L’anno scorso, durante le pulizie decennali, misi in vendita alcuni manga. Un tizio che prese contatto con me, dopo aver concordato la transazione, mi scrisse poi
– Spero che tu non sia un truffatore
Faccia triste compresa. Al che ero molto tentato di rispondergli
– Oh no! Pensavo di essere riuscito a gabbarti, invece sei troppo furbo per me!.
Mi ricorda quelle signore che dal salumiere o dal macellaio dicono
– Mi dia un etto di…Ma è buono?
E io vorrei che un commerciante, in nome di tutti gli operatori alimentari che se lo sentono chiedere, rispondesse, per una volta:
– Guardi signora, è proprio una merda, speravo di sbolognarglielo.
Ho un rapporto ostile con le ovvietà, le domande retoriche e/o banali. Il sarcasmo becero è la prima reazione istintiva che provo.
Mi ricordo poi quando mi avviavo verso la porta di casa, abbigliato non certo in modo casalingo, e Madre chiedeva
– Esci?
– No, Madre, questa è la mia tenuta da giardinaggio. Dicono che alle piante bisogna parlare, ma credo sia necessario anche un abbigliamento adeguato, non trovi?
Che dire di quelli che, quando su un treno a lunga percorrenza in prossimità della tua fermata tu ti alzi e ti avvicini alla porta, ti arrivano da dietro chiedendo
– Scende?
– No, guardi, mi piace contemplare la porta che si apre e si chiude. Mi ricorda la caducità dell’esistenza.
Ma l’esperienza in realtà insegna che non bisogna mai, mai porre limiti con le persone.
L’esempio che porterò sempre con me è quello fornito da un aneddoto che, a distanza di anni, ancora raccontano i miei e i loro amici, riguardante un loro amico noto per esser astuto come un cervo.
Una sera, incontrandosi in piazza come sempre, costui chiese ai miei:
– E il piccolo Gintoki (allora avevo 3 anni) dove lo avete lasciato?
Padre, per far lo spiritoso, disse
– L’abbiamo mandato al cinema
– Ah, c’era qualche film della Disney?
E allora mi ricorderò sempre di non dar mai per scontato fin dove possano spingersi le domande altrui.