Suburbano – Nancy

 
 
Dal bordo del materasso partivano, per incontrarsi verso il centro del letto, sottili percorsi e increspature formati dal lenzuolo sconvolto, qua e là qualche avvallamento rammentava tracce di una pressione esercitata dall’alto verso il basso, un racconto in codice di una notte alquanto viva.
Al centro del letto, la sua schiena nuda spruzzata da impertinenti efelidi si mostrava in tutta la luminosità della sua pelle, tutta quella forma era una sottila linea sinuosa che alla fine andava a nascondersi sotto una coperta che malcelava le sue candide rotondità: un quadro senza tempo sarebbe stata la figura che appariva all’osservatore inerte davanti alla femminilità di cui si intuiva la silenziosa presenza.
 
Nancy.
 
Ricordava quando tutto era cominciato a cambiare?
 
 
Una volta i sabati sera li passava in giro con il solito gruppo di 3-4 amici, quando doveva uscire accendeva sempre la radio per farsi accompagnare, mentre si preparava, dal ciarlare di una euforica dee-jay radiofonica (che in maniera chiassosa raccontava improbabili storie di faide tra rappettari scandite a colpi di violente liriche ) con la quale condivideva la passione per lo stesso genere musicale.
 
La Città del Caos non offriva particolari intrattenimenti, una volta che la parte giovane della sua popolazione si impadroniva delle strade, ma consentiva comunque di passare senza troppi pensieri una serata in compagnia.
 
Nancy era ancora troppo ragazzina e il coprifuoco impostole non le consentiva di vivere sino in fondo quella vita notturna, soventi erano i litigi con quella ingombrante figura adulta che pareva esserle madre, sintomi anche di un disagio più profondo e radicato.
 
Probabile che fosse anche anoressica, non lo confessò mai, comunque.
Neanche sotto l’inquinamento psicotropo di alcool ed erba confessava i suoi problemi, era sempre piena di tronfia riservatezza sulle cose che la riguardavano.
 
I problemi non le impedivano di godersi appieno le gioie di quei momenti in compagnia, la semplicità devastante delle serate passate su una panchina offriva il miglior intrattenimento, e riusciva a darle quella dose di buon umore necessaria per non disprezzare le altre persone.
 
 
Nancy.
 
Ora andava spargendo sapore di donna, a caso; sapeva comunque tenerlo nascosto a coloro che non desiderava. Mai mischiare sentimenti e lavoro, forse.
Forse più probabilmente esercitava quel sano diritto all’indifferenza nei confronti di un uomo che una donna riceve alla nascita, ma che scopre solo quando si affacciano i primi pruriti della giovinezza.
 
Stretta nelle sue camicette e nei suoi jeans attillati si slanciava in mezzo la folla, quasi a farsi notare, ma voltava la testa sdegnata appena era scorta da qualche conoscente. Liberatasi di quella frangia di capelli adolescenziale che trasversalmente le cadeva fin sull’occhio destro, aveva assunto un’aria più affascinante ma nello stesso tempo più fredda. L’aria ingenua e il sorriso stampato sul viso – chissà perchè i sorrisi sono sempre "stampati" – avevano lasciato il posto ad una espressione da astuta e seria calcolatrice.
 
 
La sveglia suonò rumorosamente.
Si girò dall’altra parte del letto, disturbata dal sole che entrava dalla finestra. Notò le banconote sul comodino ed allungò una mano per prenderle, le rigirò tra le dita scrutandole con gli occhi ancora non del tutto liberi dal sonno e saltò su innervosita
 
<<Solo queste? Cazzo, quel coglione m’ha fregata!…La prossima volta mi faccio dare i soldi in anticipo…vaffanculo!>
 
Nancy.
 
Ricordi quando tutto è cambiato?
 
 

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