Sperimentazioni

Brutta cosa avere tempo libero a disposizione e tutorial di manipolazione fotografica su youtube; mi sto dedicando a esperimenti sempre più stravaganti, le mie ultime due vittime sono le foto che ho scattato questo weekend.

Sono stato a Roma tre giorni con il Polacco e Patti Smith (cui poi si è aggiunto anche Soldato Joker) per andare a vedere i concerti di Neil Young e dei Sigur Ros. Non ho scattato foto ai concerti, la fase di star lì con la macchinetta in mano a cercare di cogliere una foto o fare un video mi è durata poco. Voglio guardare e ascoltare e null’altro, che è ciò che si dovrebbe fare a un concerto.

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DSCN0019 vecchQuesto furgoncino mi ispirava una foto dei tempi andati; peccato solo l’anacronistica 500 sullo sfondo, ma, se non lo si fa notare, l’occhio non ci cade subito.

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Qui lasciamo perdere, le texture m’hanno preso un po’ la mano; ero partito con l’idea di eliminare semplicemente gli antiestetici cartelli, poi sono stato sopraffatto dall’iconografia daVkeggiante che ha fatto dell’Angel of Grief uno spunto per interpretazioni gothic. Più che altro, comunque, volevo appunto fare esercizio con texture e maschere.

Niente cavallo, l’ex principe azzurro viaggia in treno

Capita, durante un viaggio in treno, di trovarsi seduti di fronte a una ragazza carina, interessante, o che colpisce per qualche particolare, come, ad esempio, il libro che legge in quel momento. In queste occasioni provo a immaginare chi sia, che vita faccia, trovandomi a vivere una sorta di amore platonico che dura fino a quando lei non scende dal treno, momento in cui la memoria ram del mio cervello si riazzera.

Mi succede solo con alcune tipologie di ragazze, con un qualcosa che mi spinge a pensare che siano delle romantiche sognatrici: è solo un’impressione, ovviamente, l’apparenza – si sa – inganna. Ma tanto, comunque, si tratta di una finzione, quindi potrebbero benissimo essere così o non esserlo contemporaneamente, è un gatto di Schrodinger.

Romantiche, sognatrici e in attesa del principe azzurro che le porti via dalla loro quotidianità e le salvi. Anzi, basta col principe azzurro: innanzitutto, è ridicolo andare vestiti con quel colore, in secondo luogo, basta coi nobili, spazio alla meritocrazia. L’eroe dovrà essere un cavaliere errante, neanche tanto senza macchia e senza paura; sarà un antieroe, uno che impreca quando qualcosa va storto e che ruba le mele da un frutteto per fare uno spuntino. Agisce per suo interesse, ma è capace di sorprendenti gesti d’altruismo spontanei. Ecco, è questo l’eroe che la solitaria pendolare vedrà apparire un giorno, nell’affollato vagone del treno.

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by Ken Andrea Federico

Chi rade il barbiere?

Chi rade il barbiere? Ci si domandava in un celebre paradosso di Russell.

A prescindere che si rada da solo o meno, il barbiere è da secoli una figura cardine della società. Confessore laico, nella sua bottega accoglie clienti di ogni età ed estrazione sociale, ascoltando senza proferire giudizi i discorsi del cliente di turno sulla poltrona.
Non che egli resti in silenzio tutto il tempo, anzi: il barbiere conosce le parole giuste per intervenire in qualsiasi discussione.

Ricordo quando gli raccontai della mia tesi di laurea, che comprendeva uno studio su Città della Scienza (rip) e la riqualificazione di quell’area; lui ci pensò su e poi disse: ah…ma è dove stanno quegli scheletri di capannoni alti alti che fanno impressione, che sembrano usciti da quei fumetti di fantascienza perché sembra che stai in un’altra dimensione?
Qualcuno potrebbe sorridere per questa definizione, io invece non avrei saputo dir di meglio. Non l’avevo mai analizzata come un trip lisergico. Pensiero laterale.

Esiste una regola non scritta nella bottega del tonsor: è uno spazio per uomini. Le donne non entrano, i bambini piccoli o vengono accompagnati dal padre/nonno oppure le madri li lasciano lì, vanno a fare le loro commissioni e dopo passano a riprendersi i pargoli. Non è chiusura o altro. È più una questione di intimità.

Ecco, stamattina un giovane maschio fresco maturando ha violato tale intimità, presentandosi con giovane fanciulla a fargli compagnia. Mentre pensavo a qualcosa di caustico da scrivere poi sul blog (quando mi annoio osservo e commento il mondo), il nuovo giovane assistente del barbiere richiama la mia attenzione tozzoliandomi* sul ginocchio, perché era il mio turno. Sarò stato appunto colpevole, forse, di non essere stato molto attento, fatto sta che il giovane padawan, sicuramente fresco di allenamento con delle pecore, mi sottopone a una tosatura veloce e violenta, manovrando la macchinetta come un decespugliatore. Il trattamento migliore l’ho avuto sul finale, quando ho poi chiesto di rifinirmi la barba: con la lametta a secco e contropelo mi ha strappato via l’epidermide dal collo in un paio di secondi.

Morale della favola: esiste il karma. Volevo ironizzare su uno che si porta la ragazza dal barbiere, sono stato punito. Perciò, non fatelo mai.

Per finire, un altro insegnamento morale (questa volta un po’ più serio)!

Non ha senso, quando ci si alza dalla sedia del barbiere, guardarsi allo specchio e passarsi la mano sul capo, esaminando il taglio dei capelli e la diversa pettinatura, e invece all’uscita da una lezione e dalla scuola non guardare subito in se stessi per apprendere se l’anima abbia deposto qualche peso soverchio e superfluo e sia divenuta più leggera e più dolce. (De recta ratione audiendi, Plutarco)

* voce del verbo tozzoliare. Immaginate qualcuno che vi tocchi facendo pat pat per richiamare la vostra attenzione. Ecco, quella persona vi sta tozzoliando.

Eh eh eh ehtciù. Raffreddore? No, è allegria.

Ieri sera Soldato Joker mi dice che non sono un tipo allegro.  Non ho detto nulla, ho solo abbozzato un sorriso e null’altro. Io e Soldato Joker non siamo in confidenza tale da permettermi di introdurlo in una dissertazione sul concetto di allegria e i miei stati d’animo.

Senza titolo-2Mi ha dato da riflettere, comunque, sul significato da dare a questa parola: “allegria”. Mi chiedevo se avesse senso definire una persona “un tipo allegro”. Per me, ad esempio, non esiste un individuo così, è un falso. Ben fatto, ma pur sempre un falso. L’allegria è legata a una situazione concreta e, in quanto tale, tendente a esaurirsi: mi rende allegro ciò che dici, mi rallegra questa situazione, questo vino mi dà allegria, eccetera. È come il senso di sazietà, lo si avverte dopo un pasto. Non si è sempre sazi, chi dice così o riempie lo stomaco di continuo o mente. Così è per il tipo allegro, è un artificio, si nasconde dietro una maschera.

Vero è che chi mi guarda in faccia potrebbe pensare che non mangio da una vita. Aggiungiamo anche che non riesco a rendere imperscrutabile il mio volto, delle volte mi sento come Giacomo di cristallo, mi si legge tutto. Il fatto è che la mia mente non sta mai ferma, mentre mi trovo in un luogo qualcosa o qualcuno dentro di me comincia a rovistare negli archivi della mente e mi propone di continuo immagini, pensieri, sensazioni, riflessioni. Quindi, chi mi osserva mi vede fisicamente presente, come può esserlo una sagoma di cartone, ma con la testa altrove. Incline alla malinconia, forse, ma è colpa di alcuni pensieri dominanti e, in ogni caso, a mio avviso la riflessione tende sempre a ridurre il buonumore in qualunque individuo.

tumblr_lqb9sw3HyP1qmusrao1_500Rene Magritte, Décalcomanie, 1966

Scriveva Leopardi

quando l’uomo non ha sentimento di alcun bene o male particolare, sente in generale l’infelicità nativa dell’uomo, e questo è quel sentimento che si chiama noia

Le mie riflessioni convergono sempre sullo stesso punto, facendomi percepire un senso di inadeguatezza tra la realtà percepita e la realtà concepita; può darmi allegria qualcosa (torniamo al discorso che facevo all’inizio), ma non trovo realistico mantenere uno status di allegria costante, né, d’altro canto, ne avverto i presupposti.

Lasciare salire prima di scendere

Prendete un mezzo pubblico, bus, tram, metro o treno, fate voi. Prendete un gruppo di passeggeri e posizionateli vicino le porte d’uscita. Prendete una fermata, riempitela di persone e aspettate che il mezzo si fermi. Ecco, ciò che vedrete sarà lo svolgimento del solito copione: Si aprono le porte e la gente fuori tenta di riversarsi all’interno: persone che spingono, vecchiette alte un metro e cinquanta che ti piantano i gomiti ossuti tra la settima e l’ottava costola, il solito che si lamenta “ogni vot è chést!” (trad. ogni volta si verifica questa incresciosa situazione), qualcuno che, spazientito, esclama “e ià, ce muvimm o no?” (trad. orsù, ci diamo una mossa o vogliamo per caso stazionare a lungo qui?). Dall’altra parte, le persone all’interno del mezzo tentano di farsi largo tra la folla per uscire, al grido (inascoltato) di “fate scendere!”.

Quando mi trovo in giro per un’altra città la cosa che mi colpisce di più è questa: il mezzo si ferma, si aprono le porte e la gente fuori aspetta di lato, lasciando spazio per il deflusso dei passeggeri. Ogni volta mi stupisco, non mi fido, penso che sia una trappola per farti abbassare le difese, qualcuno all’improvviso lancerà un urlo per dare il via all’assalto e io finirò schiacciato dalla folla come Wile E. Coyote. E mi domando: possibile che noi a Napoli non comprendiamo un concetto tanto semplice come quello del lasciare-scendere-prima-di-salire? Sembra che valga il contrario, la regola è: fate salire, prima di azzardarvi a scendere.

Io ho capito perché accade. Le persone fuori hanno paura che qualcuno freghi loro il posto a sedere. Se siamo tutti fuori, però, chi è che sale a rubare il posto? Ho capito anche questo: il napoletano non si fida, sa che viviamo in un mondo dove non è tutto rose e fiori, dove, anzi, c’è chi si approfitta della buona fede altrui. Il napoletano pensa che, mentre lui è lì fuori ad aspettare, ci sia qualche malandrino a un’altra porta che sicuramente irromperà per rubargli il posto, in barba alle norme di cortesia. E allora il napoletano penserà: chi sono io per farmi fregare così: se deve esserci qualche furbo, tanto vale che sia io ad approfittarne.

Peccato che sia il ragionamento che fanno anche tutti gli altri passeggeri.

Top 10 momenti della vita

Ieri sera guardavo il terzo OAV della serie Otona Joshi no Anime Time: si tratta di una serie per donne, ma è interessante anche per gli uomini. Poi lo stile del disegno (che cambia da opera a opera) è particolare.

Comunque, in questo episodio una donna alle soglie dei 40 faceva un riassunto della sua vita, pensando ai dieci momenti migliori che aveva vissuto. Così, spontaneamente, ho cominciato a pensare anche io alla mia top ten. È venuto fuori questo:

10) Quando ho visto al Louvre il mio quadro preferito.
9) Exit music (for a film) dal vivo. Avevo gli occhi lucidi.
8) Un abbraccio di un amico. In realtà, tutto il contesto in cui ciò si svolse mi riempie di vergogna ancora oggi ad anni di distanza, ripensando al mio comportamento in quel periodo. Per questo è posizionato così giù. Però, un abbraccio sincero, senza nessuna parola, merita di essere inserito in classifica.
7) Quella volta che quella bambina alle elementari mi prese per mano.
6) La ragazzina che mi piaceva alle medie, che, una volta, per ringraziarmi del gesto gentile che le avevo fatto, mi diede un bacetto. Era solo sulla guancia, ma rimasi inebetito qualche attimo.
5) Il primo colloquio di lavoro superato (per ora anche l’unico). Per l’esattezza, il momento in cui il telefono squilla col numero privato: un presentimento mi diceva che era quella notizia.
4) L’ultimo esame della laurea triennale. Come voto fu tra i migliori di quella mia triennale, come svolgimento fu perfetto: per una volta non dovetti aspettare ore per il mio turno, mi ci volle più tempo tra andare e tornare dall’Università che per star lì e sostenere l’esame. E, dopo, uscii dalla facoltà con un senso di leggerezza fantastico.
3) Una giornata in giro, trascinato tra un parco di divertimenti e il lungomare. Nient’altro. Momenti che, mentre li si vive, si vorrebbe intrappolare per sempre e non far svanire.
2) La prima volta. Probabilmente, un disastro a livello tecnico e stilistico. Sentimentalmente, tutto perfetto.
1) Il primo bacio. Sicuramente un’esperienza allucinante, per chi subì. Ci fu un’esondazione di saliva e uno scontro frontale di incisivi (stavano per accorrere i vigili). A ore di distanza, fino a prima di addormentarmi, rimasi con la sensazione di qualcosa delicatamente poggiato sulle mie labbra. È al primo posto perché è come se ci fosse una netta frattura tra il prima e il dopo. Il distacco sembra più netto rispetto al fare sesso la prima volta, in cui invece ci si arriva più per gradi. Almeno parlo per me.

Non ho avuto una vita molto movimentata, in effetti. D’altro canto, non ho dovuto sforzarmi molto per riempire la classifica.

Un telefono che non squilla

Il telefono tace. Un po’ c’avevo sperato, un po’ non lo credevo possibile.

Andiamo con ordine. Vado in giro a lasciare il cv nelle agenzie per il lavoro. Parto con 25 cv, riesco a lasciarne la metà (le altre agenzie o son chiuse o hanno smesso di raccogliere o non riesco a raggiungerle perché provato dalla scarpinata sotto il sole) e mi sento sempre dire la solita cosa: al momento non abbiamo posizioni disponibili per il suo profilo, la contatteremo quando avremo qualcosa. Ok.

Poi si accende una luce: venerdì mattina entro nell’ennesima agenzia (una delle più quotate o che, almeno, si presenta meglio anche a livello di uffici) e mi sento dire che hanno giusto una ricerca in corso per un posto compatibile con il mio profilo. La ditta cliente sembra importante, la ricerca ha tempi brevissimi. Unico punto negativo, la laurea richiesta sarebbe diversa dalla mia, però l’esperienza gioca a mio favore. La selezionatrice (o quel che era) sembra entusiasta di me. Mi sento quasi preso alla sprovvista, un po’ sfiduciato dagli esiti del mio girovagare non avevo più messo in conto di trovarmi al posto giusto al momento giusto. Ho quasi voglia di scappare.

Mi chiede di mandarle il cv via mail. Ahia. Sono in giro per una città per me sconosciuta con null’altro che uno smartphone. Ah, doppio cv: italiano e inglese, entro il primo pomeriggio. Doppio, triplo ahia.

Sorrido, saluto, esco dall’agenzia. Debbo cercare un internet point. Lo trovo grazie alle indicazioni di un’accalappiatrice di gonzi di MondoLibri (sarà argomento del prossimo post), spendo 6 euro per compilare online un cv Europass decente, piangendo perché il mio bel cv cartaceo figo, pensato da me, visivamente accattivante (avevo anche inserito i loghi delle aziende) e funzionale a una rapida lettura non sarà visto da nessuno.

E poi, null’altro. Stando a ciò che avevo compreso, avrei dovuto ricevere una chiamata ieri o massimo oggi. Nulla.

Vabè. Si va avanti.

La solitudine delle mie sensazioni

D’estate, verso sera, mi piace sedermi sul davanzale della finestra della mia stanza e leggere. Un po’ perché mi sento figo e mi sparo le pose (ma tanto non mi vede nessuno, quindi è solo masturbazione), un po’ perché mi piace godermi l’arietta al tramonto.

È stato in quel momento, oggi, che ho realizzato cos’è che sento che manca nella mia vita. L’ho compreso quando ho chiuso il libro e ho guardato il cielo che da rossastro sfumava via via nell’azzurrino fino a farsi più scuro.

Io sono solo.

Ci sono determinati momenti in cui vorrei accanto una persona che provi le mie stesse emozioni per condividerle: quando guardo un tramonto (che poi il tramonto da casa mia fa cagare, a parte che manco lo vedo il sole, chiuso come sono dall’autostrada e dai palazzi), il mare, quando nell’aria, dopo la pioggia, c’è odore di terra bagnata, quando guardo due tizi che fanno canottaggio nei Navigli di Milano

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Ok, l’ultima non è poetica, ma quando li ho visti mi veniva da sorridere.

Comunque, più della mancanza di contatto fisico, più della mancanza di qualcuno che ti dica quanto ci tiene a te e così via, sento la mancanza di qualcuno che veda con i miei occhi e senta ciò che provo. Le mie sensazioni soffrono di solitudine.