Non è che se entri in un Caffè ti lamenti di quanto scotti

Sono andato ad ascoltare dei racconti in spagnolo in un caffè letterario.

Racconti in spagnolo a Budapest in un Caffè gestito da un italiano.
Mi rendo conto che invece di impegnarmi nel cercare di integrarmi con la società autoctona io vada in senso contrario.

D’altra parte vivo la mia permanenza qui come una situazione di passaggio.
Avevo portato tre libri con me a settembre. Quando sono rientrato in Italia due settimane fa li ho portati con me per posarli e sono rientrato con altri tre nuovi libri.
Faccio inconsciamente in modo di non mettere radici e non accumulare cose.

A proposito di radici, le due piantine che ho in casa e che rappresentano quanto più vicino ci sia al concetto di stanzialità, stanno bene. Ma inconsciamente spero che non siano longeve, forse.

Il contastorie che ha allietato la serata nel Caffè è un messicano che lavora qui a Budapest in un centro oncologico. Poi insegna spagnolo. Poi la sera conta storie.

E dire che io invece a stento trovo il tempo di stirarmi i boxer.


Sì, io stiro pure i boxer perché mi piacciono così.
In questo modo le mie avventure sessuali non hanno mai una brutta piega.


Figuriamoci trovare il tempo per lavorare fuori dall’orario di lavoro.

Invece in società secondo loro dovremmo lavorare anche da casa. Senza straordinario.
Produrre di più.

Io quando ho sentito ciò, sono quindi tornato a casa e ho prodotto molto.
Seduto sulla tazza.

50 Pensieri su &Idquo;Non è che se entri in un Caffè ti lamenti di quanto scotti

  1. Io ho un pensiero che in questi casi mi è sempre di conforto. E’ una cosa che mi ha insegnato un mio collega, più anziano e più saggio. Lui dice che si deve cacare sempre in ufficio, e in quei momenti, seduto sulla tazza si deve pensare…. che bello in questo momento mi stanno pagando per cacare.

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  2. Aggiungo al pensiero di Alidivelluto che quando il capo se la tira troppo, lo devi immaginare sulla tazza, alle prese con la stipsi ed un prolasso. Se è stato malvagio lo puoi immaginare con una ragade….
    Fa passare le arrabbiature in un momento.

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  3. Come artista sono moralmente costretto a non portare biancheria intima nel nome della libertá. Mi chiedo perciò quanto sia profondo il divario nello stile di vira tra chi stira e chi non stira boxers, slyps ecc., ma sicuramente non poco considerando le implucazioni folosofiche, psicologiche e sociali. Un universo sommerso che spero rimanga tale: il mondo non sarebbe pronto a gestire con maturità queste diversità, come purtroppo abbiamo visto con gli scontri sulla carne, le sigarette, la pirnografia

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    • La civiltà odierna, come giustamente evidenzi, è già troppo percorsa da linee di frattura. Meglio non aggiungerne altre. Ben venga il ruolo dell’artista che fa saltare il banco e ci pone davanti la nuda realtà. E dico nuda non a caso.

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      • Una cosa che mi sono sempre chiesto è cosa provano gli artisti circoncisi, con la propria intimità che sperimenta gelidi attriti con la zip. Forse è come un cilicio d’artista, qualcosa leopardiano: meglio soffrire che non sentire, il dolore ci ricorda che ci siamo. A me, però, piace la libertà nel godimento. Godere è più difficile che soffrire, è molto più eroico.

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        • Credo l’artista circonciso si compiaccia nel suo intimo della propria sofferenza, in una sorta di distorsione del concetto “piacer figlio d’affanno”. Lui prova piacere nell’esser artista sofferente e proporsi come tale, ma non è altro che uno scegliere la via più semplice. Esser artista gaudente, questa è la vera sfida.

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Si accettano miagolii

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