– (si intravede dietro delle alte mura una grossa cupola) Ehi, dove siamo qui?
– Questa è S. Pietro, oh.
– Dai dai scendiamo qui, su (scrollandolo per le spalle).
– Oh? (infastidito)
– Sì dai – schioccando la lingua* – qui ci sono i marocchini e io devo contrattare per una borsa.
Perché mai nei libri, quando qualcuno parla, deve sempre schioccare la lingua? Voi schioccate la lingua spesso mentre parlate? A me non succede, sono forse anormale?
La ragazza comunque non ha schioccato la lingua, l’ho scritto per capire che effetto e che tono desse al discorso ma il risultato non è stato come speravo.
Quelle riportate sono le uniche parole che sono riuscito a comprendere. Il resto del tempo loro e altri due ragazzi hanno parlato esprimendosi in pugliese stretto. È una dialetto che economizza sulle vocali: in pratica è come recitare un codice fiscale.
DIDASCALIA LINGUISTICA
Credo sia inesatto da parte mia parlare di un dialetto pugliese, viste le varianti esistenti dal Gargano al Salento: credo che quello che parlavano i 4 fosse foggiano.
Non avevo mai considerato S. Pietro come meta di pellegrinaggio del falso. Si apprendono sempre cose nuove nei momenti inaspettati, come accadutomi alle 14 di un attivo lunedì pomeriggio.
I mezzi dell’Atac non sono stati, a dire il vero, molto attivi. La metro A era interrotta mentre gli autobus procedevano come una canzone di Tullio de Piscopo: ad andamento lento. Persone che inveivano, individui rassegnati, turisti smarriti che pretendono di fare il biglietto a bordo come se stessero a casa loro. Qualcuno mi pesta il piede e mi chiede scusa, io con un cenno della mano e un sorriso do la mia assoluzione: le mie dita sono diventate come le antenne delle lumache, appena percepiscono il pericolo si rattrappiscono all’interno della scarpa piegandosi su sé stesse ed evitando il pestaggio.
L’aumento della densità interna dei mezzi quest’oggi ha portato a un incremento di personaggi interessanti come i foggiani che ho citato sopra.
Una signora cinese si reggeva in piedi aggrappandosi con una mano alla maniglia e con l’altra al pantalone del marito, ad altezza del pene o quantomeno dove avrebbe potuto trovarsi se l’uomo avesse l’abitudine di sistemarlo da quel lato. Al che mi sono chiesto: la signora cercava il pene del marito? Sapeva oppure che quella zona fosse libera e riteneva lecito aggrapparvisi? In ogni caso il signore e i suoi pantaloni non facevano una piega, io intanto ho distolto lo sguardo attirato da un folle che, sceso dal mezzo, ha tirato un calcio contro una paratia non so per quale motivo.
Sull’autobus delle 20 un anziano signore ha cominciato a parlarmi dopo che gli ho ceduto il posto. Ha esordito spiegandomi dei problemi intestinali e circolatori che lo portano a dover camminare molto durante il giorno, per poi raccontarmi – dopo che avevo dato delle indicazioni a due turiste straniere – dell’importanza di conoscere le lingue. Ha concluso infine raccomandandomi di fare attenzione a ciò che scrivono sui libri perché non sempre dicono la verità: lui tutto ciò che sa l’ha invece appreso dalla gente e dalla strada, perché a scuola c’è stato poco. Mi ha spiegato che mentre era in terza elementare il suo istituto fu bombardato durante la guerra e non ci tornò più.
Tra i due autobus ho incrociato una ragazza inglese che su un polpaccio aveva il tatuaggio del Tardis del dr Who.
Se non sapete di cosa sto parlando, correte a farvi una cultura. Meglio Tardis che mai.
Infine, su un altro autobus ancora, il primo della giornata, tra la folla in attesa sulla banchina ho inquadrato una ragazza che ho ipotizzato potesse essere napoletana. Quando l’ho sentita parlare, ho avuto conferma: era napoletana.
Ciò mi porta a stendere (con un gancio destro) un’altra teoria estetica dopo quella delle nanerottole svampite: noi napoletani siamo un gruppo etnico a sé stante e siamo riconoscibili ovunque. Mi è successo in molti luoghi, a Roma, a Bologna, a Milano, a Parigi, a Londra e anche a Nikko (Giappone): quando inquadravo qualcuno ponendo una scommessa con me stesso sul fatto che fosse napoletano, indovinavo sempre.
È una delle poche scommesse che vinco con me stesso, perché per il resto ho accumulato pesanti debiti di gioco e non so come ripagarmi.
Mi chiedo se sono riconoscibile anche io. Ricordo a proposito della riconoscibilità la maestra alle scuole elementari mi diceva “ti fai sempre riconoscere” e io non capivo cosa volesse dire perché mi conoscevano già quindi per cosa avrebbero dovuto riconoscermi? Ma questa è una storia che non riguarda l’Atac quindi non la riconosco.
Anche i pugliesi si fanno sempre riconoscere… E lo dico da pugliese convinta anche che il foggiano in fin dei conti è più simile ad altri idiomi linguistici confinanti che al barese… E poi un Tardis me lo tatuerei anch’io…sapevatelo
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È molto compicato il foggiano secondo me. Ma dici bene che non è correttissimo parlare di dialetto pugliese vista la varietà…
Io riconosco diversi ceppi etnici e in realtà nei posti che conosco molto bene anche l’origine dei quartieri.
Ti segnalo una canzone dei Pizza e fichi poi ripresa dai Prophilax:
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Conoscevo questo pezzo di bravura ma l’avevo dimenticato, ben venga allora il tuo supporto per ricordarmi cose da non dimenticare.
Non ho mai avuto contatti diretti con foggiani, mentre mi sono trovato a conversare con un leccese, mio collega di lavoro, e uno invece di Modugno, le differenze erano palesi. Ciò che avevo notato è che il modugnese aveva la ‘o’ chiusissima, il leccese invece era caratterizzato da una debolezza delle consonanti dentali, come se dopo una ‘t’ o una ‘d’ ci fosse un’aspirazione. Da faraone glottologo puoi confermare questa mia impressione?
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Ricordiamo ciò che non va dimenticato!
Modugno e Lecce due lingue completamente diverse!
Confermo la tua impressione.
Cercali i foggiani. Quando parlano in dialetto sono molto difficili da capire. Ed hanno una voce strana, particolare, secondo me.
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Mi hai fatto troppo ridere! XD La signora che si aggrappa al marito credo di averla vista anche io. E poi sono assolutamente d’accordo sul fatto che il napoletano si riconosce, ha un modo di stare seduto/atteggiare la testa/vestire a se stante XD
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Sì esatto, mi riferisco a quello. C’è una componente estetico-comportamentale che distingue dalla massa.
Momento: lui aveva una camicia improbabile?
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Non l’ho mai capita nemmeno io ‘sta cosa dello schioccare la lingua però mi ha sempre incuriosito. Forse è un termine che usano gli scrittori per darsi un tono [quando infatti l’ho letto ho pensato:”accidenti, Gintoki è un vero scrittore! “].
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È un cliché della scrittura, un po’ come il fatto che quando qualcuno parla, nessuno risponde più: tutti “esclamano”, “replicano”, “ribattono” e così via.
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Merita solo per il titolo… ormai stai diventando un “pro” in materia.
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Ormai è una cosa che va per conto suo, non riesco più a uscirne. Non riesco a pensare a un titolo che non venga fuori così: un giorno farò un blog di soli titoli. Sì ok esiste twitter, ma è troppo minimalista.
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Twitter è anche troppo elitario. Se bisogna deragliare con un blog di soli titoli, lo si fa in grande…. col botto.
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Esatto, vedo che mi comprendi. Un titolo e via, basta col riempire i post (di aria fritta). “Non è che per fare il botto hai bisogno di contenuti esplosivi”. Vedi? Ormai vengono così.
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Infatti… i miei post sono come le nuvole di granchio dai cinesi. Contengono aria e qualche traccia di granchio. “Non serve essere un meccanico per far funzionare la storia”
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Grandioso! Vedo che sei entrato nel meccanismo!
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Non so se preoccuparmi o meno…
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Eehh… ormai sei fregato…
avere debiti di gioco con un napoletano…
Ti seguirà ovunque, ne sono certo!
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Infatti mi sembra di vederlo ovunque. È la mia ombra, anche nello specchio mi sembra che mi stia osservando!
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Scappa! Scappaaa!!!!!
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Ah sui mezzi pubblici c’è una biodiversità esagerata… per lo schiocco della lingua, non l’ho mai fatto, sembra un gesto di presunzione secondo me… 😉
Bel post, mi ha fatto sorridere! 🙂
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È un gesto di presunzione scriverlo o farlo, secondo te?
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Secondo me farlo, scriverlo è diverso, scriverlo é più un fatto letterario 😉
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