Sento ripetere, a mo’ di training di autoconsapevolezza, Ne usciremo. A volte la frase è declinata in interrogativa. Ne usciremo?. A me questo fa tornare sempre in mente un episodio allucinato e a tratti allucinante di qualche anno fa.
Paesi Bassi. Novembre a temperatura soggettiva: autoctone in minigonna senza calze, noialtri quattro sbandati imbottiti come omini Michelin.
Una sera decidemmo di testare una specialità dolciaria locale, venduta in un coffee-shop la cui proprietaria aveva le sembianze della strega di Biancaneve.
La megera ci raccomandò di non mangiare la torta spaziale a stomaco vuoto, di assumerne piccoli pezzi per volta a intervalli di tempo distanziati, di accompagnarla con l’acqua e, soprattutto, di non fumare le sigarette che fanno ridere prima e dopo.
Noi facemmo tutto – ma proprio tutto – il contrario di ciò che disse perché le fiabe ci hanno insegnato di non fidarsi delle vecchie dai capelli lunghi e bigi.
Ho sparsi ricordi di come proseguì la serata. Ad esempio rammento che qualcuno per scherzo aveva reso verticali le scale, costringendomi a scalarle come Spiderman. Oppure che, sempre per farsi due risate alle mie spalle, qualcuno aveva nascosto nel buio dei cervi fatti di tubi al neon – tipo luminarie di Natale – e con delle ruote al posto degli zoccoli. I neon-cervidi ogni volta che chiudevo gli occhi percepivo che – di Spiderman avevo preso anche i sensi di ragno – provavano a investirmi.
Uno dei miei compagni d’avventura, in piena trance psicotropa, seduto sul letto con la schiena poggiata alla parete fissava il vuoto e chiedeva di continuo Ma ne usciremo?.
E ricordo che ogni volta che mi giravo a guardarlo mi procurava il panico.
Tornammo nei giorni successivi altre due volte in quel coffee-shop. E due anni dopo ci ripassammo. Ma nelle nostre visite non trovammo mai più nessuna traccia della vegliarda di quella volta.
E la gente vuole sapere da me se ne usciremo?
Il problema non è se, ma come!
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Annamo bene! (cit)
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