Non è che in bagno tu sia libero di far tutto perché hai carta bianca

L’insospettabile virtù dell’ingannare mentalmente il tempo mentre non te ne cale né tanto né poco di ciò che ti circonda. Un’arte che è sempre bene affinare.

Oggi c’è stato un altro torta-day, per un compleanno di una collega.
Al termine del diabetico lavoro di mascelle, il Doctor Who (il capo) ne ha approfittato per illustrarci le proposte per il nuovo logo della compagnia e la nuova versione del sito internet.

Trattandosi di una novità prevista per un futuro in cui io non sarò più con loro, The Doctah mi ha chiesto di avere comprensione per il fatto che ne avrebbero parlato in ungherese.

Così, da partecipante attivo della concione o brainstorming come dicono tutti quelli che vogliono sembrare al passo coi tempi, sono diventato un semplice figurante, per non dire una sagoma di cartone.

Con in sottofondo un blablagyok e blablakush (ad orecchie estranee così suona l’ungherese) continuo, sorgeva il problema della posa da assumere. Ho preso sottomano il foglio delle proposte di loghi e, con una mano sotto al mento, fingevo di esaminarli con occhio critico.

Trascorsi 10 minuti stavo per assopirmi.
La noia è uno dei miei più grandi nemici e mi attacca con la sua carta più potente: il sonno.

Per tenermi sveglio ho provato ad attivare il cervello tenendolo impegnato. In questi frangenti tendo sempre a pensare a comporre delle liste. Ad esempio, i Presidenti della Repubblica italiani dal 1946 a oggi. Oppure le province italiane, da Nord a Sud. Esercizio più che mai complicato perché le cose sono cambiate molto rispetto a quando 20 anni fa le ho studiate alle elementari. La proliferazione di capoluoghi in Italia è stata tale che oggigiorno è facile ritrovarsi posti che non avresti mai detto, come Vergate sul Membro o Cunnilinguo sul Clito, come provincia.

Purtroppo, queste liste non combattevano l’abbiocco.

Poi mi è caduto l’occhio sul vecchio logo della compagnia. E mi sono reso conto che, stilizzata, al suo interno sia presente una vulva. O forse gli zuccheri della torta Oreush (torta Oreo) mi avevano obnubilato il cervello.


Se fosse qui tra noi, Freud avrebbe sicuramente concordato con me nel vedere una vulva. Anzi, una vulva assediata da un branco di lupi che assistono a un coito a tergo tra un centauro e una silfide, allegoria di un non risolto conflitto familiare presente nell’inconscio.


A quel punto ho iniziato quindi a pensare ai tipi di vulva esistenti. Perché non ne esiste solo una tipologia, anatomicamente parlando, e ogni vulva è bella a donna sua. Ed è un delitto, a mio avviso, che ai ragazzini inesperti come fu per me all’epoca l’industria del porno tenda a presentare invece un tipo di vulva standardizzato. Le attrici ricorrono anche alla chirurgia per avere un “prodotto” conforme a una linea dominante.


È chiaro che il porno stia al sesso come il wrestling alla lotta greco-romana, tutto è costruito secondo dei canoni che enfatizzano o esasperano ogni aspetto degli atti sessuali. È un mondo che deve presentare degli aspetti alienanti; una volta lessi un’intervista su RS di una pornostar – credo si trattasse di Tera Patrick – che raccontava che durante i “ciak” pensava spesso alla spesa da fare o alla cesta di bucato da svuotare.
Se volete leggere qualcosa che mostra con occhio ironico ma attento il mondo che ruota intorno all’industria pornografica, consiglio un saggio di David Foster Wallace contenuto in Considera l’aragosta: Il figlio grosso e rosso, racconto di quando DFW fu presente, come inviato, agli Adult Video News Award, una sorta di Oscar del porno.


Mentre ero intento in queste profonde (quanto un esame con lo speculum) elucubrazioni, CR dice, in inglese, rivolta a me: “L’ha fotografata Gintoki, vero?”

E io sono sobbalzato come se avesse visto nei miei pensieri. E, balbettando, ho chiesto di cosa stesse parlando. Si riferiva alle foto del nostro stabile, che avevo fatto io per una presentazione aziendale.

Interrotto il filo dei pensieri e tornati i colleghi a blablagyokkare, io sono andato in bagno, che è attaccato alla saletta riunioni e separato da essa da una parete sottile quanto un Fassino.

Le tazze dell’Europa centro-orientale hanno una caratteristica: non convergono direttamente verso lo scarico ma hanno una conchetta dove si raccoglie il depositato prima di tirare lo sciacquone.

Non ne capisco il motivo. Forse è per poter dare un occhio alla produzione prima di salutarla definitivamente. Un rimando ai tempi dell’infanzia e del vasino quando il “distacco” è psicologicamente difficile.


Oppure è utile per recuperare gli ovuli di cocaina ingeriti.


Di certo riduce il rumoroso effetto fontanella durante la minzione, anche se vale soltanto per gli uomini. E non per me, perché, essendo io affetto da una sindrome compulsiva che mi porta a voler incastrare ogni cosa al proprio posto, tendo sempre a cercare di centrare il buco di scarico anche al costo di inevitabili contorsionismi urinari.

Proprio mentre mi esibivo in questi esercizi, dall’altra parte hanno cessato di parlare tutti quanti, e nel silenzio generale hanno udito una lunga (effetto del tè verde mattutino) e rumorosa fontana.

Al mio ritorno in sala sono stato osservato. Avrei voluto dire: “Beh? Voi il bagno lo usate solo per pettinarvi?”.

Poi mi sono accorto di aver lasciato la cerniera aperta.

41 Pensieri su &Idquo;Non è che in bagno tu sia libero di far tutto perché hai carta bianca

  1. La cerniera aperta no!!! È come quando le donne lasciano il dietro della gonna incastrata nel collant… Ma la cosa migliore la fece un mio ex capo che, reduce da una seduta in bagno, mi chiamò in ufficio da lui mentre si preparava per un meeting: all’epoca lavoravamo da pochissimo insieme e non avevamo confidenza e quindi quando mi accorsi che da dietro i pantaloni gli spuntava una lunghissima coda di carta igienica non ebbi il coraggio di dirglielo…
    Io ho il problema opposto al tuo temo: non riesco a rimanere concentrata se l’argomento non è di mio interesse (e lo sono davvero poche cose) con il risultato che mentre la gente mi parla il mio cervello parte in uno stream of consciousness senza ritorno e la mia mano disegna fiorellini o l’iniziale del mio nome o altri grafismi degni del secondo anno di asilo nido. E se vengo chiamata in causa sfodero il mio dolce sorriso e di solito dicono qualcosa di carino o di scherzoso su di me e così evito di rispondere. Bello essere donna, a volte..

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  2. Ora mi sto chiedendo quale sia il tipo standard di vulva per il porno… ma mi passa in trenta secondi.
    Sai che c’è un’artista che rappresenta vagine? Sculture di vulve, tutte in fila…
    Però non so se vende, che il salotto adatto ad un’opera di quel tipo, non deve essere comune…

    Posso dire che lavori con degli stronzi?

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  3. “Non ne capisco il motivo. Forse è per poter dare un occhio alla produzione prima di salutarla definitivamente. Un rimando ai tempi dell’infanzia e del vasino quando il “distacco” è psicologicamente difficile.”

    Ti spiego l’arcano, anchein Germania è così.

    L’arcano è dato dal fatto che quella conchetta serve proprio per quello che hai detto tu (no, nonper la raccolta di ovuli di cocaina).
    Serve per visionarla. Perchè il controllo delle feci è un’abitudine salutista/igenica.

    Feci senza parassiti, senza sangue ecc ecc ecc
    Insomma buone feci, buona salute.

    Si impara sempre qualche cosa vero? 😛

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  4. Sempre meglio delle turche! Ricordo che da bambina, quando erano particolarmente diffuse nei bagni pubblici, ero solita togliere una gamba dei pantaloni per non sporcarmeli. Altro che conchetta, con quelle non vedi nemmeno il fondo!

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  5. Queste cerniere!
    Riflessione vera e profonda quella della standardizzazione vulvare.
    Devo essere sincero. Io con il porno contemporaneo classico non mi trovo perfettamente a mio agio, escludendo gli amatoriali belli o i non amatoriali girati come amatoriali.

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  6. Oh i water con il balcone. Li hanno anche a Vienna.
    Una sera io e tre mie compagne ne abbiamo riempito uno con la salsa verde all’aglio che ci preparò la signora che ospitava due di loro. Avevamo foto e video di questa solenne cerimonia, chissà dove sono finite.

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