Non esisti.
Lo so.
Faccio spesso dei sogni con un tema ricorrente.
Ci siamo io e te.
Sei diversa da come ricordavo. Anche se ora non so come sei, quindi potresti essere uguale o diversa allo stesso tempo.
Nel sogno sei però scostante, fredda, sprezzante, superba. Anche se ti concedi, sembra avvenga con riluttanza e indifferenza.
Mi sveglio ogni volta mortificato e innervosito.
Per sciogliere questi i pensieri, passeggio.
Senza badare molto a dove vado.
Prendo la metro. Nel treno, alzando gli occhi mi sono accorto di essere nella direzione opposta a quella dove avrei preferito andare. È curioso che, pur non avendo una meta precisa, alla fine si abbia sempre una preferenza per i propri spostamenti.
Scendo alla fermata successiva, decidendo di proseguire a piedi per esplorare la zona. Tanto, sono pur sempre in centro.
Costeggio un perimetro di mura che sembrano cingere quello che sembra un parco. Mi ci infilo dentro, senza leggere i cartelli anche perché non li comprenderei. Il mio ungherese non va oltre buongiorno e buonasera, per quel che mi serve.
Mi sono sbagliato.
Non è un parco: è un cimitero!
Un cimitero abbastanza vecchio, come un Père-Lachaise. Ricordo, ne ho sentito parlare: sono a Kerepesi.
Ho pensato che fosse troppo, anche perché era freddo e scivoloso. Così, dopo aver salutato un gatto di passaggio, sono tornato indietro.
Il silenzio e il completo deserto in quel luogo mi hanno però illuminato.
Esistono due tipologie di mancanza: quella nella solitudine e quella nella moltitudine.
Ho finalmente compreso che l’assenza ha un peso specifico maggiore quando sono con gli altri.
Sebbene, sì, quando mi trovo da solo io rifletta, rimugini, ricordi, mi accorgo comunque di star bene. Sono i miei spazi di tempo, ritagli che incollo su un diario mentale. Un modo diverso di ricaricare le batterie.
È quando sono con gli altri che mi accorgo invece della mancanza.
Eggià, non esisti.
Non come io ricordi, almeno.
Quella del flâneur è una figura sorta nell’800, divenuta in breve tempo un cliché letterario: indica il solitario passeggiatore urbano che, vagando senza meta, osserva, giudica, si emoziona, vive il perdersi nella moltitudine pur avvertendo un vivo distacco da essa. Molto si è scritto su di esso e rimando alla ricerca di testi che ne parlino in maniera più precisa e puntuale.
Vorrei aggiungere lo spleen ma con la scrittura a screen mi è difficile. Il cimitero sembrava bello, capisco però che la paura di cadere e di sentirsi preso in giro dai morti possa far passare la voglia di avventurarcisi!
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No più che altro non è delle prese in giro dei morti ma di quelle dei vivi che mi preoccupo
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Ma non c’era anima viva dicevi…
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Ma si stava facendo orario di visite, infatti quando sono uscito (non sono andato via subito, comunque, ho fatto un giro fino a una rotonda-mausoleo e son tornato indietro) incontro venivano persone.
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Ah ecco, allora hai fatto bene!
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” Esistono due tipologie di mancanza: quella nella solitudine e quella nella moltitudine.”
Verità veritosa! La foto è molto bella, mi piacciono i cimiteri.
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Anche a me, quelli vecchi come citavo il pere lachaise o come il cimitero deglI Inglesi a Roma
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O come quello ebraico di Praga.
Sul cimitero acattolico di Roma scrissi qualcosa nel mio vecchio blog su blog spot
http://lgazometro.blogspot.it/2013/10/aldila.html?m=1
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Oh, che bel post! Grazie del link
E belle anche le foto 🙂
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che stranezza… è la seconda volta, di oggi, che mi ritrovo a riflettere proprio sulla mancanza…
la mancanza, a volte, pare essere la presenza forte di un’assenza…
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ed è strano come si faccia sentire più di una presenza reale
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È strano… A tratti lacerante …
Ci sono mancanze diverse e con pesi diversi … C’è la mancanza per un’assenza, soprattutto emotiva, e c’è quella della lontananza … Forse quest’ultima si riesce a gestire meglio… Ma… Uff
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La lontananza è un qualcosa pur sempre di rimediabile.
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Infatti… E poi in ogni caso un legame c’è …
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Le grandi città, tra i vari difetti che si spesso ricordano, hanno questo pregio del potercisi smarrire
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E per me è una piacevole scoperta ogni volta, essendo cresciuto in una cittadina di provincia. Non piccolissima, non a livello certo di un crocicchio, un prete e una piazza, anzi, riempirebbe uno stadio di serie A. Ma comunque, un posto dove è difficile perdersi.
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Sotto i 200000 abitanti – minimo – l’ambiente è inadatto per lo smarrimento urbano e si ricorre giocoforza* alle zone industriali se non a quell agricole
* non avevo mai scritto giocoforza, che emozione!
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Le zone industriali, almeno da me, sono da anni ricovero per altri tipi di smarrimenti, di quelli previo pagamento.
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TI riferisci alle pizzerie decentrate con servizio di asporto, vero?
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Più o meno, anche lì c’è qualcuno sempre vicino al fuoco.
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E c’è sempre chi chiede la variante col wurstel
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Accidenti che miagolio riflessivo… anche a me piace ricaricare le pile stando da solo. è una solitudine rigenerante, che mi permette spesso di mettere ordine dentro me stesso.
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