– “Sento che devo andarmene da qui. Questo posto non ha più niente da offrirmi”. Le parole di R. suonavano come una sentenza, coperta da un velo di rassegnazione.
– “Questo posto non ha niente da dare a nessuno”. La mia replica sprezzante tentava di strapparle quel velo.
– “In realtà io qui ho avuto tante cose. Solo che ora dico basta. Non voglio ritrovarmi un giorno come A. e come gli altri quarantenni che non sono andati via di qui. La sera sempre nel solito posto, con le solite 2-3 persone quando non si circondano della compagnia dei più giovani perché solo quelli son rimasti loro. Anche noi usciamo con N. e le altre che hanno solo 22 anni ed è una cosa che mi sembrava impensabile qualche anno fa”.
– “Il fatto è che andare via vuol dire affrontare l’ignoto, mentre qui invece hai la sensazione di avere un porto sicuro…” lasciai morire a metà il discorso, mi sembrava scontato e retorico.
– “Anche qui hai a che fare lo stesso con l’ignoto, non hai niente di sicuro”.
Tornando a casa da solo dopo averla salutata, ho dovuto ammettere con me stesso che R. aveva ragione, anche se si sbagliava nel considerare la natura dell’ignoto come unica e uguale ovunque. Esistono in realtà due tipologie di incognito, quello che stimola fantasia e immaginazione e quello che le prosciuga. Mi sono messo alla ricerca dell’ignoto locale, per carpirne l’anima.
—
I soliti luoghi. Colonne di cemento che li incorniciano, materiale grezzo come il carattere di alcuni avventori. Donne che si esibiscono in delicati contorsionismi per sedersi senza che il vestito salga troppo su, rivelando più del necessario. Piccole gonne. Scusate, per oggi non è questa la natura che cerco. Incrocio una ragazza in piedi, si sistema il vestito tirandone l’orlo più giù. Piccole gonne crescono. La guardo e lei mi restituisce una brutta occhiata. Imbarazzato, rivolgo lo sguardo altrove e li vedo tutti davanti a me. Gli abitanti dell’ignoto. Una cosa sola mi interessa. Voglio i sogni. I loro. Desidero sapere se esiste ancora immaginazione. La cerco nei loro occhi.
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Mi chiedo quando sia successo. Esiste un momento preciso in cui la fiamma del proprio spirito sognatore si spegne, di colpo, come se qualcuno vi avesse gettato sopra dell’acqua? O la fine è più simile a quella di un fuoco abbandonato a sé stesso, che pian piano consuma la legna per poi spegnersi in una lenta agonia?
Non ne sono certo.
Mi avvicino allo specchio. Ancora. Ancora più vicino. Cerco qualcosa nella mia pupilla.
Ancora.
Si si c’è ancora. Se ti trovi qui, in questo mondo virtuale a scambiare i tuoi pensieri, o tuoi racconti, i tuoi mondi, con sconosciuti esseri, vuol dire che è ancora dentro di te.
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bel pensiero, grazie 🙂
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Credo si spenga lentamente e bisogna trovare in tempo legna da ardere
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Eh. Il difficile è procurarsela
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habitat sbagliato per la legna
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Bellissimo.
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🙂
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Di solito il sogno si sbriciola dopo i primi due o tre schiaffoni da parte della realtà, del mondo esterno, delle vicissitudini quotidiane. Ma non si spegne. Secondo me rimane, per qualche istante, in secondo luogo, leggermente fuori fuoco… ma poi ritorna vivo e vegeto.
Basta coprirlo con le mani per un pochino per farlo riprendere.
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Ovviamente è …. *in secondo piano*….
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Anche in secondo luogo non è male! Mi immagino questo posto appartato dove si rifugiano i sogni per non sparire 😀
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Già, una sorta di eremo. Che ne so io. Potrebbe essere no?
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Il castello dei sogni perduti!
Potrebbe essere l’inizio di un racconto
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Mah … giustissima osservazione, a cui non so se esiste una risposta. Forse ciascuno ha la propria risposta, poichè ciascuno ha la propria storia …
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Ho poco da aggiungere. Questo pezzo è perfetto così.
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Adesso arrossisco e da bianco divento Garfield! 😀
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allora ti offro una porzione di lasagne insieme alla grattatina sotto il collo
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affare fatto!!! 😀
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se ti avvicini un altro po finisci col naso spiaccicato sullo specchio e tua mamma che grida perchè lo hai sporcato e per andar via la macchia del naso pigiato sullo specchio ci vuole l’ingegner Sutter!. No dai scherzo. L’ignoto in realtà è il futuro e nulla è sicuro, nè dopo, ne domani. i sogni ad esempio li ho persi anni fa e quando mi capita di pensare a qualcosa che mi piacerebbe si realizzasse, cerco di distrarmi. le illusioni mi hanno fatto troppo male!
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Leopardi avrebbe detto che non sono le illusioni a far male ma la realtà!
“L’origine del sentimento profondo dell’infelicità, ossia lo sviluppo di quella che si chiama sensibilità, ordinariamente procede dalla mancanza o perdita delle grandi e vive illusioni”
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Si vive di illusioni che alimentano la nostra esistenza. Crederci profondamente è un male. Attenersi un po alla realtà aiuta però a non cadere in depressione
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hai ragione
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se c si interroga, s dubita, si riflette, vuol dire che non si è anestetizzati, a dispetto di tutto, e allora chissà, l’ignoto può stuzzicare l’appetito di vita 🙂
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Chissà…può darsi
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Uhm, carino anche questo…come te lo posso fottere?
Se non hai più sogni, fatteli prestare. A forza di salire sugli armadi per guardare la realtà dall’alto o di zompettare via facendo lo gnorri, c’è il rischio di non cogliere certi sussurri nelle orecchie, troppo impegnate ad ascoltare l’incessante suono della propria voce.
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I sogni non si prestano. Né si affittano, si vendono, si anticipano in comodato d’uso.
Non ti fotti nulla dal blog! A meno che non mi paghi il diritto d’autore
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