Il ritorno al lavoro dopo un periodo di ferie è un evento traumatico, in genere. È una sveglia del lunedì mattina moltiplicata in modo esponenziale.
È una cefalea pulsante.
È un programma televisivo pomeridiano dove una donna racconta di essersi ripresa da una sbronza dopo che le è apparso Paolo Brosio e il pubblico inquadrato si commuove e fa anche l’espressione di chi non si accorge di essere inquadrato.
Per me non è così.
Sono il tipo di individuo che, sin dai tempi delle scuole elementari, vive il rientro con positiva agitazione.
Nei giorni precedenti avverto tristezza per la fine delle vacanze, ma quando è il mattino del ritorno al dovere mi ritrovo invece piacevolmente ansioso di ricominciare, rivedere persone note con cui condividere esperienze, scoprire le novità che il nuovo inizio porta.
Tale fanciullesco entusiasmo si è poi ogni volta rivelato effimero. Durava il tempo necessario per tornare a odiare le persone note e le esperienze color marrone che le riguardavano. Senza considerare che le uniche novità che la vita offre si trovano al massimo nel volantino di un supermercato che deve liberarsi dalle eccedenze di magazzino spacciandole per nuove offerte.
Durante il periodo della scuola, il ritorno dopo le vacanze di Natale significava fare i conti con i termosifoni che non funzionavano a dovere, essendo stati spenti per due settimane. È ciò che sta accadendo anche in questi giorni in vari istituti lungo lo Stivale. È bello vedere una continuità storica tra le generazioni.
Quando ero a scuola io però nessuno mai ha sollevato polveroni per il fatto che in classe eravamo costretti a stare col cappotto.
Anche perché probabilmente visti i nostri edifici sarebbero stati polveroni di amianto e non era il caso quindi di sollevarli.
Alle elementari per esorcizzare il gelido periodo alcuni di noi inventarono “La Banda FBI”, con un arzigogolato collegamento logico.
Si sa che gli investigatori vanno in giro sempre in cappotto o impermeabile anche a Ferragosto. Tanto per loro poco cambia perché in qualsiasi periodo dell’anno c’è buio e/o pioggia e/o freddo. Ebbene, noi che indossavamo il giaccone in classe e nei corridoi eravamo quindi come dei detective.
È un po’ come dire che mettendosi una boccia di vetro in testa si è un astronauta. E solo ora realizzo che questa sarebbe stata un’idea più divertente di quella dei detective.
Domanda: ma se tutti indossano giacconi e cappotti cosa rendeva degni di appartenere “all’FBI” solo alcuni?
La simpatia.
Una delle regole non scritte del mondo infantile è che qualsiasi decisione viene presa democraticamente a simpatia. Se piaci sei dentro, se non piaci sei fuori. Insomma, le giurie popolari non le hanno inventate mica gli adulti.
E io piacevo o no?
Io a dire il vero sono sempre stato “un tipo” e quindi andava come capitava.
Alle volte ero dentro, altre volte ero fuori.
Ironia della sorte quando crescendo si è cominciato a parlare di ragazze mi sono sentito anche io, come tanti, dire “Sei simpatico, ma…” al che ho replicato “Allora se ti sto simpatico formiamo una banda!” ma lei mi ha guardato strano ed è fuggita.
Per la cronaca, fui “dentro” l’FBI, ma solo perché avevo un bel giaccone che aveva anche uno stemma sul petto all’altezza del cuore che sembrava tanto un distintivo. Ebbi quindi il dubbio che non fossi io quello simpatico alla banda, ma il mio giaccone, e provai un sentimento di rancorosa invidia.
Ce l’ho anch’io un impermeabile da FBI, ma quando lo indosso mi sento di più l’Ispettore Clouseau.
Buon lavoro 🙂
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L’ispettore Clouseau aveva stile, non scherziamo! Massima stima per l’impermeabile.
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Blet-blet.
Vissuto l’entusiasmo tutte le volte sino a pochi secondi dal fatidico rientro ma poi… GNEEE!
Mai avuto giacconi belli, io.
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Sob! Mi dispiace assai che tu non abbia avuto un bel giaccone! Vado a emendarmi.
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Emendiamoci, sí.
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Orcaloca…
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Entusiasmo? Zero. Il rientro è traumatico. I giorni prima mi prende lo sconforto e poi rientro e mi viene la nostalgia dello sconforto precedente. Una vita grama.
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Non so ma immagino il tuo risveglio il giorno del rientro con animo bendisposto e affabile come in questo video!
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Esatto. Proprio quello!! Animo sereno e tranquillo 😀
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Non avevo pensato alla continuità storica tra generazioni… bello! E’ l’unica che c’è, credo, perchè col registro elettronico li hanno fregati per benino, ‘sti ragazzi!
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Sono contento di non aver vissuto questa sciagura.
Insomma, un tempo potevi gestirti le cose con calma, io ero uno che studiava ma con criterio, cioè studiavo solo le materie urgenti. La rotazione delle materie mi permetteva però di rimanere aggiornato su tutto.
Il sistema poteva non funzionare a dovere e capitava qualche svarione, leggasi, un 4 o un 5. Ma te lo gestivi tu quando e come recuperare e alla fine dell’anno infatti avevo sempre 7.
Col registro un dramma! Appena appare il 4 il fatto è noto e la tua gestione intelligente delle risorse va a pallino!
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beh io sono una mamma democratica e non discuto granchè, anche perchè mio figlio è abilissimo a farmi notare che alla fine lui porta a casa sempre i suoi sette (e anche otto).
Però immagino come deve essere con certi genitori….
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Sì poi figuriamoci ai tempi di oggi, se il figlio prende un 4 il primo problema è l’insegnante, non è ammissibile che il figlio non abbia studiato.
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esatto… odio questo genere di cose!
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anch’io feci il periodo scolastico in trench stile bogart. che tempi, che tempi! (leggi: che ridicolo, che ridicolo, a ripensarci oggi)
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Ma all’epoca veniva apprezzato dai compagni?
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mah, diciamo che eravamo in pochi e facevamo un po’ storia a parte. era uno stile come altri, in fondo, ma segnava – consciamente o inconsciamente – l’appartenenza a un gruppo (aggiungo: con una nenache troppo velata tendenza politica. il trench, una sorta di “epigono in stoffa” dell’eskimo 😀 , segnava la netta contrapposizione con chi indossava il bomber)
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… mi son tornate in testa le mattinate a scuola, passate con cappotto e guanti ( e sciarpa e cappello), perché nel nostro liceo i lavori venivano fatti puntualmente in inverno ( cambio pavimentazione, aggiustamento finestre di carta…) contando che si trattava di una scuola di Cuneo… e lavorare la creta, a gennaio, senza le finestre… non era bellissimo!
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Però potevate fare un presepe vivente molto realistico a dicembre, al freddo e al gelo!
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Divertente… Molto divertente😐
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Adesso puoi guardare a quei ricordi con altri occhi, però!
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Ma ho amore gli stessi!… Tu li hai cambiati?
( no, per usata mi picchio da sola!) 😁
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Per minimizzare il trauma del rientro ritualizzavo le miserie del periodo scolastico anche durante le vacanze. Nella mia mente vivevo il tedio delle lezioni, la misera farsa delle interrogazioni, il deprimente interloquire dei compagni: niente doveva essere dimenticato perché non tornasse poi a sorprendere.
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La ritualizzazione delle miserie è interessante, mi chiedo però senza il supporto concreto dell’esperienza scolastica il processo risultava facile o si è trattato di una tecnica affinata solo dopo ripetuti esercizi?
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La tecnica è da subito efficace ma occorre vera motivazione. Preferibile applicarla in una stanza vuota e senza luce.
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E senza riscaldamento. L’ascetismo richiede sacrifici.
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Sacrifici, nudità e superfici abrasive
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