Cosa ci faccio qui? Ho un abito che non mi appartiene, un ruolo che non mi appartiene, una città che non mi appartiene. Stringo il pugno. Raccolgo solo aria, molecole di O2 da intrappolare nelle pieghe del palmo, tra la linea della vite da uva e la linea delle more. Io sono frutto di un sottobosco dimenticato.
Il vento comincia a tagliarmi la gola. Fiotti di cattivo umore dalle mie vene, plasma spinto giù da qualche zona del cervello che non ricordo. Lobo frontale, parietale, temporale?
Temporale, sì. Tempesta ormonale.
È buio. Un vicolo deserto popolato di umani: mi guardano, inclinano la testa come cuccioli che non capiscono le direttive del padrone.
Gocce. Devo affrettare il passo, raggiungere la mia auto. Un utero metallico nel quale tornare, dal quale non uscire.
Disse il Buddha Sakyamuni (o chi per lui e propendo per questa ipotesi)
La mente è irrequieta come un bambino che gioca in un villaggio