Non è che il dentista ti meravigli perché ti fa restare a bocca aperta

Otorinolaingoiatra.

Insieme a psittaciforme e parasaurolofo era una delle parole che mi piaceva ripetere da bambino perché suonavano difficili.

Non ho mai incontrato un parasaurolofo ma l’altro giorno ho avuto un incontro ravvicinato con un otorinolaringoiatra.

Le mie tonsille risultano comprensibili quanto un discorso di Manlio Sgalambro: sono alquanto criptiche. Negli ultimi tempi tendono inoltre ad accumulare placche asintomatiche. Secondo l’otorinolaringoiatra si tratta soltanto di un problema estetico, senza complicanze per la salute.

– È solo una questione estetica che si può risolvere benissimo con un intervento di chirurgia non invasiva, che si svolge in anestesia locale e che consiste in bla bla bla le cripte tonsillari bla bla bla

Avevo smesso di ascoltare con attenzione perché nella mia mente mi stavo chiedendo chi mai si sottoporrebbe a un intervento estetico alle tonsille.

Certo potrebbe dar finalmente un senso all’affermazione di esser belli dentro – giacché chiunque può vantarsi di ciò senza tema di smentita essendo cosa difficile da verificare – , col vantaggio di poter anche fornire una prova: a chi non non presterebbe fede alla mia bellezza interiore, mostrerei orgoglioso l’epiglottide decorata dalle mie formose tonsille 90-60-90.

Ammetto di averci pensato poiché chiunque di noi sogna di potersi abbellire in qualche modo. Non ci garba ciò che la natura c’ha dato. Siamo umani. Sciocchi umani attaccati alle cose superficiali.

Un animale non si rifarebbe mai le tonsille. Detesto dire che siano meglio delle persone, ma io penso che siano meglio delle persone che dicono che gli animali sono meglio delle persone.

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Mare basso. 2018, Smartphone rotto, diaframma anticoncezionale con ripresa in quattro tempi + 1 supplementare con tiro libero allo scadere

“Il gabbiano sa che la bassa marea sarà seguita da un’alta marea”. Aforisma di Jonathan Livingston.

Quanta saggezza in così poche ali.

Un’otorinolaringoiatra saprebbe esprimersi allo stesso modo?

35 Pensieri su &Idquo;Non è che il dentista ti meravigli perché ti fa restare a bocca aperta

  1. Sottolineo la facezia che richiama all’insano gesto di iniettarsi pericolose tossine per lo spirito di abbellire la propria figura, quando cioè la vita vale meno dell’estetica, magistralmente dimostrato da un pregioso, quanto preciso, scatto fotografico.
    È proprio in questo sappia che richiama le seppie che, all’imbrunire si palesano tra gli scogli vicino alla riva, che si comprende quanto col poco ci sia invece tanto e qui la metafora si sposta, si allarga: dalle tonsille si passa al gabbiano, fratello sgraziato del già molto sgraziato a terra albatros. Ma come il possente pennuto, imponente in aria e goffo a terra, il gabbiano dà il meglio di sé quando si libra nel cielo; terrore e fierezza accompagnano il suo grido, di nuovo sgraziato, ma è proprio da questo che noi ricaviamo la lezione maggiore. Quella che umilia il nostro ego ipertrofico, costringendoci ad osservare il mondo dal basso.

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    • Un momento, però. Non possiamo, ogni volta che si parla di gabbiani, albatros e pulcinelle, riproporre la vecchia teoria igoriana che vede in questi amabili pennuti l’avvento di una nuova coscienza.
      Lungi da me ritornare al cane che uggiola come la carrucola cigola, ma ritengo azzardato assegnare così tanta libertà a queste creature, pur sempre schiave del nostro pattume e dei nostri tramezzini – per non parlare della loro suscettibilità ai quadrelli di balestra.
      Lo stimato Pizzignach del resto nota come talvolta i più intransigenti tra loro rapiscano gatti e piccoli cani, e osserva come questo comportamento possa essere dettato, più che dalla fame, dalla frustrazione nel rendersi conto di essere pur sempre dipendenti da altre creature – per quanto frivole e volubili come possono esserlo i sapiens.

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      • Tutto vero, tutto giusto. Devi però considerare che compito dell’arte, e di chi la commenta, è quello di comunicare, di rendere e rendersi comprensibile ai piú. Per questo si usano metafore ed allegorie al cui grande pubblico è abituato. Avrei potuto citare il “gatto di Volterra” oppure Cagliostro, certamente, ma quanti avrebbero capito? Avrei avuto bisogno di uno spazio ulteriore e questa non può, purtroppo, essere sede di tali dissertazioni elevate.
        Col tempo sono sicuro, però, che il livello si alzerà sempre piú, consentendo l’utilizzo di strumenti e figure sempre piú precisi e stimolanti per tutti.

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        • No, non sono d’accordo. Proprio perché l’arte deve comunicare è necessario che il nostro pensiero sia non solo preciso ma esatto – per quanto ce lo conceda una realtà che esatta non lo è.
          La tua risposta a me sembra o inesatta o, peggio, pericolosa.
          Quel voler fare uso di metafore per il “grande pubblico”, come lo chiami tu, a me sembra nasconda un malcelato atteggiamento di superiorità, quel patetico (nel senso di paskho) sconforto dell’artista che pensa di dover parlare di mele per spiegare l’albero della vita al contadino. Boris Arvatov, che pure partiva da una posizione più vicina al popolo e con intenzioni senz’altro migliori delle tue, la pensava pressoché allo stesso modo, e infatti abbiamo visto com’è finita.
          Il tuo “gatto di Volterra” poi mi convince ancora di più della tua malafede. Un esempio totalmente scollegato dal discorso, un ipse dixit così fragile che tenta, inutilmente, di spostare la discussione sul punto che evidentemente ti preme di più dimostrare: una presunta autodeterminazione che non appartiene più a questo mondo da parecchio tempo. Il sangue del gatto, tanto per continuare la tua metafora, è inutile se poi cola via.
          Cagliostro… davvero devo commentarlo? Giustifico il suo “bel mare” solo con la sifilide che gli stava ormai divorando il cervello.

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          • Qui, caro il mio, stai proditoriamente mescolando pensieri e categorie. Il mio discorso non verteva sull’Arte in sé, maiuscola, bensí sulla divulgazione della stessa. Anche solo su di una sfaccettatura del cristallo complesso che l’Opera rappresenta.
            Non sono io artista che si erge al di sopra del pubblico, quanto piuttosto pontefice tra i due mondi: quello idealizzato e superiore dell’arte, quale che siano i temi o gli intenti, dato che l’arte sovraelevata alle questioni quotidiane, INNALZA le questioni quotidiane, e quello di tutti i giorni. La vita che noi tutti, artisti, critici e pubblico, trinità concettuale monocratica, esperiamo ininterrottamente.
            Difendo il punto del Gatto proprio in virtú di questo mio approccio ed intento divulgativo.
            Arvatov mi citi tu. Ed io allora ti chiedo di Camus e del suo “assurdo” e voglio vedere cosa hai da dire su di lui.
            Sorvolo sulla tua stoccata sul “mal francese” o “mal napoletano” chiaramente diretta alle origini partenopee del nostro Gintoki.

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            • Rispondo subito all’ultima affermazione così ce la leviamo di torno. Stoccata sulla base di cosa? Quello che tu chiami “mal napoletano” in Russia lo chiamano “mal danese” e non credo di insultare la buonanima di mio nonno nativo di Arhus se parlo di sifilide.
              Veniamo al resto. Se rileggi il mio commento ti accorgerai che parlavo di comunicazione fin dall’inizio. Mi fa piacere sapere che, bontà tua, sei solo un umile intermediario tra l’ArTe (perché non anche una T maiuscola?) e la vita quotidiana! Pensavo di avere a che fare con un parnassiano e invece mi ritrovo con un dickensiano dell’ultima ora dalle tendenze messianiche. Perché, perdonami, ma sento comunque un eco di “buona novella” nelle tue parole.
              Ad ogni modo, la sostanza non cambia. Proprio perché ti ritieni un messaggero dovresti imparare a comunicare meglio il tuo messaggio, preoccupandoti più di come appare il contenuto che di come appari tu. E infatti dopo l’ipse dixit passiamo al non sequitur (seguendo il sentiero latino arriveremo anche al cupio dissolvi?) e vediamo che ti ostini a difendere il “gatto di Volterra” anche se questo non ha alcuna attinenza con quello che stiamo dicendo. O pensi forse che il gatto che si annulla sul selciato abbia un valore salvifico? Mi citi l’assurdo di Camus e mi vedo costretto a spiegarti che è proprio quello il punto del Gatto. Esso sa che non può sopravvivere da quell’altezza e, riflettendo sul come sia finito in quella situazione, ne vede l’assurdità intrinseca senza tuttavia disperarsi: l’accetta come parte della sua esistenza, con serenità. E in caso si fa anche una grassa risata.

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              • Sorvolo sull’artifizio, vecchio come la retorica dell’evocare un parente, continuando a mischiare i contesti.
                Ognuno sente ciò che vuole, quindi l’eco messianica esiste solo nella tua, pur sempre pregevole testa. Ti inviterei a leggere i volumi divulgativi di Asimov e di Feynman, tra l’altro QED dovrebbero leggerlo tutti per guarire dalla naturale, roussiana oserei, condizione di crassa ignoranza. Vedrai, che il divulgatore deve per forza svilire l’opera che divulga e, gradino dopo gradino, a seconda della vastità, o della capacità del pubblico cui ci si rivolge, ampliare e rettificare, tendendo alla precisione ed esattezza che tu reclamavi. Restituendo la completa dignità, nonché impareggiabile importanza, che ai livelli “inferiori” non è possibile osservare. E godere. Perché l’arte, come la scienza o qualsiasi altro ramo dello scibile, è piacere prima di tutto. Ma non tutto può piacere allo stesso modo, non tutti possono conoscere già cosa può piacere. Da qui il mio intento di avvicinare soprattutto chi non vorrebbe avvicinarsi. Forse in questo tu ci vedi l’intento alla “Buona Novella”?
                Tornando al Gatto, mi dispiace che ne parli senza considerare “Gli insondabili” di Cesare Arturo Sørensen, direi pietra angolare del paradosso del Gatto di Volterra. Su Camus e il suo assurdo potresti leggerti l’esegetico “La disciplina della fica” del sempre ottimo professore Vincenzo Rubens.

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                • Ho seguito con attenzione il vostro dibattito e debbo dire che seppur forniate degli spunti interessanti ahimè tendete a mancare un punto fondamentale e cioè che l’autore, cioè il sottoscritto, cioè in realtà l’autore, sta parlando di pene. Membro virile, insomma. Il gabbiano qui è allegoria del Membro, goffo e sgraziato a riposo, come evidenzia l’ysingrino, aggressivo quando si libra in alto seppur dipendente da situazioni frivole e volubili per il proprio erigersi, come evidenziato dal Tessitore. E il proprietario in ciò è impotente -notare l’ironia!- e allora del membro ne osserva un simulacro – qui cito il Baudrillard- un pene non reale ma illusorio, un meta-pene che utilizza per immaginare le penetrazioni che non ha. E qui casca l’asino! E non il gatto, che non era a Volterra, quantunque il felino sia stato adorato dalla popolazione Etrusca non era animale di fatica, come invece si qualifica l’asino, avvezzo a portar un pesante fardello. Notare qui l’allusione, pesante fardello = grosso fallo, di cui è noto l’equino sia dotato e ne sopporti il peso e a questa immagine si rifà il Priapo pompeiano ritratto nell’atto di pesarsi il grosso fardello. Priapo asino di certo non era un asino, ma in epoca Romana non si dava al somaro la connotazione negativa che ne diamo oggi, le valutazioni cambiano a seconda delle epoche. Oggi ad esempio siamo pronti a una rilettura di Freud e ad ammettere che peccasse di asineria -nel senso moderno del termine in questo caso – talvolta, come quando -questa è storia- convinse un paziente che aveva come sogno ricorrente quello di trovarsi alla finestra dei lupi feroci, che da bambino aveva assistito a un coito a tergo tra i suoi genitori e che lo avesse rimosso consciamente relegandolo nell’inconscio sotto forma di canide. Cosa c’entra tutto ciò? Se il mondo ha accettato i lupi freudiani come schermo di coiti violenti, voi due non potete accettare i miei asini e i miei gabbiani del cazzo?

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                  • Nient’altro da ribattere né da obiettare di fronte a tale potente disamina scritta proprio dall’autore di questo splendido scatto ed accompagnato dalla riflessione che tanto ci ha dato da discutere.
                    Io mi sento di essere molto piú elevato di quanto non lo fossi prima di leggere e il tuo articolo e le articolate risposte del Tessitore.
                    O forse è solo un’illusione del cazzo.

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  2. Una parola che mi fa ridere ( e non chiedere “perché?”, prendi tutto come un dato di fatto!) è CAPROLATTAME, che secondo me funziona molto bene come insulto nascosto.
    Il gabbiano Jonathan Livingston… da una vita non ne sentivo parlare… come mai?

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  3. Una volta ci toglievano le tonsille a cinque anni, perché non servivano ad una mazza, dicevano. Quanto si sbagliavano! Quante tonnellate di antibiotici, o di medicine omeopatiche, o persino (apprendo da te sperando non sia una feich gnius) la chirurgia estetica non ho consumato? E’ colpa dei tonsellictomizzati se l’economia non va come deve andare. In quanto a te, se la tonsilla brutta ti crea disagio migliorala pure, non devi vergognarti.

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  4. Pensa che stavo per fermarmi a Manlio Sgalambro (nome eccezionale). Invece sono arrivato in fondo, e ne gioisco. Stanotte sognerò erezioni di gabbiani e tonsille al botulino, ma me ne farò una ragione.

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