Quando mi hanno proposto una gita fuori Budapest ho accettato a scatola chiusa. Anche perché era previsto del vino, quindi occorreva conoscere altro? La risposta è sì, prima di accettare di passare un weekend con cinque uomini scorreggioni e privi di senso organizzativo.
La meta era Szekszárd, una delle tante città piene di consonanti inutili.
Difatti, molto semplicemente, si legge Secsard.
Che suona tanto come Sexhard, particolare che si rivelerà fondamentale.
In auto:
– Allora, ma alla fine sapete di preciso cosa andremo a vedere?
– No
– Come?
– Noi l’abbiamo scelta per il nome: appena saputo di Sexhard abbiamo detto “Bisogna andare!”
– Sul serio?
– Certo! Dai, stiamo andando a Sexhard!
– Ho capito, mi stanno perculeggiando…stiamo al gioco
Invece parlavano sul serio.
Su sei persone, nessuno aveva ben chiaro cosa ci fosse in questo posto.
Szekszárd è questa:

“Dai, carina!”
Ho sbagliato a scrivere.
Szekszárd è solo questa.
C’è più vita nelle foglie morte che nei suoi trentamila abitanti.
Che vivono tappati in casa probabilmente, visto che a qualunque ora del giorno per strada non c’è nessuno. I negozi durante la settimana chiudono alle 17:30. Il sabato alle 12:30.
Esistono due locali di “movida”, che si rubano i clienti a vicenda, visto che quando uno è pieno (per pieno intendo 50 persone) l’altro è vuoto.
L’ultimo turista si è estinto prima della Caduta del Muro, come testimonia questo cartello indicante un ufficio turistico (che non esiste più), rimasto a imperitura testimonianza dell’esistenza, in un’aurea epoca passata, di una vita turistica a Szekszárd:

O forse è un fake di un cartello invecchiato ed è stato posto in epoca recente per inventare un passato che non è mai esistito.
In un sottoscala di uno dei palazzi sulla sinistra della piazza del paese c’è un pubettino.
Appena entrati, la giovane fauna maschile presente ci ha squadrati con occhiate inquisitorie, continuando a fissarci come in un film di Sergio Leone.
La giovane fauna maschile autoctona esteticamente si presenta più o meno simile a costoro:
Che sarebbero Spitty Cash – un ex fenomeno (da baraccone) di YouTube – e un suo sodale.

Tute adidas di acetato, occhi bovini, crani enormi – inversamente proporzionali all’encefalo – pompatissimi ma solo dal petto in su cosa che conferisce loro un aspetto da lampadina a bulbo.
Sono sicuro che voi lettori, dall’alto della vostra mentalità borghese eurocentrica e anche un po’ radical chic commenterete con un Ommiodio! sarcastico e denigratorio, ignorando che, come diceva Madre Teresa, Da che punto guardi il mondo tutto dipende.
Per la giovane fauna femminile locale, esemplari simili rappresentano l’ideale di maschio dominante e appetibile.
Szekszárd comunque è nota per due cose: il vino e l’oca. In piazza, poco più avanti, sotto un tendone c’era una festa dell’oca in cui era presente anche il vino, di pregevole qualità.

L’analisi organolettica non lascia dubbi: è rosso
Il cibo era tutto a base del simpatico volatile: cosce d’oca, soufflé ripieni di oca, paté di fegato d’oca, lángos con pezzi di oca, dolcetti ripieni di fegato d’oca, forse anche i tavoli e le sedie erano di fegato d’oca.
Qualcuno degli autoctoni, come in tutte le feste di paese, ieri sera a un certo punto ha esagerato col vino, diventando molesto. La sicurezza, composta da due omaccioni bovini – probabilmente i padri dei sex symbol che frequentano il pub di cui sopra – lo ha preso di peso, portato fuori dal tendone e abbandonato svenuto su una panchina.
Nota: c’era nevischio e 2 gradi sottozero.
Non abbiamo avuto il coraggio di tornare la mattina dopo a controllare se fosse ancora vivo o fosse morto lì.
Oppure l’avranno usato come ingrediente per il paté di fegato: per strada non si vede anima viva e di oche non ne ho viste in campagna.
Che fine hanno fatto gli abitanti di Szekszárd?