Non è che il vento per alzarsi necessiti della sveglia

Ogni giorno alle 17:35 circa – che possono essere le 17:40 a volte o anche le 18 – esco dall’ufficio e nel tragitto da Visegrádi utca alla fermata del tram di Nyugati cerco di ricomporre mentalmente il puzzle dei pensieri della giornata lavorativa e al tempo stesso proiettarmi in avanti per le riflessioni del resto della serata, riflessioni che il più delle volte (ma non sempre) si limitano a questioni materiali come il cosa mettere insieme per l’attività manducatoria programmata-leggasi cena.

Una digressione dalla premessa che stavo scrivendo è che l’abitudine a camminare con la testa tra le bubbole mi ha aiutato a sviluppare una sorta di pilota automatico, che mi consente di distrarmi senza inciampare negli ostacoli o urtare passanti che tendono a essere troppo noncuranti del mondo che li circonda, tanto da venirti addosso come un treno sui binari che non vede null’altro che la propria via davanti agli occhi.


A questo punto la digressione merita un’ulteriore specificazione e anche se mi dolgo dell’essere prolisso e dispersivo non posso far molto se non tentare di fare economia di parole.


L’attitudine allo schermare in modo selettivo il mondo circostante è un’abilità messa continuamente alla prova dalla realtà che si rende sempre più invadente e che quindi porta a un continuo inseguimento tra visibilità e invisibilità, come l’eterna lotta tra Wile E. Coyote e Beep Beep.

Stazioni della metropolitana e sottopassaggi sono ricovero di molti senzatetto.
Veramente tanti.
Ogni giorno migliaia di persone sfrecciano come dei treni alta velocità tra questi percorsi in mezzo a gruppi di esseri umani visibili ormai come né più né meno che complementi di arredo urbano.

I clochard sono quasi tutti cittadini ungheresi.
Il che spiega perché si costruiscano muri alle frontiere: che almeno i senzatetto abbiano delle pareti intorno.

Lungi da me esibirmi in critiche su un Paese che non conosco affatto; la riflessione generale che era nata in me e che mi ha accompagnato nel ritorno a casa – insieme alla decisione se perdere o no una serata intera per fare il sugo con le melenzane – è quale sia il parametro per la scelta delle battaglie  di civiltà della società.

In parole povere: cos’è che orienta il pensiero collettivo verso questa o quella tematica cui dedicare partecipazione emotiva? Meglio un cane maltrattato oggi o un senzatetto assiderato domani? Un naufragio collettivo o un’adozione singolare?

Una corrente continua di opinioni spesso caratterizzate da un livore indurito e acido che sferza il lettore/l’ascoltatore


Ma se tutti hanno opinioni da esporre, c’è ancora qualcuno che legge/ascolta?


come un vento di tramontana.


La questione del livore mi prende a cuore particolarmente perché tento sempre di ricostruirne l’origine, attività inutile in quanto molto spesso non c’è un momento fondativo dell’odio ma è semplicemente un incanalare delle pulsioni che, in assenza dell’oggetto dell’odio, troverebbero altro cui dedicarsi.


Come il vento di cui invece non so il nome che questa sera ho trovato uscendo dall’ufficio e che mi ha fatto invaginare ancor più in me stesso tra giubbotto e scaldacollo. La stessa reazione che causano su di me certe opinioni.


Invaginare.
Lo trovo di una bella portata evocativa. Non inteso in senso anatomico: la vagina era il fodero della spada, quindi invaginare è l’atto di inguainare, riporre nel fodero protettivo.


29 Pensieri su &Idquo;Non è che il vento per alzarsi necessiti della sveglia

  1. Sí, vagina è corretto considerarla come fodero. Ineccepibile dunque il tuo invaginare. Se non avessi messo la didascalia ti avrei lodato invitandoti ad inserirla.
    Apprezzo anche il cortocircuito iniziale in cui ragioni su quelli che camminano con la testa tra le bubbole con la testa tra le bubbole.
    L’origine del livore è per lo piú sconosciuta.
    Però se domani, che poi è oggi, è il giovedí che dovevi andare a quella specie di ufficio dell’anagrafe, ricordati dismazzare i documenti quando finiscono di mescolarteli!

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  2. Uno dei miei primi post su wordpress fu proprio sulle opinioni, sulla certezza ostentata da alcuni nell’esposizione delle proprie idee su questioni complesse, articolate e che toccano molte (troppe) sfere dell’animo umano. Io in questi frangenti, quando il popolo del web va in subbuglio, urla e strepita, mi taccio. Ma non perché mi piaccia distinguermi in un Morettiano “mi si nota di più se…” ma perché dubito. E forse se si strepitasse di meno e si dubitasse di più sentiremmo meno boiate e vedremmo meno aberrazioni. Ma anche di questo non sono sicura.
    Hai poi fatto il sugo con le melanzane?

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  3. fagocitare e invaginare a me fanno pensare alle cellule, alle lezioni di biologia, a mostri stile blob… ma perchè, come il livore, è arduo dirsi

    Non so lì, ma l’indignazione qui è molto pilotata dai “mass media” che hanno grande presa su gente non più abitutata a pensare.

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  4. Ci sono talmente tante tematiche su cui so poco e niente che a volte provo una sorta di “ansia da ignoranza” e, nonostante provi ad informarmi, su certi argomenti non ne saprò mai abbastanza per poterne parlare approfonditamente.
    Tuttavia, la gente oggi crede di saperne abbastanza solo per aver letto 2 o 3 articoli sui social, quindi sì, sono indubbiamente un potente strumento in grado di far emergere certe tematiche piuttosto che altre.
    E come in un circolo vizioso, più la gente ne parla, più i mass media ne parlano, più i social ne parlano, più la gente ne parla.

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    • L’atteggiamento giusto è quello di dubitare e sapere di non sapere, anche per evitare di entrare in balìa delle prime informazioni, non verificate o fuorvianti, che arrivano. Purtroppo invece, le persone spesso fanno da cassa di risonanza della disinformazione.

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  5. Mi hai fatto venire in mente una cosa che ho scoperto col precedente lavoro : la mente umana è strutturata in modo tale da filtrare gli input esterni, siano suoni o immagini… Serve per mantenere un controllo e dare una sorta di importanza a certi input piuttosto che altri
    Ho avuto a che fare con una persona sprovvista di tale “filtro” e quando mi hanno spiegato che questo vuol dire percepire ogni minima cosa dall’esterno, se ci pensi è ovvio perdere il senno… Credo sia una condizione spaventosa!
    Detto questo credo che scegliamo cosa vedere e sentire, di cosa indignarci e soffrire, forse anche per una sorte di “protezione”… Quando una bruttezza è condivisa si pensa di divider e lo schifo, il peso pare più leggero…
    Poi c’è chi ha più o meno filtri … E chi proprio ha dei muri di metallo…
    Non so se ha un senso cosa ho scritto …

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    • Ha senso, ha senso! È quel meccanismo che, ad esempio, ti permette di sopravvivere sulla metro nonostante gli afrori ascellari (a meno che non siano proprio appestanti, il naso comincia a non farci più caso dopo un po`) oppure a riuscire a dormire di notte nonostante il traffico sotto casa, salvo poi svegliarsi invece per un rumore inusuale proprio perché fuori dal filtro delle esclusioni.

      La stessa cosa credo quindi possa avvenire come dici tu con le brutture. È brutto parlare di “abituarsi” ma, sì, in effetti funziona in questo modo.

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      • Esatto…
        È dare diversa importanza alla voce della persona che hai di fronte, rispetto al fruscio del vento… Che però a quanto pare arrivano al nostro cervello con uguale intensità..
        Non credo sia solo un “abituarsi” ( anche se esiste e mi fa paurissima) ma penso proprio sia anche una sorta di “sopravvivenza emotiva”
        Se tutti o comunque tanti si interessano e muovono per eliminare qualcosa di brutto, forse ci si sente più facilitati in tale compito…
        La meraviglia avviene quando qualcuno si interessa da solo a qualcosa… Quello è l’essere incantevole del genere umano

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Si accettano miagolii

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