Il dizionario delle cose perdute – La Biribiro

Più comunemente nota come la penna multicolore, era un costoso e inutile strumento a disposizione dello studente, che la sfoggiava di fronte ai compagni di classe come uno status symbol. Se poi però ce l’avevano tutti mi chiedo cosa ci fosse mai da sfoggiare.

Era poco utile per scopi didattici ma molto apprezzata per colorare il diario con disegni, scritte e ghirigori.

I colori erano profumati con essenze che richiamavano odori naturali ma che erano frutto di qualche intruglio chimico di cui oggi forse subiamo gli effetti a lungo termine.

Non ricordo quando cominciò a esplodere la mania di questa penna nella mia classe, alle elementari. Fatto che sta che cominciarono ad apparire questi enormi siluri nelle mani dei miei coetanei. Siluri scomodissimi. Provate a immaginare la manina di un bimbo che stringe a lungo un simile affare. Tendinite del polso e inibizione del pollice opponibile garantite.

A ciò aggiungiamo che le molle per far scendere le mine sovente si incastrassero.

Alle maestre non piaceva, tanto da arrivare a interdirne l’uso durante le ore di lezione pena il sequestro. Non ho ben capito per quale motivo fossero da vietare. Va tenuto però conto che la mia era ancora una scuola vecchio stampo, con maestre nate durante la Grande Guerra che non si tiravano indietro se c’era da darti uno scappellotto, senza che arrivassero le telecamere di Barbara d’Urso a parlare della “scuola degli orrori & della violenza”, probabilmente perché sarebbe giunto un ceffone anche a lei.

Un sistema formativo abbastanza doloroso, seppur efficace.

Io non ebbi mai una penna multicolor come quella dei miei compagni. I miei genitori erano contrari a sprecare denaro in costosi e inutili oggetti di moda.

Posso dire che io non ero mainstream prima che il non essere mainstream diventasse mainstream.

Per venirmi incontro, comunque, ricevetti una volta una penna a quattro colori (blu, nero, rosso e verde). Esistevano penne di questo tipo anch’esse di marca. Ricordo ad esempio la Bic ne produsse alcune.

Ovviamente la mia era invece una cinesata.

La sua anonimicità fu tale da consentirle di passare inosservata agli occhi della censura delle maestre, cosicché continuai a utilizzarla anche a lezione, soprattutto durante i noiosi esercizi di matematica.

La maestra infatti aveva introdotto la regola che le unità andassero scritte in nero (chiudendo un occhio se qualche reazionario utilizzava il blu), le decine in rosso e, quando arrivò la scoperta delle tre cifre, le centinaia in verde.

Durante gli esercizi di scrittura numerica era un continuo cambio penna. Il conformismo di stato introdotto in classe dalla nomenklatura volle che tutti finissero così:

Ma non io.

Io, l’anarchico, il Pëtr Alekseevič Kropotkin della sezione A, con la mia grigia e anonima 4 colori cambiavo colore senza dover posare e cambiare penna.

Finché un compagno bolscevico, probabilmente per ingraziarsi l’Apparato, non mi denunziò per uso improprio di colori, ponendo fine alla mia libertà.

Continuai a usare a casa in privato la mia 4 colori, che però divenne inutile quando il blu si scaricò prima degli altri, seguito poi dal nero. Non sapendo che farmene del colore rimasto, persi di vista la penna finché non sarà finita forse in una discarica, dove tra 5000 anni quel verde color vomito di fumetto sarà ancora lì.

Alle scuole medie era ancora in voga l’uso della Multicolor da parte dei miei nuovi compagni. Non era vietato dai professori, anche se restava un oggetto ovviamente più utile per cazzeggiare e disegnare che per altro.

Non ho mai capito cosa ci fosse di bello in quella penna e perché poi piacesse così tanto alle ragazze. Vero è che, le donne non me ne vogliano, le femmine sono più inclini ad appassionarsi a qualsiasi minchiata (non fatemi parlare dei ciucciotti di plastica colorati. C’è un limite al trash in questa rubrica).

Non voglio pensare che fosse la forma simil-dildo di quell’affare a piacere tanto, come colorata iniziazione sentimentale con sé stesse alle soglie dell’età puberale.

75 Pensieri su &Idquo;Il dizionario delle cose perdute – La Biribiro

  1. Anche io la sognavo da piccola! Ma,come successe a te,non la ricevetti mai..se non l’alternativa tarocca dei 4colori..
    Ricordo che tra i colori ce n’era uno tipo marroncino diarrea che te lo raccomando..per fortuna non ne ricordo il profumo!

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  2. La bic 4 colori ce l’ho ancora e la uso ancora! È un regalo del mio capo che, come me, è appassionato di cancelleria! E qui parte la risposta alla tua domanda: le “femmine” di solito amano la cancelleria! Matite con le piume o che si illuminano quando scrivi, penne profumate, gomme colorate (che quando cancelli sporcano il foglio di vomito di unicorno), post it e soprattutto graffette multicolori e multiforme!
    E continuano ad amare queste cose anche quando, come me, sono un po’ in là con gli anni!

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    • Oh ma tutti con sta bic 4 colori!!!
      Sai che la tua risposta ha senso? Le mie conpagne erano una cartoleria e ancor oggi le colleghe dei vari lavori che ho fatto.
      Gli evidenziatori colorati li hanno creati per le donne, così come i post it segnapagine colorati.

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  3. La ricordo!… Ma la odiavo… Non riuscivo a tenerla in mano e puzzava fino alla nausea… Poi ero già nervosa da piccola e le biro a scatto mi facevano venire i nervi come kenshiro…. Clic!…clic!… AAAAAAHHHHH che fastidio!

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  4. Io avevo quella con i colori profumati, non so quanti c’e n’erano, 15 colori forse non mi ricordo, l’ha agganciavo al mio giacchetto jeans e andavo in giro come se avessi un onorificenza militare.. Bei tempi!

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    • Questa mi mancava, lo sfoggio all’ennesima potenza. I miei compagni si limitavano a tirarla fuori dal borsello per far schiattare d’invidia chi non ce l’aveva, al suon di “è inutile che la guardi, non te la presto”.
      Ma andarci in giro come fosse una medaglia, altro livello! 🙂

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      • Ero una teppista, mi mettevo a scarabocchiare sui manifesti e qualsiasi altra superficie, chi poteva mai pensare che fossi una criminale con quella stupida penna gigante addosso e un faccino d’angelo 😝

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  5. Scopro ora che si chiamava Biribiro. Mi vergogno di averla usata con tanta fierezza. Ma poi leggo che Valentina Nappi l’ha usata per perdere la verginità, e nel boschetto della mia fantasia torna il sereno.

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    • Ammetto che l’ho scoperto anni dopo che si chiamasse biribiro, cioè mi ricordo la pubblicità su topolino, ma chi si ricordava poi il nome. Anzi, se entravi in cartoleria dicendo “volio una biribiro” secondo me ti cacciavano. “Penna coi colori” era molto più semplice e immediato.

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      • Chiarissimo come sa esserlo un gatto! 🙂
        Poche parole, centellinate, proferite ad hoc!
        … e comunque non possedere quel “pennone” non mi faceva sentire inferiore alla massa rappresentava proprio un distinguo dalla massa … come affermano giustamente certi gatti, ma che te lo dico a fare … 😀

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  6. Hai rivangato vecchi ricordi che avevo seppellito chissà dove. Non tanto per la biro multicolor che salta fuori spesso nei discorsi tra amici (soprattutto per ricordare quando si cercavano di far uscire tutte le punte contemporaneamente, creando un ingorgo di punte che manco i caselli delle autostrade in agosto), quanto piuttosto per la regoletta delle unità che andavano scritte in nero, le decine in rosso e le centinaia in blu (evidentemente a Bologna il verde è proprio un colore che non va…).

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  7. Mai avuto problemi con quelle penne. Anzi mai comprato una pena finché ho vissuto in Puglia, non che non ne usassi, anzi, ne consumavo tante ogni anno, ma avevo ed ho tutt’ora un cassetto nel salone dei miei, pieno zeppo di penne, matite, gomme e pochi e idenziatori. Non che mio padre facesse il rappresentante di articoli di cancelleria. Semplicemente lavorando in hotel, il numerodi penne perdute i dimenticate dai clienti era un numero esorbitante. Dico era perché ora, con l’avvento di smartphone, tablet e pc, nessuno più va in giro con una penna in borsa. Quindi quando volevo un modello particolare, sia per esigenze scolastiche durante le elementari, o per puro vezzo durante le medie e superiori, mi bastava ravanare in suddetto cassetto. Io ero figlia delle bic scaldate con l’accendino, quando l’inchiostro si congelava o la sfera si incastrava. Quando poi ero stufa di riempire l’astuccio con le tremila penne che mi occorrevano a causa della maestra d’asilo, a scapito di qualche colore a matita che lasciavo a casa a malincuore, allora tiravo fuori il pennone, come lo chiamavamo noi o quello a quattro colori. La mia maestra aveva sessant’anni, ma mai avuto problemi in merito. Il mio unico cruccio? Il colore blu e nero mi finivano in fretta, come ovvio e non trovavo mai ricariche compatibili, quindi spesso finivano nel cestino, dopo un po’ di tempo, con quasi tutti i colori inutilizzati. Altro must da noi erano le penne con le immagini che si muovevano da una parte all’altra, in genere una gondola, pervenuta da qualche parente andati in viaggio a venezia o in località sciistiche.

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