Non è che il cimitero sia un posto underground

Per chi ama un certo tipo di musica va messo in conto che il concetto di ‘underground’ non ha riferimenti metaforici ma è da intendersi alla lettera. Il fruitore di concerti –  che per forza di cose non dovrà soffrire di claustrofobia e/o attacchi di panico, altrimenti è meglio che cambi genere – deve abituarsi a locali sotterranei che in certi casi definire dei ‘buchi’ è anche un complimento.

Il microclima all’interno, possa soffiare anche il vento siberiano fuori, è sempre a livelli amazzonici. C’è anche quell’umidiccio tipico della foresta, poi ti rendi conto che è solo sudore (tuo e degli altri) che condensa su soffitto e pavimento.

Il calore, come in un’incubatrice, favorisce la crescita. Dei prezzi. Acqua a 2,50 €, nota birra tedesca di Brema a 4 €. Mi fermo perché in genere svengo alla terza riga del listino e non so cosa venga dopo.

L’altra caratteristica di posti del genere è che sono diventati più di tendenza e quindi capita ci sia gente che paga un biglietto non per seguire il concerto ma giusto per stare a pascolare, bere, parlare, passeggiare avanti e indietro pestando i piedi. Pare che stia lì solo perché si ottengono coiti. Solo che non ho mai capito se la musica sia propiziatrice dell’accoppiamento o meno: io mi sono sempre e solo concentrato sul seguire il concerto e sono sempre tornato a casa senza coiti.

Sono stato a sentire un gruppo sabato scorso. In uno dei buchi così descritti. Si esibivano gli I Hate My Village, gruppo formato da Fabio Rondanini (Afterhours e Calibro 35), Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion), Alberto Ferrari (Verdena), Marco Fasolo (Jennifer Gentle).

Il locale aveva anche dei ventilatori. Li hanno accesi a concerto finito.
Fortuna che mi vesto a cipolla e posso denudarmi. Anche le mie ascelle alla fine comunque erano a cipolla.

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Si accettano miagolii

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