Oggi voglio abbandonare il mio solito tono semiserio o da malinconico con turbe sentimentali e condividere una riflessione amara.
Partirò da una scena cui ho assistito mentre aspettavo il treno.
C’è questo bambino rom, 7 anni al massimo, che passeggia lungo la banchina chiedendo soldi, al suon di “Mi dai una moneta”? Vestito con quel che sembra un pigiama raccolto da un sacco di indumenti usati, un pacchetto di accendini in mano, recita lo stesso mantra a tutti, a volte insistendo più volte con la stessa persona.
Ferma una coppia: si pianta davanti a lei ripetendo sempre “mi dai una moneta?”. Anche quando lei si siede, insiste. Lei ride imbarazzata, lui invece cerca di prendere il bambino con le buone. Prima gli dice no non abbiamo niente, poi gli dice non devi tormentare le donne, poi gli dice ma a una donna non devi chiedere tu i soldi, devi tu offrirle qualcosa…Poi comincia a spazientirsi, a dire guarda io non ho proprio niente, guarda come sono vestito, guarda la mia borsa in che condizioni è…
Il bambino non si convince e gli fa: “Non puoi parlare così, tu sei italiano”
Lui: “E che vuol dire? In Italia stiamo peggio noi di voi, vorrei proprio vedere tuo padre, scommetto lui prende 1200 euro al mese e io ne prendo 300, sfruttato, ma perché non te ne torni al Paese tuo se non ti va bene?” e altre cose così.
Alla fine il bambino se ne va e attacca il mantra con altre persone. Una donna seduta vicino a me gli fa: “Vieni, prendi queste monete. E non farti dire da nessuno che questo non è il tuo Paese, capito?”
Fine.
Ognuno può farsi i giudizi che vuole su entrambe le persone. Il ragazzo si sarà spazientito per l’insistenza, ma avrà esagerato, la donna forse avrà peccato di buonismo perché poi quei soldi chissà in mano chi andranno…insomma, si può innescare un dibattito che comincia oggi e finirà non si sa quando. Non è questo che mi interessa.
Voglio parlare di altro. Io ero seduto giusto in mezzo i protagonisti della scena, ma ho ostentato indifferenza. Ho messo su le cuffiette, vergognandomi anche un po’ perché mi sembrava fisicamente di mettere la testa sotto la sabbia, e non ho fatto nulla.
Cosa avrei fatto? Lì per lì avevo pensato una cosa. Avrei detto al bambino che non bisogna insistere così con le persone; gli avrei detto andiamo al bar, ti offro un dolce.
Per tre motivi avrei agito così:
1) Avrei sollevato i due giovani da una situazione che, oggettivamente, cominciavano a trovare fastidiosa;
2) perché penso che ogni bambino di questa Terra abbia diritto a un dolce offerto al bar;
3) perché almeno è una cosa di cui avrebbe goduto solo lui, mentre le monete temo che a fine giornata non stiano nelle sue tasche.
Avrei fatto bene, avrei fatto male, mah. Chi se ne frega. Era ciò che avevo pensato di fare. E non ho fatto, invece, perché ho ritenuto che in pubblico sia meglio farsi i fatti propri e basta.
Indifferenza. È un virus, si diffonde, si attacca addosso. Alla fine ti prende, perché vedi che intorno a te tutti sono ormai infettati, tentano uno scippo in pubblico e tutti tiran dritto per la propria strada, stringendo ancor di più la propria borsa, il proprio cellulare, pensando per fortuna oggi non è toccato a me.
Una volta capitò anche a me un episodio, una sciocchezza. Sul treno salgono questi due tossici anche un po’ ubriachi. Uno dei due si accende una sigaretta. In un vagone pieno di persone, con anziani, di fianco c’era anche una donna incinta. Io mi guardo intorno, nessuno dice nulla, la donna incinta manco si scosta da vicino il fumatore. Avrei dovuto dire due paroline anche a lei, giusto perché non amo farmi i fatti miei.
Allora io dico al tizio, con cortesia, di non fumare in treno. Lui, com’era prevedibile, mi aggredisce verbalmente. E poi mi dice anche una cosa illuminante: “Sai perché non rispetto gli altri? Perché gli altri non hanno mai rispetto di nessuno”. Alla fine ritorno a farmi i fatti miei, sconfitto. Ma più che dalla paura nei confronti del mio scostumato interlocutore (che, vorrei dire, rachitico e malfermo sui piedi persino io che sono atletico come un lanciatore di coriandoli potevo spingere giù dal treno con una pedata), dalla paura che mi hanno fatto gli altri. Intorno a me tutti si erano girati dall’altra parte o abbassavano la testa.
E allora penso cazzo, per un tossico rachitico è questo, per un’aggressione fisica vera e propria debbo aspettarmi che mi lascino a terra? E penso che tutte le mie idee, convinzioni, filosofie, le stronzate di cui mi riempio la testa con i libri che leggo e con quelli che leggerò in futuro, non servano proprio a nulla. Viviamo nella barbarie.
Allora mi sveglio la mattina e penso: che anneghino tutti nella barbarie, se piace loro viver così. Io non farò nulla per evitarlo.
Non lo so. Mi gira male la luna ultimamente.