti alti che fanno impressione, che sembrano usciti da quei fumetti di fantascienza perché sembra che stai in un’altra dimensione?
Qualcuno potrebbe sorridere per questa definizione, io invece non avrei saputo dir di meglio. Non l’avevo mai analizzata come un trip lisergico. Pensiero laterale.

Esiste una regola non scritta nella bottega del tonsor: è uno spazio per uomini. Le donne non entrano, i bambini piccoli o vengono accompagnati dal padre/nonno oppure le madri li lasciano lì, vanno a fare le loro commissioni e dopo passano a riprendersi i pargoli. Non è chiusura o altro. È più una questione di intimità.

Ecco, stamattina un giovane maschio fresco maturando ha violato tale intimità, presentandosi con giovane fanciulla a fargli compagnia. Mentre pensavo a qualcosa di caustico da scrivere poi sul blog (quando mi annoio osservo e commento il mondo), il nuovo giovane assistente del barbiere richiama la mia attenzione tozzoliandomi* sul ginocchio, perché era il mio turno. Sarò stato appunto colpevole, forse, di non essere stato molto attento, fatto sta che il giovane padawan, sicuramente fresco di allenamento con delle pecore, mi sottopone a una tosatura veloce e violenta, manovrando la macchinetta come un decespugliatore. Il trattamento migliore l’ho avuto sul finale, quando ho poi chiesto di rifinirmi la barba: con la lametta a secco e contropelo mi ha strappato via l’epidermide dal collo in un paio di secondi.

Morale della favola: esiste il karma. Volevo ironizzare su uno che si porta la ragazza dal barbiere, sono stato punito. Perciò, non fatelo mai.

Per finire, un altro insegnamento morale (questa volta un po’ più serio)!

Non ha senso, quando ci si alza dalla sedia del barbiere, guardarsi allo specchio e passarsi la mano sul capo, esaminando il taglio dei capelli e la diversa pettinatura, e invece all’uscita da una lezione e dalla scuola non guardare subito in se stessi per apprendere se l’anima abbia deposto qualche peso soverchio e superfluo e sia divenuta più leggera e più dolce. (De recta ratione audiendi, Plutarco)

* voce del verbo tozzoliare. Immaginate qualcuno che vi tocchi facendo pat pat per richiamare la vostra attenzione. Ecco, quella persona vi sta tozzoliando.

La solitudine delle mie sensazioni

D’estate, verso sera, mi piace sedermi sul davanzale della finestra della mia stanza e leggere. Un po’ perché mi sento figo e mi sparo le pose (ma tanto non mi vede nessuno, quindi è solo masturbazione), un po’ perché mi piace godermi l’arietta al tramonto.

È stato in quel momento, oggi, che ho realizzato cos’è che sento che manca nella mia vita. L’ho compreso quando ho chiuso il libro e ho guardato il cielo che da rossastro sfumava via via nell’azzurrino fino a farsi più scuro.

Io sono solo.

Ci sono determinati momenti in cui vorrei accanto una persona che provi le mie stesse emozioni per condividerle: quando guardo un tramonto (che poi il tramonto da casa mia fa cagare, a parte che manco lo vedo il sole, chiuso come sono dall’autostrada e dai palazzi), il mare, quando nell’aria, dopo la pioggia, c’è odore di terra bagnata, quando guardo due tizi che fanno canottaggio nei Navigli di Milano

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Ok, l’ultima non è poetica, ma quando li ho visti mi veniva da sorridere.

Comunque, più della mancanza di contatto fisico, più della mancanza di qualcuno che ti dica quanto ci tiene a te e così via, sento la mancanza di qualcuno che veda con i miei occhi e senta ciò che provo. Le mie sensazioni soffrono di solitudine.

L’apatia tutte le feste si porta via

Senza titolo-1Sta per concludersi anche questa seconda tornata lavorativa. Davanti a me c’è la prospettiva di sicuri 60 giorni di pausa forzata e poi, forse, l’attesa di una ulteriore convocazione.

Non so se sperarci o meno, visto che già la prima volta ero arrivato in scadenza di contratto con la sensazione di aver dato tutto e non aver più nulla da esprimere per migliorare, sensazione da cui sono ripartito in questo secondo contratto. Ho la sensazione che una eventuale terza chiamata  somiglierebbe a un lungo stillicidio. Ma, del resto, con questi chiari di luna, sarebbe in realtà una benedizione.

“È comunque un’esperienza importante su cv” ti dicono. Sì. Ma io non sono più stato chiamato da nessuno. Nessuno. È vero che ho diminuito drasticamente il numero di cv inviati, ma è anche vero che mi sono concentrato su determinati settori, onde poter sfruttare l’esperienza attuale. È ciò che consigliano tutti: non inviare cv a raffica ma candidature selezionate e mirate. Sì, col cazzo. Secondo me questa è una voce che hanno messo in giro i selezionatori HR con la semplice speranza di veder diminuire il numero di cv che si trovano ogni giorno di fronte.

Anyway, che diavolo farò questa estate? I don’t know. Vorrei applicarmi in qualcosa di produttivo, un corso di formazione, un corso di lingue, una qualche esperienza non precisata che mi permetta anche di guadagnare qualche soldino (le 3 cose che ho fatto l’estate scorsa), ma poi non vedo nulla di interessante. O forse è solo l’apatia. Guardo il tempo che passa e mi sembra tutto così vago e inutile, mi sembra di avere una maschera di carta velina addosso che alla minima folata di vento mostra la realtà, cioè il nulla. Sono circondato da esperienze nulle. Come questa che corre sul filo di un niente, che ho provato a tagliare tante e tante volte, ma che mi si lega ogni volta.

Un esercito di giorni tra me e me stesso

Non ho più il coraggio di scrivere qui sopra. Una volta, anni fa ormai, scrivevo qualsiasi cagata mi venisse in mente e magari, quando non volevo rivelare troppo di me, la celavo dietro qualche contorta metafora, così da soddisfare il bisogno di esternare qualcosa senza dichiararlo apertamente.

Ora non mi attrae più questo gioco. O meglio, ho come un blocco. Mi sembra così ridicolo, poco serio, scrivere un paio di amenità pseudo complicate. Eppure  nella testa ho come un imbuto dove man mano che il contenitore si restringe si affollano cose e cose e cose che vorrei far scorrere e liberare.

Poi ci ripenso. E non voglio più raccontare nulla e tiro dritto.

Vodafone, ci lasciamo così, senza neanche una chiamata

Ho deciso di passare a Wind, le tariffe Vodafone mi hanno stancato, soprattutto ora che mi serviva una tariffa per internet dal telefono.

Però credevo ancora nella leggenda metropolitana cui accennavo quasi un anno fa: cioè che, quando si è in procinto di separazione, arrivino a supplicarti con qualche offerta per non perderti.

Nulla.

No, dico, ho questa sim Voda dal 2003 e, prima ancora, ero cliente Omnitel. Sempre fedele. Niente, neanche una telefonata, uno sms, ci lasciamo così e non mi chiedono neanche spiegazioni, non fanno un tentativo per farmi desistere, niente.

Settembre

Ogni volta che arriva settembre mi sento carico di buoni propositi e intenzioni; è come se fosse il 31 dicembre, sarà il ricordo non sopito degli anni della scuola dell’obbligo, con settembre che fungeva da spartiacque dell’anno .

Puntualmente, poi, delle 100 cose che penso se arrivo a farne una è già tanto.