Non è che serva il passaporto per andare a quel paese

L’idea di trasferirmi a Roma non mi attraeva molto.
Stamattina, invece, partendo avevo gli occhi un po’ lucidi. Forse era una bruschetta in un occhio (cit).

Quello che giudico un difetto di una città così, cioè il caos, è forse la mia dimensione. Io, Lord Gintoki il composto, che ordino i libri per affinità cromatica, ho bisogno di disordine.


In realtà l’ordine sarebbe autore-editore, ma poi cerco di creare una continuità cromatica tra editori diversi. I classici Feltrinelli (quelli metà bianchi e metà neri) stanno bene vicino agli Oscar Mondadori tutti neri. I classici Mondadori rossi con i Feltrinelli bianchi e rossi. E così via.


Sono stato a Utrecht nei giorni scorsi.
Tutto bello.
Le strade pulite.
La gente in bicicletta.
Casette di mattoni rossi a due piani col praticello davanti, un finestrone enorme decorato da tendine, piante e fiori e gatti sul davanzale.

Bellissimo.

Dopo due giorni avevo gli attacchi di panico.

Mi turba l’ordine, o, quantomeno, l’apparenza di ordine. Non rispecchia ciò che sento realmente.

Alla fine sono napoletano, non certo un nordico.

Ci sono comunque delle differenze tra Napoli e Roma. Tanto per cominciare, a Roma mi sembrano perennemente incazzati. È chiaro che si tratta di generalizzazioni, però un dato costante che ho notato nei romani è quello di avere costantemente le scatole girate.

Inoltre, un vattelapijà non te lo nega nessuno.

Laddove qui a Napoli credo sussista ancora una distinzione tra “classi sociali”, in termini di registri linguistici e codici comunicativi, a Roma sono molto egualitari. Ti manda a quel paese l’ex galeotto che fa il centurione al Vittoriano nello stesso modo in cui lo farebbe la contessa dei Parioli.

Giovedì io e i miei sodali eravamo in taxi diretti a Ciampino (grazie Terravision per averci lasciato a terra). Una signora dall’aria distinta – prova che, come dicono in Africa, l’apparenza in Ghana – si sbraccia nella direzione del veicolo. Il tassista con la mano fa il gesto come a dire “no, non sono disponibile”. La signora, per tutta risposta, esclama: “Aò, ma chittesencula, ce sta quello dietro, vaffanculo”.

Fantastico.

Mi mancheranno queste cose.

Mi mancherà il baretto sotto casa dove prendevo un buon caffè.

La pizza al taglio a Monti, a via Leonina.

Chiariamo, la PIZZA con la P, la I, le due Z e la A maiuscole è Napoli, non accetto alcuna discussione.

Ma un trancio al taglio di quella croccantina – anzi, scrocchiarella – era un’ottima merenda.
E poi dietro il bancone c’era una tizia che mi ricordava un po’ una pin-up e io a volte accompagnavo gli altri a prendere la pizza giusto per vedere se lei ci fosse.

E poi il Pincio, dove andavo a leggere un libro tra primavera e estate.

San Lorenzo di sera.

I vicoli di Trastevere, dove mi addentravo senza badare a dove andassi a finire. Tanto alla fine senza farci caso tornavo o da dove ero partito o comunque in un posto dove potevo direttamente tornare a casa. Secondo me lì i vicoli sono finti, delle scenografie montate su una base rotante, perché non  è possibile una cosa simile. Un pomeriggio volevo passeggiare senza alcuna meta – lo faccio sempre quando devo riflettere su cose importanti o prendere decisioni – imboccando le strade a caso. Alla fine, com’è come non è mi sono ritrovato sulla strada per tornare senza accorgermene.

C’è sempre un ordine, nel caos. O un caos nell’ordine.

38 Pensieri su &Idquo;Non è che serva il passaporto per andare a quel paese

  1. Eh un po’ di malinconia ci sta, c’è poco da fare…

    Il romanesco burineggiante (?) mi fa schiattare, anche di più quando lo usano le distinte signore (o i distinti signori) 😀

    L’ordine può essere inquietante, sì, forse perchè non crediamo all’ordine e pensiamo che in realtà il caos c’è lo stesso, nascosto dietro le apparenze, e se è un caos che nemmeno ha il coraggio di mostrarsi, vuoi vedere che è peggiore del caos che si mostra senza farsi tanti problemi?

    Ogni bene 🙂

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  2. Mi hai fatto venire voglia di andare a Roma, e riviverla con gli occhi di adesso, con la libertà di adesso.
    Mi hai ricordato che ho bisogno di una libreria nuova, che tutti quei libri impilati un po ovunque reclamano il loro spazio.
    Mi hai ricordato che devo continuare a perdermi in questa città che mi ha adottata e che non devo omologarmi troppo con la noia dei “locals”.
    Mi hai ricordato che era un sacco che non ti leggevo, e che mi piace sempre farlo.
    E mi hai ricordato che mi serve l’ordine fuori per gestire il caos dentro, ma se c’è caos fuori mi riordino. (cosa ho detto?)

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  3. E la pinsa l’hai mai provata??
    Roma è casa mia da 13 anni, non so come mi sentirò quando dovrò andarmene (e prima o poi accadrà). Trastevere lo amo, e non ci vado da quasi un anno (lo so che sono vergognosa).
    Comunque l’incazzosità dipende dai quartieri, per esempio a Roma nord sono molto più incazzosi che a Roma est XD

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    • Mai provata: va bene accostarsi ad altre pizze, ma non sono pronto per passi troppo in là!

      Non c’ho mai fatto caso all’incazzosità territoriale, tra l’altro essendo Roma Nord più “borghese” però si coglie forse di più quella discrepanza tra apparenza e modi

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  4. Mi hai fatto venire nostalgia a me, che a Roma di son stata una volta e mezza di corsa….

    La verità sospetto che mi hai fatto venir nostalgia della Roma dei tuoi occhi, quella che non vedono tutti, lo sguardo staccato ma un pò “innamorato” di chi Roma la vede da non romano.

    Se mi farai lo stesso effetto da Budapest, vengo a trovarti e mi porti in giro mentre mi fai i post in diretta dal vivo.

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    • Potrei attrezzarmi con un portatile da passeggio, tu stai attenta che io non finisca sotto un’auto per la distrazione e intanto scrivo di cose strane che capitano.

      Anche perché, se come penso stranezza attira stranezza, io te fungeremmo da calamita per eventi eccezionali e interessanti.

      (si scherza quando dico stranezza, intendo in senso simpatico, originalità, fuori dagli schemi ecc. 🙂 )

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  5. Sei riuscito a fotografare Roma, una città più importante della storia che la contiene, con occhi attenti superiori a quelli di romani consumati.
    La sottile guasconeria ha lasciato il posto al giullare intelligente che riconosce nel colore e nella fantasia di alcuni vocaboli romaneschi quelle risposte elementari che non hanno spiegazione né plausibile traduzione. Risposte svagate che si intercalano a perfezione in un costume quotidiano fatto di sconcertante tempera emotiva e poco importa se oggi le ascoltiamo da una distratta gentil dama residente nel centro storico dove i sampietrini rappresentano un mare alternativo e domani dal giovane coatto cresciuto dentro una borgata.
    A Roma si torna ancor prima di partire perché c’è da vedere ancor più di quanto si ricordi e molto spesso si ricorda più di quanto si è visto. 🙂
    Un abbraccio

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  6. é inevitabile affezionarsi ai posti in cui si vive per tanto tempo. Pur sapendo che non avrei mai vissuto tutta la vita in Cina, quando sono andato via per tornare in Italia avevo un po’di malinconia. La cosa positiva è che adesso ti tufferai in una nuova città che (dicono) essere bellissima.
    In bocca al lupo!

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